Fascino, ragione e “l’abbraccio che vogliamo”. Padre Romano Scalfi e 90 anni da testimone

Di Redazione
19 Gennaio 2013
Bellissima interviste di Marina Corradi al Fondatore di Russia Cristiana. L'Urss, il relativismo che sfascia l'Occidente e l'incontro con quel prete "strambo": don Giussani

Segnaliamo che oggi su Avvenire appare una bella intervista di Marina Corradi a padre Romano Scalfi, fondatore di “Russia Cristiana” , classe 1923. Scalfi (qui un’intervista concessa Tempi qualche anno fa) ha dedicato la vita per la «rievangelizzazione dell’Est – perché la fede rinascesse, nel dominio del socialismo reale. Decenni di viaggi, contatti, amicizie, di samizdat nascostamente trafugati in Occidente e di Bibbie altrettanto nascostamente diffuse laggiù. È la lunga attività di “Russia cristiana”, che oggi ha sede qui a Seriate. Pochi, ti dici, come questo sacerdote delle Valli Giudicarie, una gran barba da starets, evocano con la loro persona la parola “testimone”».

LA FEDE NELL’URSS. Scalfi racconta come arrivò e si innamorò della Russia, sebbene negli anni Settanta e Ottanta, in quanto persona no grata, non poté varcarne i confini. Ma, dice, «settant’anni di comunismo non sono bastati a cancellare la fede dal cuore dei russi. Nell’88, quando si è cominciato a poter parlare di fede apertamente, l’80% della popolazione si dichiarava credente. Abbiamo assistito a una rinascita, si facevano battezzare in 100 alla volta. In una forte confusione di idee, certo: si dicevano cristiani e però non credevano alla immortalità, oppure davano credito alla superstizione. Ora lo slancio di vent’anni fa si è arenato, e i problemi della Chiesa sono simili ai nostri».

IL RELATIVISMO. «Vent’anni di consumismo, peggio che settanta di comunismo?», chiede Corradi. «Il problema della Russia oggi, come dell’Occidente, – risponde Scalfi – più che il consumismo è il relativismo. Il quale a sua volta è l’ultima deriva del razionalismo di cui anche Marx è espressione. La falsità fondamentale del marxismo era nel dire che la coscienza dell’uomo è determinata dalle forze produttive e dai rapporti di produzione: l’uomo dunque non era più libero, la sua natura era stata alterata. Anche il relativismo oggi nega questa natura, nega il cuore dell’uomo come innato, quando afferma che non esiste una verità assoluta. Quando dice, come si usa tra i fautori del pensiero debole, che fra menzogna e verità non c’è differenza. Se fosse vero, non avrebbe senso l’azione stessa dell’uomo. È questo, a mio parere, che sta disfacendo l’Occidente».

CUORE E RAGIONE. Come uscire da questa situazione?  «Dobbiamo recuperare il valore totale della ragione. L’uomo, per capire, ha bisogno della testa e del cuore – del cuore inteso in senso biblico. Educato nella tradizione orientale, io so che l’uomo comprende solo nella integrità della sua persona. Il relativismo non si vince combattendo la ragione, ma inserendola nella interezza della persona. (Come dicevano i Padri del IV secolo: “Conosco solo ciò che diventa in me vita”). E credo che questo sia il cammino indicato da Benedetto XVI per l’anno della Fede. Si riparte da una ragione allargata. Chi ha dei figli si accorge che il loro stupore, da piccoli, di fronte alla bellezza, genera una domanda, e una affezione. Gregorio di Nissa ha detto: “Solo lo stupore conosce”».

NON MORALISMO, MA FASCINO. Il sacerdote specifica che non si deve partire «da un moralismo, ma da ciò che affascina: cioè il bisogno che l’uomo ha di infinito, di amore autentico, di libertà vera. Occorre partire da una pienezza. Non da un elenco di retti comportamenti, ma invece dal riconoscimento del Mistero». E la strada per accedere a questo Mistero è «la bellezza. La bellezza è la prima cosa necessaria alla missione, specialmente oggi, dentro a una ragione dimezzata. La bellezza colpisce il cuore; la bellezza contagia. E la liturgia deve essere bella, ma senza che ci sia nulla da inventare. L’eternamente “nuovo” è Cristo. E l’opera del sacerdote non è una tecnica, è vita. Occorre solo che siamo innamorati di Cristo. Se un prete fa un’omelia di un’ora, già gli manca il criterio della bellezza. Perché il centro, il fuoco della Messa è l’Eucarestia, è Cristo. Si tratta solo di tornare al centro. Il resto, è secondario».

DON GIUSSANI. Scalfi racconta anche del suo incontro con don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione: «Qualcuno mi disse che a Milano c’era un prete strambo, sempre circondato da ragazzi. Andai, mi ritrovai in uno stanzone dove giocavano a ping pong. Arrivò Giussani, “E tu chi sei”, mi chiese. Dissi due cose e subito lui mi abbracciò, senza sapere nemmeno ancora chi fossi. Semplicemente, mi abbracciò. Non l’ho più lasciato, e anni dopo ho aderito a CL. Non è un abbraccio, prima di tutto, ciò che vogliamo?».

I SANTI. Infine Corradi gli chiede se ha conosciuto dei santi: «I santi esistono ancora, io ne ho incontrati. Il mio padre spirituale al Russicum, don Eugenio Bernardi, è Beato. Anche a un allievo indisciplinato come me, la sua umanità si imponeva. Mi creda, un solo santo – basta pensare nei nostri anni a Giovanni Paolo II – cambia il mondo, più di 100 Nobel».

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