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“Enzo Tortora, una ferita italiana”. «Serve una vera riforma della giustizia, da dedicare alla sua memoria»

Dialogo con l'avvocato Giuseppe Rossodivita, a margine della proiezione milanese del docufilm. «Con il suo processo l'Italia toccò con mano a cosa potesse portare la cattiva giustizia»

Chiara Sirianni
05/02/2014 - 13:01
Interni
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«Questo è un paese fatto di persone che scordano facilmente. Se oggi chiedessimo a un diciottenne chi è stato Enzo Tortora credo che in pochi saprebbero rispondere. Era un uomo che ha fatto, come avviene spesso nel mondo radicale, della sua vicenda privata una vicenda politica. Con il suo processo tutta Italia ha toccato con mano a cosa possa portare la cattiva amministrazione della giustizia». L’avvocato Giuseppe Rossodivita, segretario del comitato radicale per la giustizia Pietro Calamandrei, rievoca con tempi.it trent’anni di battaglie a margine della proiezione di ieri sera del docufilm “Enzo Tortora, una ferita italiana”. Rifiutato dal Festival Internazionale del Film di Roma 2013 e dalla Rai, è stato proiettato al Comune di Milano, su iniziativa di tutti i gruppi consiliari.

QUANTO CI COSTA LA CARCERAZIONE PREVENTIVA. Il consigliere Matteo Forte (Ncd), nel suo intervento prima della proiezione, ha analizzato il «problema della carcerazione preventiva», citando «gli ultimi dati del ministero, aggiornati al 31 gennaio, che dicono che, su una capienza di 47.711 detenuti, il nostro sistema vede la presenza di 61.449 carcerati. Non solo: ben il 18 per cento, 11.173, sono quelli in attesa del primo grado di giudizio», ha spiegato. Un dato che si riflette anche sulla popolazione carceraria della Lombardia, dove «purtroppo, succede di peggio: su 5.276 detenuti, il 28 per cento è tecnicamente innocente, 1.490. Percentuale che cresce al 31 se si considerano tutti i detenuti in attesa di giudizio, 1.637». Numeri che però vogliono dire anche spese per lo Stato, perché l’ingiustizia ha un costo: «I contribuenti – ha concluso – devono sostenere una spesa annua di circa 74 milioni, visto che è di 123,78 euro il costo medio giornaliero per detenuto».

 

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IL DOCUFILM. Cosa dire del film? È un racconto asciutto, di sessanta minuti, diretto da Ambrogio Crespi e prodotto da Datamedia. C’è il volto paziente e dignitoso di Tortora, che arrivò nelle case degli italiani con Portobello, La Domenica Sportiva, la prima edizione di Giochi senza frontiere o Sabato sera. Nel 1983, all’apice del successo, fu arrestato con l’accusa di affiliazione alla N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata) e spaccio di cocaina. Il maxi processo durerà 7 mesi, le udienze saranno 67. C’è la folla composta e solidale di piazza del Duomo, a Milano, che lo osserva consegnarsi alle forze dell’ordine da semplice cittadino, dopo aver rinunciato all’immunità da parlamentare europeo. C’è la compagna di una vita, Francesca Scopelliti, che legge le lettere inedite e bellissime ricevute negli otto mesi di carcere preventivo. Ci sono i titoli dei giornali di allora, che mettono alla gogna un Tortora “socialmente pericoloso”. C’è Mauro Mellini, storico onorevole dei Radicali, che dice una cosa semplice: «Nessuno provò a fare quel numero di telefono per scoprire che non era di Tortora, bensì di Tortona». C’è l’aula bunker di Poggioreale. Non ci sono gli anni della malattia. Non ci sono le motivazioni del suo arresto, quando il 17 settembre dell‘85 viene condannato a dieci anni di carcere: «Tortora ha dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni le sue losche attività e il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte, tanto più pernicioso perché coperto da una maschera di cortesia e savoir fair». C’è invece il pianto liberatorio in aula dell’avvocato Raffaele Della Valle, quando Tortora fu assolto in Appello con formula piena, il 15 settembre 1986.

SIAMO IN BANCAROTTA. Sullo sfondo, il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. È il 9 novembre 1987: l’80,5 per cento degli italiani vota sì. «Purtroppo il Parlamento tradì completamente la volontà popolare. La Legge Vassalli, impedisce di intentare cause contro i magistrati che hanno cagionato danni ai cittadini. Non a caso, in oltre 20 anni, ha prodotto solo quattro sentenze».
Secondo Rossodivita la politica perse una grande occasione. «Lo stesso Giuliano Vassalli, qualche mese prima di morire, ebbe il coraggio di dire in apertura a un importante convegno sul mondo della giustizia che la legge era stata fatta su pressione della lobby dei magistrati. Tutti i cittadini hanno diritto di essere risarciti dagli errori, da chiunque siano cagionati. Oggi invece abbiamo una situazione in cui sostanzialmente c’è un settore del nostro Paese che è svincolato dall’osservanza delle norme che tutti gli altri cittadini devono rispettare. Grazie alla generosità di Enzo Tortora si è portato il Paese a riflettere su questo». E oggi? «Fra penale e civile ci sono circa 11 milioni di processi arretrati. Nell’ambito di un’amministrazione che è alla fase della bancarotta, gli errori purtroppo sono all’ordine del giorno. Nei processi i beni principali di cui dispone una persona: la vita, la salute, la libertà, il patrimonio. Da quando è stata abolita la pena di morte i nostri giudici non possono più decidere sul bene vita. Ma spesso si rischia, quotidianamente, di creare dei danni irreparabili nella vita delle persone. L’assenza di una seria disciplina tesa a far sì che chi è stato vittima di un errore giudiziario possa essere risarcito dallo Stato è semplicemente incostituzionale».

L’ARTICOLO 27 DELLA COSTITUZIONE. Lo scorso settembre i radicali hanno inviato 675 diffide indirizzate ai Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica, al presidente giorgio Napolitano quale Presidente del CSM, al ministro Annamaria Cancellieri e al Commissario Europeo per i diritti Umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks. La diffida, prende le mosse dal contenuto della nota sentenza pilota, sul caso Torreggiani, e indica quale adeguata strada per garantire il rispetto di fondamentali ed elementari diritti umani, quella di paralizzare, in presenza della certezza che il trattamento e/o la pena siano illegali, l’emissione degli ordini di esecuzione della pena. Una provocazione? «No, un dovere, anche ai sensi dell’articolo 51 del Codice Penale. I magistrati che oggi firmano un ordine di esecuzione pena sanno benissimo che il destinatario di quest’ordine non andrà a scontare la pena legale prevista dal nostro ordinamento, ma andrà a subire dei trattamenti inumani e degradanti. Quelli che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha definito delle vere e proprie torture. Oggi l’articolo 27 della Costituzione, che vieta trattamenti contrari al senso di umanità, deve trovare specifica definizione in quello che ci ha detto la Corte di Strasburgo».

LE POLEMICHE SULLO SVUOTACARCERI. Una posizione di principio, che però appare lontana anni luce dall’attuale clima politico. In occasione della discussione alla Camera del decreto svuotacarceri anche i portavoce del Movimento 5 Stelle hanno scritto una lettera ai vertici delle procure, ai presidenti di tribunali e di corti d’appello, nonché all’Anm, al Capo della Polizia, al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, e al Comandante generale della Guardia di Finanza. La posizione è molto chiara: “Per perseguire l’obiettivo di “svuotare le carceri”, si produce un vero e proprio indulto che ha già fatto uscire mafiosi, stupratori, assassini, e ne farà uscire molti altri”. «Sono assolutamente complici nella permanente violazione dei diritti umani fondamentali», replica Rossodivita. «Io non so come in Italia ci possano essere delle persone che si occupano di politica che disinformando le persone, parlando alle loro pance e non alle loro teste, continuino a perpetrare dei crimini contro migliaia di persone. La realtà è sotto gli occhi di tutti: i detenuti italiani sono sottoposti a dei maltrattamenti. Chiunque si oppone a una soluzione rispetto a questo problema abbia il coraggio di dire che vuole introdurre la tortura. Abbia il coraggio di iniziare a fare battaglie per cambiare la Costituzione. Usciremmo dall’Europa. A quel punto potrebbe toccare anche a loro di essere torturati. E allora chi ci sarà a difenderli?». Bisognerebbe fare ben altro, conclude l’avvocato. «Fare una vera riforma della giustizia. E dedicarla alla memoria di Enzo Tortora».

@SirianniChiara

Tags: CancelliericarceridocumentarioEnzo TortorafilmGiorgio Napolitanolombardiamatteo forteradicalisovraffollamentotortora
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