La preghiera del mattino

E poi una Corea del Nord qualsiasi rischia di far saltare tutto per aria

La traiettoria del missile lanciato dalla Corea del Nord che ha sorvolato il Giappone
Notiziario mostra la traiettoria del missile lanciato dalla Corea del Nord che ha sorvolato il Giappone, Tokyo, 4 ottobre 2022 (foto Ansa)

Sulla Nuova Bussola quotidiana Stefano Magni scrive: «Martedì 4 ottobre, alle 7 e mezza della mattina (le 10 e mezza di sera del lunedì, in Italia) la Corea del Nord ha lanciato un missile balistico a raggio intermedio. Si trattava del quinto test in appena dieci giorni. Ma il più spericolato in assoluto: il missile ha compiuto la sua parabola a quasi mille chilometri di quota, sorvolando il Giappone settentrionale e andando a inabissarsi nelle acque del Pacifico settentrionale, dopo un volo di 4.500 chilometri. Il test ha suscitato terrore in Giappone. Per 22 minuti, questo il tempo del volo dell’ordigno, le sirene delle città dell’isola di Hokkaido e di Honshu settentrionale (possibili bersagli) hanno suonato, avvertendo la popolazione di trovare un rifugio. La provocatoria esercitazione ha provocato dure reazioni diplomatiche da parte degli Stati Uniti e del Giappone: il presidente Joe Biden e il primo ministro nipponico Fumio Kishida denunciano “l’atto oltraggioso”. Anche la risposta sudcoreana non si è fatta attendere e il presidente Yook Suk-yeol avverte che ad un gesto azzardato si può rispondere con “risposta risoluta”».

La supremazia militare americana si è rivelata con chiarezza nella guerra scatenata dai russi invadendo l’Ucraina. Questo fattore non potrà non pesare sulla scena internazionale, ma non annulla il fatto che il mondo del dopo Hiroshima è segnato dal rischio della catastrofe da conflitto con uso di bombe nucleari e che lasciando allo sbando i rapporti diplomatici, una Corea del Nord qualsiasi che provochi un fatale incidente potrà sempre presentarsi. L’idea che questo rischio possa essere superato solo grazie alla supremazia americana non mi convince. Temo e credo che continui a essere necessario il definire trattati e accordi politici, pur facendo avanzare il più possibile sistemi fondati sullo stato di diritto, anche tenendo conto degli interessi nazionali di Stati di cui non si condividono le scelte illiberali. La fine del mondo definito dalla pace di Vestfalia mi pare sia stata annunciata prematuramente.

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Su Huffington Post Italia Fabio Luppino scrive: «In fondo, se non avessero appoggiato l’improvvida e populista riforma costituzionale di Di Maio e soci, oggi i dem stavano ad accarezzarsi le confermate poltrone e qua e là a darsi qualche schiaffone metodico per poi terminare il dibattito come è quasi sempre terminato, nel nulla. Eh sì, perché la percentuale raccolta dai dem il 25 settembre è più o meno la stessa di quattro anni e mezzo fa, al netto di 800 mila voti in meno e 315 scranni oggi tagliati su cui non poter più esercitare i voraci appetiti».

Nonostante tutto c’è chi oggi rimpiange un proporzionale puro: per farne che cosa? Un governo con Pd, calendian-renziani, Forza Italia con due attrezzatissimi nemici a destra e sinistra? Un nuovo governo di unità nazionale con i 5 stelle che sempre più si stanno rivelando filocinesi e anti Nato? Un governo di unità nazionale con la Lega? L’attuale legge elettorale senza dubbio è un pasticcio, ma una sua riforma può razionalmente puntare solo o ai collegi uninominali (magari con finanziamento pubblico di chi fa le primarie) o al doppio turno. Con lo scarso profilo di cultura politica che hanno sia la destra sia la sinistra (per non parlare del centro dei ranocchi che si credono buoi), l’unica via è quella di rifondare partiti-comunità di destino partendo dal rapporto elettori-eletti-territorio, secondo le due grandi linee del conservatorismo compassionevole e della social-ecolo-democrazia.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «La dichiarazione di Obama del 2013, quando si escluse la Russia dal G7 e si indicò in essa una potenza solo regionale, inizia a veder svolgere questo dramma sotto i nostri occhi. Una potenza aggressiva come la Russia, prima in Georgia e poi in Ucraina nel 2014, fu destinata a subire di nuovo una caduta di potenza e a essa si rispose con la brutalità della guerra siriana. Ma la Russia non era di già mai guarita della mortificazione eltsiniana, quando fu spogliata dai Chicago Boys delle sue risorse».

La storia della Russia insegna che quando questa nazione si lancia in guerre internazionali (quella con il Giappone, la Prima Guerra mondiale, la guerra in Afghanistan), la scelta erode le basi di massa che sostenevano i regimi al potere. Quando invece la Russia è aggredita (Napoleone, le armate anglo-americane contro il regime bolscevico, Hitler), risponde con una strenua difesa della propria identità. Non sapendo bene quale sia lo stato psicologico di questa nazione, credo sia pericoloso giocare tutte le carte su scelte che non contemplano bene come si debba fare i conti con una potenza dotata di più o meno 15 mila testate nucleari.

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Su Formiche Giovanni Orsina dice: «Le percezioni, non la percezione. L’Europa non è un’entità unitaria, è attraversata da una miriade di linee di frattura nazionali e politiche. È ben evidente, ad esempio, che i francesi non siano molto contenti; comprensibilmente, non lo sono nemmeno i socialdemocratici. Ma se prendiamo invece la Germania e la famiglia popolare, allora le cose si fanno ben più articolate: molti da quelle parti sono incuriositi, non danno cambiali in bianco ma non sono nemmeno pregiudizialmente avversi. La prudenza di Meloni e il suo asse con Draghi, che si fa sempre più evidente ogni giorno che passa, mi pare stiano gradualmente rafforzando gli incuriositi e indebolendo gli scontenti».

Diseducata dalla stampa maistream improvvisamente la nostra opinione pubblica sembra avvertire nelle scelte di Giorgia Meloni non solo più atlantismo ma anche più europeismo di quelli che appaiono nei comportamenti di Emmanuel Macron e Olaf Scholz.

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