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E sullo stato di diritto in Italia l’Europa non ha niente da dire?

L’indignazione dell’Unione Europea si abbatte a senso unico su Polonia e Ungheria. Ma vogliamo parlare della nostra Repubblica giudiziaria e del caso Palamara?

Luigi Amicone
15/12/2020 - 17:44
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Viktor Orban, Ursula von der Leyen, Giuseppe Conte

Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Il foglio rosa di Confindustria stigmatizza gli opposti – a suo dire – “ricatti” che graverebbero sull’Unione Europea – lato Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, piano di investimenti europeo da distribuire nei vari paesi dell’Unione, dotato di un budget di 1.840 miliardi di euro e che deve essere approvato entro fine anno attraverso una procedura particolare basata sul principio di unanimità. A dire il vero, neppure Il Sole 24 Ore si spinge a dare del “ricattatore” al governo di Londra, che resterà comunque un hub della finanza internazionale. E pur lamentando l’egoismo del Regno Unito, per il quale il mercato unico è stato «il frutteto dove raccogliere cherry picking, le ciliegie più mature», non si arriva a minacciare Londra per la sua evidente volontà di non rispettare i patti, non pagando dazio (39 miliardi di sterline) per l’uscita da una comunità da cui ha colto, molte opportunità e ha dato in cambio molte sòle (subprime).

No, il Regno Unito rimane molto rispettato dai nostri mercanti nel tempio europeo. Nel mirino dello sdegno e delle grida “al ricatto!”, ci sono solo Polonia e Ungheria che, nonostante i fiumi di euro e dollari democrat distribuiti a personalità e associazioni anti governative al fine di risuscitare partiti di sinistra, hanno ormai cumulato oltre un decennio di trionfi elettorali per governi di centrodestra e perfino “sovranisti” cosiddetti.

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Qual è la clausola che Polonia e Ungheria si rifiutano di sottoscrivere per partecipare al tavolo della spartizione di quei 1.840 miliardi e, dunque, ecco “il ricatto” all’Europa? La clausola è quella che impone ai membri dell’Unione non solo il rispetto dello Stato di diritto (ovvio principio fondante le democrazie), ma obbliga che tale rispetto sia sottoposto alla verifica e alla certificazione della Commissione europea.

Teoricamente, non fa una piega. Ma in pratica? Qual è il problema di Polonia e Ungheria? Il problema è che i loro rispettivi popoli non hanno ad oggi condiviso le leggi abortiste, i matrimoni gay, l’eutanasia, l’apertura all’immigrazione incontrollata e tutta una serie di dogmi martellati dalla propaganda dei grandi media sotto il controllo del conformismo radical-chic. Ovviamente non sono queste le ragioni sbandierate per mettere all’angolo quei paesi europei che mantengono la propria identità e sovranità, oltre che i rapporti con la Russia, senza demonizzare Putin.

Un velo di infamia

Formalmente, lo sdegno antifascista e le grida al “ricatto” si sostengono sulla base del fatto che Polonia e Ungheria hanno approvato leggi che sottopongono i rispettivi sistemi giudiziari al controllo da parte dell’esecutivo. Ciò sarebbe contrario allo Stato di diritto. Ma allora perché la Commissione europea non apre procedure di infrazione anche per la Francia e l’Italia, tanto più grave sarebbe un loro scostamento dallo Stato di diritto, visto che Francia e Italia sono due dei tre paesi fondatori dell’Europa? Di fatto, sembrerebbe contrario allo stato di diritto sia l’ordinamento francese dove i pm sono posti sotto l’autorità del ministro della Giustizia. Sia lo status quo, da almeno trent’anni a questa parte, vigente in Italia, laddove una Commissione europea potrebbe agevolmente appurare che la Repubblica giudiziaria ha minato le basi dello Stato di diritto. O sarebbe ancora Stato di diritto un paese europeo che condanna il magistrato Luca Palamara e lascia apparentemente non degna di una Commissione di indagine (italiana ma ben venga anche quella europea) l’incredibile rivelazione che le nomine ai vertici del Csm così come le poltrone apicali delle procure nelle principali città italiane (leggi: quelle che hanno fatto e disfatto i governi degli ultimi trent’anni di Repubblica italiana) sono il frutto di accordi politico-sindacali, fino a condizionare perfino l’esito dei processi?

Vedremo come finirà il 31 dicembre il braccio di ferro tra Bruxelles e il fronte polacco-magiaro. Dopo di che staremo a vedere se Covid, lockdown e un governo giallorosso sostanzialmente imbelle e di necessità asservito a chi comanda in Europa (Germania, Francia e paesi del Nord) continueranno a stendere un velo di infamia su una Repubblica italiana retrocessa a Stato pontificio e boia Titta, di cattolici senza fede e di comunisti senza fede, come scrisse Augusto del Noce, essendo l’assenza di fede cemento del Potere.

Tags: brexitcaso palamaraCsmEuropaluca palamaraLuigi Amiconepoloniarecovery fundsole 24 orestato di dirittotempi dicembre 2020ueungheriaUnione Europea
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