Perché aumenta il costo dell’energia e del gas (il Green Deal c’entra eccome)

Di Leone Grotti
08 Ottobre 2021
Il rincaro esorbitante del gas naturale mette a rischio i conti di famiglie e imprese. Se da una parte si è verificata la tempesta perfetta, dall'altra l'Ue si è tagliata le gambe da sola
Un impianto di stoccaggio di gas naturale in Ucraina

Un impianto di stoccaggio di gas naturale in Ucraina

«Non è colpa dell’Europa e del Green Deal se aumentano i prezzi globali dell’energia». Si è difesa così il commissario europeo per l’Energia, Kadri Simson, negando che ci sia un rapporto tra la transizione ecologica imposta da Bruxelles e l’aumento stratosferico del costo del gas naturale. L’estone si dimostra un’abile politica perché la sua affermazione è al contempo vera e falsa.

Aumentano bollette, benzina e diesel

Il prezzo del gas naturale è raddoppiato da gennaio ed è salito del 440 per cento dall’inizio della pandemia, raggiungendo livelli allarmanti. Le famiglie sono giustamente spaventate: nonostante l’intervento del governo, infatti, gli aumenti dei prezzi causeranno un rincaro in bolletta di 300 euro all’anno.

Ma non si tratta soltanto di luce e gas: il costo di un pieno di benzina è salito in media a oltre 5 euro, 7 per i diesel. Anche il prezzo di Gpl e del metano è aumentato in modo vertiginoso e nemmeno le auto elettriche vengono risparmiate visto che il prezzo della ricarica è al massimo storico.

Aziende a rischio stop

Il problema però non riguarda solo le famiglie. La Yara, azienda di Ferrara che produce fertilizzanti, ha annunciato lo stop alla produzione per 6-8 settimane, nella speranza che il costo dell’energia cali. Lo ha deciso la casa madre in Norvegia, che per il momento non metterà i dipendenti in cassa integrazione, giustificando la chiusura degli impianti con un’argomentazione basilare: «Le entrate dalla vendita dei fertilizzanti non coprono i costi della materia prima», riassume Repubblica.

Alessandro Banzato, presidente di Federacciai, all’assemblea annuale degli imprenditori di settore ha lanciato l’allarme: «Se la crescita delle quotazioni continuerà così, è una questione di giorni valutare se e come fermare gli impianti per il livello eccessivo dei costi di produzione». Gli ha fatto eco Giovanni Pasini, ad del gruppo siderurgico bresciano Feralpi: «Non sono da escludere blocchi della produzione nelle fasce orarie della giornata in cui i prezzi dell’energia sono più alti». Ancora più preoccupato Giovanni Savorani (Confindustria Ceramica): «Se il governo non interviene, fermarsi sarà inevitabile. Molte delle nostre imprese sottoscrivono contratti annuali per la fornitura di gas e ora dovrebbero andare a ricontrattarlo mentre le quotazioni sono ai massimi».

Perché aumenta il prezzo del gas

La domanda che si fanno tutti, e alla quale il commissario europeo Simson ha risposto preventivamente, è: di chi è la colpa? C’è chi imputa i rincari alla Russia, chi attacca l’Unione Europea, chi se la prende con la Cina, chi punta il dito contro le rinnovabili. Come spesso accade, hanno ragione tutti.

Innanzitutto, l’ultimo inverno insolitamente rigido e prolungato ha prosciugato le riserve dei paesi europei, riducendole in media del 25% rispetto al solito. I due fondamentali fornitori di gas dell’Europa, Russia e Norvegia, hanno limitato il flusso per problemi interni legati alle infrastrutture. La ripresa dalla crisi legata alla pandemia di Covid-19 ha fatto aumentare le richieste di gas da parte dell’Asia, che generalmente paga meglio, spingendo i prezzi al rialzo. Inoltre, a causa di un’estate poco ventosa, le turbine eoliche del nord, che producono il 10% dell’energia europea, sono rimaste perlopiù ferme.

Le responsabilità dell’Unione Europea

Questa tempesta perfetta, argomenta a ragione il commissario europeo Simson, non ha nulla a che vedere con la transizione energetica lanciata dall’Unione Europea. Vero, in parte. Non è infatti la prima volta che si verificano simili problemi negli ultimi anni. La differenza è che, in passato, i paesi europei fronteggiavano i rincari del gas facendo ricorso agli altri combustibili fossili.

Il problema è che, e qui entra in gioco il Green Deal, da un lato la politica radicale di sostituzione dei combustibili fossili «è stata avviata senza un calcolo preciso delle fonti alternative, il loro mix al momento è minore del fabbisogno prevedibile», spiega Milano Finanza; dall’altro, precisa l’Economist, il sistema Ets dell’Unione Europea ha fatto schizzare alle stelle il prezzo dei permessi inquinanti, «che i produttori di carbone devono comprare per emettere Co2. Dai 30 euro a tonnellata di inizio anno si è passati ai 63 euro di settembre. E se viene bruciato più carbone per compensare la mancanza di gas naturale, l’aumento della domanda per i permessi farà aumentare anche il loro costo».

Conciliare presente e futuro

La posizione del commissario europeo Simson sarà dunque furba ed equilibrata, ma è insostenibile. Non a caso, tre leader europei si sono scagliati contro la Commissione Europea, sollecitandola a intervenire per far abbassare i prezzi. «La Commissione deve agire immediatamente», ha dichiarato in forma anonima un importante politico europeo al Financial Times. «Altrimenti il Green Deal diventerà il simbolo dei prezzi alti dell’energia e al posto dei gilet gialli in Francia, avremo gilet dappertutto».

Davanti a queste proteste, l’Ue ha adottato la sua solita tattica: ignorare le critiche e tirare dritto per la propria strada. Frans Timmermans, responsabile europeo del Green Deal, impermeabile alla difficoltà di famiglie e imprese, ha risposto more solito rivolgendo il suo sguardo al futuro: «Il livello di disordini sociali sarà insopportabile se non ci occupiamo ora della crisi climatica. I nostri figli dovranno combattere guerre per assicurarsi l’acqua e il cibo se non ci occupiamo oggi della crisi climatica». Detto del futuro, non ha speso una parola sul presente.

«Non bisogna essere ideologici»

Ha parlato invece Emma Marcegaglia, già presidente di Confindustria e dell’Eni, che oggi a Roma ha aperto in qualità di presidente il B20, l’incontro delle associazioni industriali delle prime venti economie del mondo. «L’aumento del prezzo dell’energia è un choc terribile, l’impatto sui costi di tutte le aziende è estremo», ha dichiarato al Corriere. Aggiungendo:

«La transizione energetica, se non gestita in modo serio, pragmatico e intelligente, può portare a situazioni difficili come questa. Serve l’impegno di tutti per il clima, ma è pericoloso trattare questioni così complesse in modo semplicistico. Se ci facciamo del male da soli, finiremo anche per mancare gli obiettivi di riduzione delle emissioni. In questa fase siamo soggetti a un traino ideologico da entrambe le parti: quelli che dicono che il problema non esiste e gli altri, che lo vedono in maniera un po’ semplicistica. Le rinnovabili vanno bene, ma dobbiamo tenerci aperte tutte le opzioni, in un regime di neutralità tecnologica: non ci sono metodi a priori accettabili per ridurre le emissioni e altri che a priori non lo sono. Ci vogliono un carbon pricing a livello mondiale e un accordo internazionale sulla tassonomia, cioè sulle fonti su cui si può investire in quanto verdi. Occorre usare per un certo periodo il gas naturale, ricorrere all’elettrificazione ed esplorare l’opzione della cattura delle emissioni o della fusione nucleare».

La Commissione europea, poco tempestiva, ha comunque assicurato che a dicembre presenterà qualche proposta per limitare i danni. Posto che tra tre mesi la situazione potrebbe essere già degenerata, staremo a vedere se si tratterà dei soliti «bla bla bla», per utilizzare un’espressione molto in voga, o di interventi risolutivi.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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