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Home Salute e bioetica

Aiutare i fragili? No, ammazzarli

Per mesi abbiamo lottato per preservare i più deboli dal contagio del Covid-19, ma ora il ministro Speranza rilancia una legge per l'eutanasia

Emanuele Boffi
13/08/2021 - 3:00
Salute e bioetica
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Roberto Speranza, ministro della salute del Governo italiano
Roberto Speranza, ministro della Salute del Governo italiano

Settimana centrale d’agosto. C’è il problema di riempire i giornali e i politici (e i giornalisti) se ne approfittano per polemicuzze estive, da ombrellone, quelle che valgono giusto un like sui social. Chi la spara più grossa fa notizia durante tutto l’anno, figuratevi a ferragosto.

Così Monica Cirinnà dice che «la verifica del Green Pass per le persone trans è umiliante», Roberto Saviano che il problema della mafia «è la famiglia», Tomaso Montanari che Maria Vergine «è marxista», Claudio Durigon che il parco Falcone e Borsellino deve tornare a chiamarsi «Arnaldo Mussolini», Enrico Letta risfodera un grande classico: lo ius soli. Che afa, che noia.

La lettera di Mario

Va bene, è la solita vecchia storia. Tra le tante “sparate” agostane una pare più grave delle altre ed è quella del ministro Roberto Speranza, quello del “non libro” secondo cui il Covid rilancerà le ricette della sinistra.

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Ieri, rispondendo alla sollecitazione di Mario – un uomo di 43 anni, paralizzato nel su letto che sulla Stampa gli aveva scritto una lettera aperta dal titolo “Voglio morire con dignità vi prego, ora lasciatemi andare” – ha scritto sullo stesso quotidiano che farà tutto il possibile affinché le Asl garantiscano il suicidio assistito.

La risposta di Speranza

Forse per far dimenticare i pasticci sul Green Pass, Speranza rilancia un tema caro dalle sue parti, quello della necessità di una legge sul fine vita. Il ministro lo fa richiamando la pilatesca sentenza della Consulta del 2019 (nella quale, comunque, erano fissati dei paletti per la non punibilità di chi agevolava l’aiuto al suicidio. Il caso di Mario è tra questi?).

Ma, si sa, qui più che le norme e le sentenze dietro cui si ripara Speranza, a contare è il messaggio: si approvi una legge sull’eutanasia. A lui delle persone in carne e ossa importa poco, gli interessa salvare il principio ideologico (come ha notato il Cs Livatino, al ministro compete il richiamo a garantire le cure palliative, non scaricare il problema sulle Asl).

Due pagine sull’eutanasia

D’altro canto, bastava guardare le due pagine della Stampa in cui la lettera del ministro era collocata. Un articolo intitolato “Eutanasia, sprint finale. Dopo 37 anni di lotte deciderà il referendum” (i radicali dicono di aver già raccolto 370 mila firme) e un’intervista – immancabile – a Peppino “La verità di papà Englaro: ‘Grazie alla mia Eluana adesso il Paese è pronto'”.

A corredo fotografico le immagini di Piergiorgio Welby, Dj Fabo, Eluana Englaro, Patrizia Cocco e una cartina che mostrava graficamente come nell’Europa occidentale solo Irlanda e Italia non abbiano una legge sull’interruzione volontaria della vita.

Una legge per salvarli e una per ucciderli

È davvero un paradosso che nel periodo storico in cui si sta facendo di tutto per preservare la vita dei più deboli, si invochino le mani libere per uccidere quegli stessi.

Paradosso nel paradosso è che spesso quegli stessi che sono favorevoli all’eutanasia siano gli stessi che vorrebbero imporre obblighi a tutti perché si vaccinino. Vogliono una legge per preservare i fragili e vogliono una legge per ammazzarli.

Dolce morte on demand

Ieri su Avvenire Assuntina Morresi aiutava a guardare la questione secondo un’altra prospettiva, più umana e più razionale (“Curare la persona, rimuovere il dolore. Per solidarietà non per morte”).

Scriveva Morresi che se il criterio per porre fine alla vita non è il dolore, ma la sofferenza, cioè qualcosa di esclusivamente soggettivo, allora «l’eutanasia non può che diventare on demand: solo ognuno di noi sa dire quando è arrivato al limite di sopportabilità. È per questo che nei Paesi con leggi sulla morte assistita i “paletti” vengono via via eliminati, nel tempo: c’è sempre qualche persona sofferente che si sente ingiustamente esclusa da una morte liberatoria».

L’orpello della solidarietà

Se la morte diventa un diritto, la solidarietà è un orpello. Perché cercare di salvare coloro che tentano il suicidio? Esiste qualcuno più consapevole di loro nel volere farla finita?

«È a questo punto – ha scritto Morresi – che emerge la principale conseguenza della morte che diventa un diritto: lo sminuirsi della solidarietà umana, cioè della responsabilità e del farsi carico del prossimo, specie di chi è più fragile, e quindi la perdita della pervicacia creativa che fa escogitare soluzioni a problemi apparentemente insolubili, scovare vie d’uscita dentro a un vicolo cieco. Quella solidarietà che fa crescere la consapevolezza di appartenere alla medesima comunità umana e per questo si fa carico di prevenire i suicidi, di costruire opere per le persone anziane, per quelle sole, per chi ha perso consapevolezza di sé, per chi “non c’è più niente da fare” se non aspettare la morte».

Li avete visti i numeri dell’Olanda?

I cantori dell’eutanasia dovrebbero guardare cosa succede negli Stati dove la dolce è diventata legale: vi sembrano dei paradisi?

L’ultimo rapporto del governo olandese dice questo: 88 uccisi per depressione, 235 per vecchiaia, 4 per Covid, 168 per demenza e 2 senza esplicita richiesta. Tra i morti anche un ragazzino.

Foto Ansa

Tags: Covid-19dj faboeluana englaroEutanasiaPiergiorgio Welbyroberto speranzasuicidio assistito
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