Fukushima un anno dopo: «Come hanno fatto a equipararla a Chernobyll?»

Di Daniele Ciacci
10 Marzo 2012
Intervista a Pio d'Emilia, corrispondente da Tokyo per SkyTg24 e autore di Tsunami nucleare (Manifestolibri, pp. 128, 10 euro). «Non c'è stata la stessa, pesante contaminazione atmosferica. Ma è stata gestita malissimo la contaminazione alimentare».

L’11 marzo ricorre l’anniversario dalla tragedia di Fukushima. Tempi.it ha voluto fare il punto sulla condizione nipponica attuale con Pio d’Emilia, corrispondente da Tokyo per SkyTg24 e autore di Tsunami nucleare (Manifestolibri, pp. 128, 10 euro). «È molto probabile che si arrivi all’esasperazione. Se esplodono degli scontri di piazza, qui ci scappa il morto. E, al momento, l’indignazione generale è altissima».

A un anno dal terremoto, com’è la situazione in Giappone?
Per la prima volta il Giappone è veramente in ginocchio. L’anno scorso ha avuto il terremoto, lo tsunami e un incidente nucleare che continua a rappresentare una forma di stress nazionale e di causa dirompente di dissenso sociale nel rapporto con le istituzioni. Non escludo scontri in piazza.

Da noi in Occidente, però, molto si è detto sull’unità dei giapponesi e sulla loro velocità nel ripartire.
Il popolo nipponico ha un grande senso della dignità e della efficienza. Ma ci sono alcune pecche che la gente non capisce. Quella di Fukushima, ad esempio, non è stata una catastrofe naturale. Il danno ai reattori è stato causato dal terremoto, non dallo tsunami. La qual cosa, toglie la giustificazione che il problema sia dovuto a cause eccezionali. La catastrofe è stata causata dal terremoto, non dall’onda di trenta metri. Il sisma non fu dell’ottavo, né del nono grado, ma del sesto. Una forza abbastanza moderata per la normale attività sismica giapponese. Perciò, si sono rotti dei tubi di raffreddamento obsoleti, non tenuti in maniera appropriata. La Commissione per la Sicurezza nucleare ha taciuto sulle possibile falle del sistema. D’altronde, i nipponici hanno pagato una scelta politica di ormai sessant’anni fa, quando gli americani vendettero al Sollevante i propri reattori in disuso. Molte delle 54 centrali nucleari sono costruite in base a principi irresponsabili. Per esempio, Fukushima è sorta in una zona altamente sismica senza garanzie di sicurezza.

Quali sono i sentimenti del popolo?
I giapponesi ce l’hanno con i piani alti del governo. Hanno capito di essere stati ingannati. Il Giappone è sempre stato sottomesso alle autorità. Dagli ultimi scontri in piazza del ’68, repressi nel sangue, i giapponesi non sono più usciti allo scoperto. La nuova urbanizzazione non ha favorito gli slarghi e le piazze proprio per evitare gli assembramenti. Il popolo si nasconde. Come le macerie dello tsunami. Adesso sembra tutto pulito, ma i rifiuti sono stati inviati all’interno dell’isola, lontano dagli occhi.

Si sta ricostruendo?
Manca assolutamente ogni traccia di riedificazione. Gli unici edifici sorti sono i pachinko, i mausolei del gioco d’azzardo organizzati dalla mafia. Si sta instaurando una tensione tra enti antagonisti ed esigenze diverse. La ricostruzione dipende sì dai soldi, ma anche dai nuovi progetti urbanistici e dagli assetti industriali produttivi che si hanno in mente. I contadini e i pescatori nipponici sono istericamente legati al territorio. Preferiscono vivere in catapecchie sulla spiaggia piuttosto che spostarsi all’interno, in un territorio non loro. Sono molto fermi su questo. L’aeroporto di Narita è rimasto armato in stato d’assedio perché un contadino si è rifiutato di vendere un appezzamento di terreno. Solo dopo quarant’anni sono riusciti a unire primo e secondo terminal. Poi c’è un problema strettamente economico: la zona di Fukushima è come il Sud dell’Italia, meno progredito.

Come è stata gestita l’emergenza nucleare?
Al momento del guasto al reattore, circa un anno fa, ero in aperta polemica con alcuni giornali occidentali che trattavano Fukushima come Chernobyl. Non c’è stata la stessa, pesante contaminazione atmosferica. Ma è stata gestita malissimo la contaminazione alimentare. Non c’è stato alcun blocco di bestiame e ortaggi. Così, la contaminazione si è sparsa a pelle di leopardo. Adesso, ogni prodotto è a rischio contaminazione. E questo è causa di un intimo stress sociale. I giapponesi hanno un termine per descrivere l’armonia, l’equilibrio sociale: “wa”. La coesione è ciò che ha mandato avanti il paese fino adesso. Questo fa fronte comune al problema nucleare.

In merito all’energia atomica, cosa si pensa di fare?
In questo momento in Giappone, su 54 reattori ufficialmente esistenti, solo uno è in funzione. Alcuni sono rotti, alcuni sospesi, altri in esame o in manutenzione. Ma non ci sono blackout, tutto funziona. L’energia nucleare era così indispensabile? Non si direbbe. Nel popolo si sta iniettando un forte sentimento antinucleare. Ma il governo è ricattato dalla fortissima industria nucleare. E il Giappone non può farne a meno: la sua situazione economica non è brillante. La bilancia commerciale è in rosso da 35 anni. È il secondo paese al mondo per riserve valutarie, ma ha il 220% del Pil in debito pubblico.

C’è qualche traccia di apertura verso le rinnovabili?
Qualche piccolo spunto c’è, ma non da parte delle dieci grandi utilities energetiche. Sono due le società che si stanno lanciando verso l’energia verde: la Rakuten di Mikitani e la Soft Bank di Masayoshi Son. Quest’ultima ha annunciato la costruzione di 300 centrali fotovoltaiche. I vecchi baroni dell’energia, invece, fanno resistenza. Vogliono ripartire con i vecchi reattori. Ma la gente non li vuole più, ed è difficile si facciano. La decisione definitiva sulla ripresa del nucleare deve essere presa dai governatori delle prefetture e dai sindaci, che sono a contatto quotidianamente con la gente. Sono l’anello della catena che unisce la politica reale alla politica regale. Sarà difficile che non vengano influenzati dall’ondata anti-nucleare.

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