
Vuoi combattere i cambiamenti climatici? Non fare come l’Europa

In tutto il mondo, le finanze pubbliche sono messe a dura prova. La crescita pro capite continua a diminuire, mentre i costi per pensioni, istruzione, sanità e difesa aumentano. Queste priorità urgenti potrebbero facilmente assorbire un ulteriore 3-6 per cento del Pil. Eppure, i sostenitori delle campagne green stanno chiedendo a gran voce ai governi di spendere fino al 25 per cento del nostro Pil, soffocando la crescita in nome della lotta ai cambiamenti climatici. Se l’Armageddon climatico fosse imminente, avrebbero ragione. La verità è però molto più prosaica.
Quanto incidono i cambiamenti climatici sul Pil
Recentemente sono stati pubblicati due importanti studi scientifici sui costi globali complessivi dei cambiamenti climatici. Non si tratta di singoli studi che possono variare (con gli studi più costosi che ricevono una grande attenzione dai media). Si tratta di meta-studi basati sull’intero corpus della letteratura sottoposta a revisione paritaria. Uno è stato scritto da uno degli economisti climatici più citati, Richard Tol; l’altro è di William Nordhaus, l’unico economista climatico ad aver vinto il premio Nobel.
Gli studi suggeriscono che un aumento della temperatura di 3°C entro la fine del secolo – leggermente pessimista sulla base delle tendenze attuali – avrà un costo globale pari a una percentuale tra l’1,9 e il 3,1 per cento del Pil globale. Per mettere questo in prospettiva, le Nazioni Unite stimano che entro la fine del secolo, ogni persona sarà in media più ricca del 450 per cento rispetto ad oggi. A causa dei cambiamenti climatici, però, sarà “solo” un 435-440 per cento di ricchezza in più rispetto a quella attuale.
La realtà e l’allarmismo di media e attivisti
Perché questa realtà è così diversa dall’impressione che ci è stata data dai media? I sostenitori allarmisti e i giornalisti creduloni non tengono conto del semplice fatto che le persone sono straordinariamente adattabili e riescono a risolvere la maggior parte dei problemi climatici a basso costo. Prendiamo il cibo: gli attivisti climatici avvertono che moriremo di fame, ma la ricerca mostra che siamo sulla buona strada per avere un aumento della disponibilità di cibo di “solo” il 49 per cento entro il 2100, invece dell’aumento del 51 che ci sarebbe in assenza di cambiamenti climatici.
Negli anni Venti i disastri atmosferici uccidevano mezzo milione di persone ogni dodici mesi, mentre nell’ultimo decennio le vittime sono state meno di 9.000 all’anno: una riduzione del 97,5 per cento dovuta al fatto che le persone sono più resilienti quando sono più ricche e possono accedere a migliori tecnologie.
De-crescere per ridurre le emissioni fa solo danni
Gli attivisti climatici e i politici di estrema sinistra rivelano il loro vero volto quando spingono per la “de-crescita” al fine di ridurre le emissioni: far diventare le persone più povere e invertire i progressi contro la povertà estrema sarebbe un errore tragico, rendendo più difficile affrontare tutti gli altri nostri problemi. Inoltre, è ridicolo immaginare che gli avversari strategici dell’Occidente, come Vladimir Putin, abbraccino un approccio simile.
Ci sono poi i politici più responsabili che vogliono “solo” raggiungere zero emissioni nette di carbonio entro il 2050. Ma anche adottare questo approccio significa comunque rallentare la crescita in nome della lotta ai cambiamenti climatici, costringendo le imprese e gli individui a usare energie rinnovabili meno efficienti invece dei combustibili fossili. I costi totali sarebbero enormi, tra i 15 e i 37 trilioni di dollari ogni anno per tutto il secolo, equivalenti al 15-37 per cento del Pil globale attuale.
Poiché i paesi più ricchi dell’OCSE dovranno coprire la maggior parte di questa spesa, il costo a persona sarà pari a oltre 10.000 dollari all’anno. Non solo questo sarebbe politicamente impossibile, ma il beneficio sarebbe un modesto 1 per cento del Pil in più in un secolo.
Il clamoroso fallimento dell’Europa
Il vero costo di una politica climatica inefficiente è che distrae risorse e attenzione da altre priorità. L’Europa offre una lezione chiara: venticinque anni fa, l’Unione Europea proclamava che con ingenti investimenti in ricerca e sviluppo sarebbe diventata “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”. Ha fallito clamorosamente: la spesa per l’innovazione è rimasta quasi invariata e l’Ue è ora ben lontana dagli Stati Uniti, dalla Corea del Sud e persino dalla Cina.
Invece, l’Ue ha cambiato focus e con una fissazione miope sul clima ha optato per un’economia “sostenibile” invece che solida.
La decisione dell’Ue di aumentare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 è stata una pura mossa di “segnalazione di virtù”. Il costo di queste politiche probabilmente supererà i trilioni di euro, eppure l’intero sforzo ridurrà la temperature entro la fine del secolo di una quantità insignificante: solo 0,004°C.
Non concentrarsi sull’innovazione ha ostacolato l’Europa. L’area dell’euro ha visto una crescita annuale anemica negli ultimi dieci anni, poco più dell’1 per cento per persona. Per i due trilioni di euro spesi in politiche climatiche simboliche, l’Ue avrebbe potuto rispettare i propri obiettivi di spesa per l’innovazione per due decenni.
Investire nell’innovazione avrebbe potuto rendere l’Unione europea e il mondo più ricchi di 60 trilioni di euro nel lungo periodo, generando 500 volte più benefici di quanto non facciano quelli simbolici delle politiche climatiche. Fondamentalmente, avrebbe dato all’Ue maggiore libertà per affrontare altre sfide cruciali come pensioni, istruzione, sanità e difesa. Il resto del mondo deve prestare attenzione all’esempio dell’Europa e smettere di sprecare soldi in politiche climatiche dannose.
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