Famiglia. Ecco come è diventata una cosa secondaria (se non un peso inutile)
«Una famiglia sulle spalle e non alle spalle», dice lo statistico nel suo ultimo lavoro da poco uscito per Vita e pensiero La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?. La scelta di dare vita a un progetto del genere arriva tardi temporalmente perché è concettualmente percepita come secondaria. E anche perché fattori di indiscussa positività come l’allungamento dell’aspettativa media di vita e la maggior scolarizzazione creano l’illusione che certe scelte siano a tal punto rimandabili che spesso il famigerato momento giusto non arriva mai.
I fasti demografici e lo sgabello
Il momento di gloria della famiglia italiana si verifica tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Settanta, con tassi di nuzialità che non scendono mai sotto i sette matrimoni ogni 1.000 abitanti (contro i 3,5 di oggi). «La famiglia tradizionale – scrive Volpi – ha avuto più successo nei “rivoluzionari” anni Sessanta di quanto non ne ebbe nel ventennio fascista», rappresentando «una leva della quale il paese seppe farsi forte per risollevarsi dalle tragedie della guerra e imboccare la strada di una difficile ricostruzione, fino a gettare le basi del suo primo vero, e più decisivo, avanzamento/ammodernamento economico».
Il referendum sul divorzio del 1974 segna la crisi di un modello che sembrava in ottima salute. Il divorzio che appariva tutto «tarato sulla maggior forza maschile» si rivela presto «uno sgabello servendosi del quale la donna avrebbe riequilibrato ulteriormente il divario che ancora la separava dal maschio e dal marito».
La tesi di Volpi è che la famiglia iniziò a perdere terreno non perché il suo “successo” iniziato nel dopoguerra fosse fasullo, ma per il verificarsi nella società di «cambiamenti tali da “portare” per un verso a meno famiglia e, per l’altro, da “richiedere” meno famiglia». È il caso di un sistema economico-produttivo che non ha più bisogno di una famiglia per esistere, ma che si nutre essenzialmente della forza (e dei consumi) dell’individuo. Così ieri la famiglia era la squadra con cui si tentava di lasciare un’impronta nel mondo (non possono non venire alla mente le vivaci storie imprenditoriali familiari di cui l’Italia è ricca); oggi è un punto di arrivo, il coronamento di un sogno che rischia di non avere il tempo e le energie per realizzarsi compiutamente.
Di fronte a cambiamenti così poderosi non regge il tentativo di raccontare il passato come migliore del presente, come spesso fa una certa retorica pro famiglia collocandosi fatalmente nella schiera delle battaglie di retroguardia. Occorre, Volpi lo spiega alla fine del libro, riequilibrare quell’individualismo, non censurarlo, ma farlo venire fecondamente a patti con la famiglia solida di cui la società ha bisogno. Ricominciando a credere (e dunque a mostrare) che la famiglia può essere un ambito fecondo per l’individuo. Non è molto diverso da ciò che si auspicava nel documento preparatorio al Sinodo sulla famiglia tutt’ora in corso.
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Chi sono io per giudicare un gay, e più in generale chi sono io per giudicare un qualsiasi peccatore. Ma la lobby gay…ah quella sì che è tremenda, la lobby gay…che sta distruggendo i fondamenti della convivenza civile e dell’antropologia umana e costituisce una minaccia per la pace, come disse giustamente il papa Benedetto XVI nel suo celebre messaggio per la giornata della pace del 2012.