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Divorzio e assegno di mantenimento. «Misura coerente all’interno di un quadro paradossale»

La sentenza della Corte di Cassazione non considera più il tenore di vita tra i parametri per il mantenimento. Intervista all'avvocato Fiorin

Francesca Parodi
12/05/2017 - 2:00
Società
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Una sentenza della Corte di Cassazione ha cambiato radicalmente i criteri degli assegni di mantenimento riconosciuti agli ex coniugi dopo il divorzio: la necessità e l’ammontare degli assegni non sarà più dettato dal mantenimento dello stile di vita matrimoniale, ma dipenderà dalla capacità dell’ex coniuge più “debole” di mantenersi autonomamente. La svolta è cominciata quando una donna ha fatto ricorso contro la decisione della Corte di Appello di Milano di negarle l’assegno di divorzio. Nel verdetto emesso nel 2014 infatti, la Corte aveva ritenuto incompleta la documentazione reddituale della donna e aveva riconosciuto che l’ex marito aveva subìto una contrazione dei redditi dopo il divorzio. La sentenza della Corte di Cassazione, depositata il 10 maggio 2017, ha dato ragione alla Corte d’Appello, sostenendo che «bisogna superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come “sistemazione definitiva”» perché è «ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile».

SOLIDARIETÀ PORST MATRIMONIALE. Un cambiamento del genere era atteso già da diverso tempo, commenta a tempi.it Massimiliano Fiorin, avvocato specializzato in diritto coniugale e autore di diversi libri in materia. «Una sentenza non cambia le leggi, ma può cambiare i criteri di interpretazione della normativa. Quest’ultima decisione della Corte di Cassazione è indice di una nuova tendenza sociale e culturale e non arriva del tutto inaspettata». Ormai infatti «il criterio del tenore di vita è diventato inadeguato rispetto all’attuale regolamentazione dello scioglimento del matrimonio, la cosiddetta “solidarietà post matrimoniale”».

COSA DICE LA SENTENZA. Come spiega Fiorin, la legge sul divorzio prevede che l’assegno di mantenimento tuteli la parte “debole” della coppia, cioè, nella maggior parte dei casi, la donna. «In base all’ultima formulazione della normativa del 1977, l’assegno ha un valore assistenziale e deve essere versato nel caso in cui l’ex coniuge “non abbia redditi adeguati propri o non possa procurarseli per ragioni oggettive”. Da allora però i giudici hanno sempre interpretato questo passaggio in maniera “commista” con i criteri che stabiliscono il quantum dell’assegno. In pratica, l’ex marito era costretto a garantire all’ex moglie lo stesso tenore di vita del periodo matrimoniale. Questo sistema è diventato sempre più inadeguato con l’affermarsi delle convivenze. Infatti la legge stabilisce che il versamento dell’assegno cessi nel momento in cui l’ex coniuge si risposi, così, per non perdere il sussidio, l’ex coniuge spesso sceglie di non sposarsi con il nuovo partner, ma di conviverci». Ora, la sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che l’assegno di mantenimento deve essere garantito solo se il richiedente non è in grado di mantenersi autonomamente, tenendo conto di quattro parametri: il possesso di reddito, di patrimoni mobiliari e immobiliari, la capacità di lavorare (in base a salute, sesso, età e mercato del lavoro) e la disponibilità di un’abitazione.

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SCELTA DI LIBERTÀ. Una diretta conseguenza di questo cambiamento di normativa sarà molto probabilmente una maggiore pressione per l’introduzione degli accordi prematrimoniali. «Dovrebbero però essere chiamati, più onestamente, patti “predivorziali” perché regolamentano la divisione dei beni in vista di una separazione, anche se vengono firmati prima delle nozze. Certo sono quanto più lontani possibile dal romanticismo e dallo spirito del matrimonio, ma in una società in cui ci si divide con estrema facilità e immediatezza, mi sembra una misura di prevenzione coerente. L’idea di matrimonio e di famiglia ha cominciato a sgretolarsi dal momento in cui si è reso possibile il divorzio senza condizioni e senza il parere di entrambi i coniugi». Il cuore del problema, sostiene Fiorin, è che «il matrimonio ha smesso di essere considerato un’alleanza tra uomo e donna, ma semplicemente, come ha sottolineato la Corte di Cassazione, una “scelta di libertà”, che come tale può essere annullata nel momento in cui il desidero di un coniuge muta. Le aspettative dell’altro e la presenza dei figli passano in secondo piano rispetto alla volontà e all’interesse del singolo, facendo così venir meno il rapporto di fiducia che dovrebbe essere alla base del matrimonio».
D’altra parte, questa svolta rappresenta anche l’altra faccia della medaglia del femminismo: «Le donne hanno combattuto per ottenere la totale emancipazione anche nel lavoro, ed è quindi necessario accettare il risvolto di questa maggiore libertà. È incoerente pretendere di avere più possibilità di affermarsi senza assumersi anche i rischi».

@fra_prd

Foto Ansa

Tags: Corte di CassazionedivorzioFamigliaMatrimonio
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