Dopo i casi Ingroia e Rizzoli, o si riforma la giustizia o finisce male. Anche le toghe lo sanno

Di Lodovico Festa
30 Marzo 2013
Solo i pagliacci come Benigni credono che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo. Chi è dotato di raziocinio sa che unificando le funzioni di pm e giudici si è creato un potere anomalo

Persino quei forcaioli della Repubblica hanno versato una lacrimuccia sul caso di Angelo Rizzoli, incarcerato nonostante la sua gravissima infermità. Una simpatica sciacquetta dalla gamba svelta ha risposto per le rime a un pm che le chiedeva conto di sui amorazzi: io non voglio sapere quel che lei fa con sua moglie e lei non si permetta di intrufolarsi nella mia vita privata. Tutta l’Italia ha applaudito soddisfatta perché Antonio Ingroia è stato spedito sulle Alpi a qualche migliaio di chilometri di distanza da dove aveva dato il suo ampio contributo a incendiare il paese. E almeno mezza Italia ha assistito sconcertata alla convocazione del capo dello Stato come testimone – all’epoca era presidente delle Camera – sulle vicende della “trattativa” Stato-mafia del ’93. La parte più intelligente della magistratura politicizzata (innanzitutto la testa ragionante di Magistratura democratica), che ha responsabilità enormi per averci cacciato in questa crisi dello Stato nel 1992, si è resa conto come le toghe “militanti” (nonché i loro compagni di viaggio fanatici o corporativi) siano finite in un pericoloso vicolo cieco: con colpi di mano possono ancora eccitare settori della società insoddisfatti della situazione generale, ma così, poi, quel che finiranno per raccogliere sarà solo la barbarica protesta grillesca, e nessun, invece, blocco d’ordine in grado di realizzare la “palingenesi” della nazione. E questo se va bene. Perché se per caso sbagliano i conti e consentono la formazione di un vasto blocco di moderati e garantisti, le scelte per riportare a una normalità liberaldemocratica l’ordinamento giudiziario italiano saranno assai radicali.

Proprio questa consapevolezza, che è propria anche del riflessivo Pietro Grasso, offre l’occasione per un processo di riforme sufficientemente profondo ma contemporaneamente attento a evitare la delegittimazione complessiva della magistratura.

Comunque lo spazio per i pannicelli caldi è esaurito. L’idea che la nostra Costituzione sia la più bella del mondo convince solo pagliacci come Roberto Benigni. Chi è dotato di raziocinio si rende conto che unificando le funzioni di giudici e inquirenti si è costituito un potere anomalo in uno Stato liberaldemocratico ulteriormente indebolito dalla rinuncia a funzioni di indirizzo sulla politica – si parla di “politica” non di processi – penale. Come ha ricordato Luciano Violante nel suo libro Magistrati, ciò è avvenuto perché «Alcide De Gasperi non si fidava di Palmiro Togliatti e viceversa». Seppelliti definitivamente dalla fine della Guerra fredda i due grandi della Repubblica, si tratta di spingere il popolo italiano e i suoi rappresentanti a tornare a “fidarsi” e a costruire così uno Stato fondato sulla fiducia invece che su paralizzanti paure.

Come sempre le vie riformiste alle modificazioni istituzionali sono meglio di quelle non dico rivoluzionarie ma anche solo radicali: è bene dunque cercare soluzioni che non umilino servitori dello Stato, in diverse occasioni sbandati, talvolta fannulloni, ma in più di un caso capaci di comportamenti eroici, e comunque ispirati da una missione da rispettare fino in fondo: quella di difendere la legalità cioè la base di ogni convivenza civile.

Appare difficile evitare di separare le carriere di giudici e inquirenti sul modello adottato più o meno da qualsiasi paese civile e appare necessario superare la insopportabile ipocrisia – smentita sistematicamente dagli atti concreti – della cosiddetta obbligatorietà dell’azione penale, insieme è urgente ripristinare forme di coerenza in un’attività giurisdizionale che talvolta sembra impazzita. Le soluzioni migliori sono sempre quelle oneste che partono dal riconoscimento dei problemi e cercano approcci razionali: bisognerebbe fare uno sforzo per percorrere questa via, consultando la categoria togata con rispetto, consentendo forme e tempi che permettano di assorbire le novità senza creare disfunzionalità o sgradevoli effetti sul lavoro dei singoli.

Sulle varie scelte – se sui princìpi di fondo ci sarà un accordo – si potranno anche trovare compromessi, purché non riproducano le logiche, corporative e destabilizzanti della democrazia, in atto. Bisognerà, però, che chi si assume l’impegno di proporre le modifiche necessarie della Costituzione sia dotato di armi politiche che consentano di richiamarsi al popolo in caso di qualche intralcio messo di traverso dalla “categoria”. Non è affatto peregrina l’ipotesi che improvvisamente sbuchino conversazioni di questo o quel leader della sinistra con questo o quell’ex presidente di Provincia o con questo o quel banchiere lottizzato. Si consideri quel che è già avvenuto, dall’aggressione alla bicamerale dalemiana all’arresto di Ottaviano Del Turco, per bloccare qualsiasi dialogo tra berlusconiani ed ex comunisti. Se non s’apprestano subito contromisure per appellarsi alle persone comuni che non sopportano più il deragliamento dello Stato, allora non vale neanche la pena di tentare l’impresa.

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2 commenti

  1. suca

    mavaffanculo!!!

    1. tetosilvi

      Peccato che la riforma della Costituzione non possa eliminare i maleducati, che non hanno neppure il coraggio di metterci il nome e la faccia nella loro volgarità gratuita.

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