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Per l’Europa la strage di Pentecoste ha “poco o nulla” a che fare con la religione

«Un'altra strage di cristiani non viene riconosciuta tale dagli alfieri dei diritti Ue. Dal Pakistan alla Nigeria la linea negazionista cancella riferimenti a perseguitati e carnefici. Ma la fede non è un fatto privato». Intervista all'eurodeputato Carlo Fidanza

Caterina Giojelli
12/06/2022 - 6:27
Esteri
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La chiesa di St Francis, a Owo, in Nigeria. Decine di cristiani sono stati massacrati durante la messa di Pentecoste
La chiesa di St Francis, a Owo, in Nigeria, dove decine di cristiani sono stati massacrati durante la messa di Pentecoste (foto Ansa)

Decine di cristiani massacrati in una Chiesa, a messa, sotto il crocifisso con i loro bambini e l’Europa si dice «sconvolta», «le cause alla base di questa insicurezza in Nigeria non sono però radicate nella religione. A volte ci sono degli attacchi a sfondo religioso, però sono principalmente dovuti a circostanze locali, per esempio la concorrenza per risorse scarse, la povertà endemica, la poca istruzione, il basso accesso ai servizi pubblici, disoccupazione». A causarli, dunque è «in generale un senso di esclusione».

Esclusione: è questa la lettura che Dombrovskis Valdis, vicepresidente esecutivo della Commissione europea ha dato dell’orrenda strage di Pentecoste in Nigeria per condannare «questo attacco e la violenza in tutte le sue forme, a prescindere dalla fede, dalla religione». Slogan a cui ancora una volta non seguono fatti, spiega a Tempi Carlo Fidanza, deputato di Fratelli d’Italia – ECR al Parlamento Europeo e co-presidente, insieme a Peter Van Dalen del Ppe dell’intergruppo sulla libertà religiosa. «Anzi, nel dibattito che abbiamo chiesto e ottenuto nell’ultima plenaria di Strasburgo, tenutosi rigorosamente in tarda serata lontano dalle telecamere, il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskis ha sposato una linea negazionista piuttosto diffusa negli ambienti laicisti. Secondo questa lettura le cause dei continui massacri di cristiani in Nigeria sarebbero da ricondurre a questioni locali, dispute territoriali, disuguaglianze sociali. Poco o nulla avrebbero a che fare con il fattore religioso. Mi è parso doveroso ribadire che purtroppo non è così, che la stragrande maggioranza – proprio come le vittime innocenti della Pentecoste – viene uccisa perché cristiano e perché il loro essere cristiani si traduce in una presenza improntata a un modello sociale ed economico che punta allo sviluppo di quelle terre e non alla loro depredazione. È per questo che i cristiani laggiù sono scomodi. Ma se ci si rifiuta di aprire gli occhi e, nel contempo, non si riconosce che il genocidio dei cristiani ci riguarda perché riguarda quella stessa croce che ha forgiato la civiltà europea, è chiaro che non ci potrà mai essere reazione».

Il 19 maggio, in seguito al massacro della studentessa cristiana Deborah Yakubu, lapidata e bruciata viva, e agli assalti alle chiese,  il Parlamento Ue ha deciso di respingere (244 eurodeputati contro, 231 a favore) la richiesta di un dibattito sui massacri dei cristiani in Nigeria. Poche ore prima avevano parlato al parlamento Ue Shagufta Kauser e Shafqat Emmanuel, coppia di coniugi pakistani condannati a morte per blasfemia. Cosa ci dice di quella testimonianza e a cosa è servita?

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Quel voto è stata una vergogna, per questo non appena ricevuta la tragica notizia di Owo abbiamo subito ripresentato analoga richiesta. E stavolta, di fronte a 50 vittime innocenti, hanno avuto il buon cuore di non opporsi. Però non hanno voluto che si votasse una mozione e del resto, in occasione del voto su una risoluzione specifica sulle persecuzioni religiose, la stessa maggioranza aveva espunto dal testo ogni riferimento ai cristiani e ai loro carnefici. Come a dire: sì, muoiono in tanti, ma non possiamo dire né chi sono né chi li uccide. A questa maggioranza di cristianofobi avrebbe fatto molto bene ascoltare le testimonianze dei due coniugi pakistani, salvati dalla pena di morte per blasfemia grazie anche al lavoro dell’intergruppo parlamentare per la libertà religiosa che ho l’onore di co-presiedere. Grazie alla loro voce abbiamo compreso fino in fondo la pervicacia delle leggi anti-blasfemia che diventano strumento di vendette personali. Parliamo di nazioni enormi, nel caso della Nigeria di una nazione ricca, in quello del Pakistan di una potenza nucleare. Capire come aiutare le comunità sul piano anche giuridico è essenziale.

5.898 è il numero di cristiani ammazzati lo scorso anno, 16 al giorno. 5.110 sono le chiese attaccate o distrutte. 6.175 i cristiani arrestati e incarcerati senza processo, 3.829 quelli sequestrati. In totale, il numero dei cristiani che hanno subito persecuzioni, agguati, massacri, sequestri nel 2021 a causa della propria fede è circa 360 milioni. Tutti dati in aumento. E il posto dove vengono ammazzati più cristiani al mondo è la Nigeria. Che posto ha nell’agenda del Parlamento europeo la tutela della libertà religiosa?

Noi come intergruppo facciamo del nostro meglio per tenere desta l’attenzione ma, nonostante gli sforzi, non riusciamo ad avere membri attivi dai gruppi della sinistra. I pochi sensibili alla tematica sono in una posizione di subalternità culturale all’interno dei rispettivi gruppi. Questo porta a difficoltà anche nel calendarizzare un doveroso dibattito dopo una strage. E d’altra parte non va meglio a livello di Commissione europea, la quale da mesi deve nominare il nuovo Inviato speciale per la libertà religiosa ma, nonostante o nostri ripetuti appelli, ancora non lo ha fatto. È riuscito ad arrivare prima persino il governo italiano che, in altre faccende affaccendato, ha trovato il tempo di indicare nel consigliere diplomatico Andrea Benzo il nuovo inviato per l’Italia.

In Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa, dove i cristiani costituiscono poco più del 50 per cento della popolazione, i fedeli si trovano stritolati in una tenaglia letale costituita dai terroristi islamici di Boko Haram e Iswap da una parte e i mandriani musulmani Fulani dall’altra. E nonostante l’impressionante aumento della violenza, gli Stati Uniti di Joe Biden hanno inspiegabilmente deciso di espungere la Nigeria dalla lista dei paesi che preoccupano dal punto di vista della libertà religiosa. Qual è l’approccio europeo e come interviene, in che modo e quante risorse arrivano dall’Europa a Buhari?

La scelta dell’amministrazione Biden è stata un errore clamoroso. I dati che abbiamo pubblicato nel Report periodico sulla libertà religiosa del nostro intergruppo, raccolti grazie al lavoro delle più importanti Ong di ispirazione cristiana, ci dicono che la Nigeria è uno dei paesi in cui la situazione si è maggiormente deteriorata negli ultimi anni. Alle milizie islamiste affiliate a Isis e Al Qaeda si sono aggiunte le tribù di pastori Fulani, anch’essi musulmani, che scendono verso sud tentando di sradicare la presenza cristiana, distruggendone l’identità religiosa e appropriandosi di quelle terre. Come noto, l’Ue ha una politica estera debole e ha un solo strumento a disposizione, quello economico-finanziario. È difficile quantificare quanti soldi diamo ogni anno alla Nigeria grazie a vari progetti di cooperazione e per questo depositerò un’interrogazione urgente per conoscerne l’entità reale che dovrebbe essere comunque nell’ordine delle centinaia di milioni di euro. Ecco, è tempo di condizionare ogni singolo euro donato dall’Ue alla Nigeria all’impegno concreto del governo Buhari nel contrastare queste bande e garantire la libertà religiosa e la sicurezza, in primis alle comunità cristiane.

Nell’Europa dei soli “diritti” la libertà religiosa è un problema?

L’Ue persegue un’agenda molto spinta sul piano dei “diritti”, che mi spinge a pensare che ormai ogni licenza e ogni preferenza personale diventi di per sé diritto socialmente riconosciuto. Eppure quando si parla di libertà religiosa, cioè di un diritto umano fondamentale riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali, scatta un riflesso ideologico che fonda però su un presupposto sbagliato. Certo da cattolico mi sento personalmente più vicino ai miei fratelli di fede, ma difendere la libertà religiosa significa difendere il diritto di ogni comunità e di ogni singolo individuo a credere ma anche a non credere, e a non essere discriminato o perseguitato per questo. Affermare che i cristiani sono di gran lunga i più perseguitati non vuol dire sposare una visione confessionale; dire che tra i responsabili di queste persecuzioni la gran parte sono musulmani o che l’antisemitismo dilaga nelle comunità musulmane in Europa non significa essere islamofobi. Perché ad altre latitudini ci sono minoranze di musulmani perseguitate da altri musulmani. È semplicemente la tragica realtà, che va affrontata per quella che è, chiamando le cose con il proprio nome per poterle affrontare. Il resto è cancel culture che pretende di relegare la fede ad un fatto privato, eliminandone la dimensione di testimonianza pubblica. Un male a cui non ci possiamo rassegnare.

Tags: Cristiani PerseguitatiNigeriaTerrorismo IslamicoUnione Europea
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