Elezioni, i due errori dietro alla sconfitta del centrodestra
È successo ciò che ci si aspettava, ma forse è anche peggio di ciò che ci si aspettava. Tre città, Napoli, Milano e Bologna, dopo il primo turno saranno assegnate ai candidati sindaco del centrosinistra. Se a Bologna una vittoria larga era ampiamente prevedibile, a Napoli, anche per la pluralità dei concorrenti a sinistra, ci si aspettava almeno un ballottaggio, e invece Manfredi ha travolto tutti al primo turno. A Milano il sindaco uscente Sala ottiene una vittoria schiacciante che è più uno schiaffo dei milanesi all’insipienza della destra che un attestato di buon governo al primo cittadino.
Male anche a Roma, così così a Torino
Non va meglio a Roma, dove Michetti arriverà sì primo, ma ha poche possibilità di ottenere i voti di Calenda e Raggi al ballottaggio. Il destino della Capitale non è ancora scritto, ma pende decisamente verso il candidato del Pd, Gualtieri. La partita più aperta resta Torino, ma anche qui il centrosinistra è in vantaggio e può contare sull’unità della sinistra al secondo turno per mettere da parte il discreto risultato del sindaco di centrodestra Damilano. Il Movimento 5 Stelle, se si esclude Roma, collassa praticamente ovunque. Da oggi l’unica speranza del partito guidato da Giuseppe Conte è sopravvivere per diventare una ruota di scorta del Partito democratico.
Per il centrodestra è una sconfitta totale, in parte aspettata, in parte cercata, in parte peggiore del previsto. Due gli errori fondamentali: la scelta lenta e farraginosa dei candidati sindaco, con personaggi dal carisma inesistente o dalle capacità politiche discutibili; e l’aver creduto eccessivamente nella fedeltà degli elettori di centrodestra ai simboli e ai leader nazionali. Questo secondo punto merita forse una riflessione ulteriore.
L’elettore di destra è diverso da quello di sinistra
L’errore più grande che un politico di destra possa fare è pensare che il proprio tradizionale elettore si comporti come quello di sinistra. Questo è molto più fluido, incostante, diffidente del secondo. Non vota il partito in sé, non vota per vocazione civile e nemmeno per salvare la democrazia: è un elettorato pragmatico, che guarda alla personalità della leadership, alle proposte fondamentali e all’affidabilità di chi si impegna in politica. Quando questa ricetta non si avvera, l’elettore di destra resta a casa. Proprio come è successo in questa tornata, con una estensione molto alta nei quartieri che tradizionalmente votano di più a destra.
Non avendo un catechismo ideologico né una tradizione precisa, quello di destra è un elettore impolitico, che non si reca al seggio solo quando vuole difendere o promuovere un principio o un interesse. Se, come in molte elezioni regionali, la posta in gioco è elevata e i candidati validi, partecipa e si mobilita per la vittoria, altrimenti no. La destra senza uomini forti come candidati ha scarse possibilità di affermarsi sul blocco elettorale della sinistra, specie in sistemi maggioritari come quelli dei Comuni.
Che fare dopo le elezioni
Naturalmente su questa mancata mobilitazione pesa anche la politica nazionale: un centrodestra diviso tra opposizione e governo; che ha indugiato troppo nelle polemiche sul green pass e sui vaccini; che ha perso la concretezza dei temi che lo hanno caratterizzato con successo negli ultimi anni. Senza una ristrutturazione di partiti, leadership e offerta politica sarà difficile risalire la china per guadagnare i consensi e formare gli uomini per governare, anche in ottica nazionale.
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