Famiglia. Ecco come è diventata una cosa secondaria (se non un peso inutile)

Di Laura Borselli
16 Ottobre 2014
Ieri era la squadra con cui tentare di lasciare un’impronta nel mondo, oggi è minacciata dall’individualismo. Roberto Volpi e la crisi della famiglia

roberto-volpi-la-nostra-societa-ha-ancora-bisogno-della-famigliaMeno matrimoni, meno figli, nuclei famigliari più numerosi ma più piccoli ed enormemente più deboli. Nella sua disamina dello stato di salute della famiglia contemporanea lo statistico Roberto Volpi non scopre certo malattie nuove, ma ne individua le cause in maniera non scontata. A cominciare dalla crisi economica, che per Volpi è un fattore aggravante ma non scatenante. Se ci sposiamo a trent’anni abbondanti, se facciamo figli quando la natura sarebbe meno propensa a permettercelo, se i nostri bambini sono figli unici, se le nostre case sono una tana sempre meno affollata invece che il punto di partenza per essere creativi nel mondo, non è solo perché la disoccupazione galoppa e le tasse ci tolgono il fiato. Se accade tutto questo, sostiene Volpi, è perché da tempo la famiglia ha smesso di essere un fattore del nostro successo, anche come paese, per rimanere un peso, una palla al piede, un ostacolo alla realizzazione personale dei suoi componenti.

«Una famiglia sulle spalle e non alle spalle», dice lo statistico nel suo ultimo lavoro da poco uscito per Vita e pensiero La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?. La scelta di dare vita a un progetto del genere arriva tardi temporalmente perché è concettualmente percepita come secondaria. E anche perché fattori di indiscussa positività come l’allungamento dell’aspettativa media di vita e la maggior scolarizzazione creano l’illusione che certe scelte siano a tal punto rimandabili che spesso il famigerato momento giusto non arriva mai.

I fasti demografici e lo sgabello
Il momento di gloria della famiglia italiana si verifica tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Settanta, con tassi di nuzialità che non scendono mai sotto i sette matrimoni ogni 1.000 abitanti (contro i 3,5 di oggi). «La famiglia tradizionale – scrive Volpi – ha avuto più successo nei “rivoluzionari” anni Sessanta di quanto non ne ebbe nel ventennio fascista», rappresentando «una leva della quale il paese seppe farsi forte per risollevarsi dalle tragedie della guerra e imboccare la strada di una difficile ricostruzione, fino a gettare le basi del suo primo vero, e più decisivo, avanzamento/ammodernamento economico».

Il referendum sul divorzio del 1974 segna la crisi di un modello che sembrava in ottima salute. Il divorzio che appariva tutto «tarato sulla maggior forza maschile» si rivela presto «uno sgabello servendosi del quale la donna avrebbe riequilibrato ulteriormente il divario che ancora la separava dal maschio e dal marito».

La tesi di Volpi è che la famiglia iniziò a perdere terreno non perché il suo “successo” iniziato nel dopoguerra fosse fasullo, ma per il verificarsi nella società di «cambiamenti tali da “portare” per un verso a meno famiglia e, per l’altro, da “richiedere” meno famiglia». È il caso di un sistema economico-produttivo che non ha più bisogno di una famiglia per esistere, ma che si nutre essenzialmente della forza (e dei consumi) dell’individuo. Così ieri la famiglia era la squadra con cui si tentava di lasciare un’impronta nel mondo (non possono non venire alla mente le vivaci storie imprenditoriali familiari di cui l’Italia è ricca); oggi è un punto di arrivo, il coronamento di un sogno che rischia di non avere il tempo e le energie per realizzarsi compiutamente.

Di fronte a cambiamenti così poderosi non regge il tentativo di raccontare il passato come migliore del presente, come spesso fa una certa retorica pro famiglia collocandosi fatalmente nella schiera delle battaglie di retroguardia. Occorre, Volpi lo spiega alla fine del libro, riequilibrare quell’individualismo, non censurarlo, ma farlo venire fecondamente a patti con la famiglia solida di cui la società ha bisogno. Ricominciando a credere (e dunque a mostrare) che la famiglia può essere un ambito fecondo per l’individuo. Non è molto diverso da ciò che si auspicava nel documento preparatorio al Sinodo sulla famiglia tutt’ora in corso.

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1 commento

  1. Bifocale

    Chi sono io per giudicare un gay, e più in generale chi sono io per giudicare un qualsiasi peccatore. Ma la lobby gay…ah quella sì che è tremenda, la lobby gay…che sta distruggendo i fondamenti della convivenza civile e dell’antropologia umana e costituisce una minaccia per la pace, come disse giustamente il papa Benedetto XVI nel suo celebre messaggio per la giornata della pace del 2012.

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