
Il discorso del medico guarito dall’ebola: «Ho pregato Dio che mi aiutasse ad essere fedele anche nella malattia»

Salvato miracolosamente dall’ebola, il medico americano Kent Brantly, missionario in Liberia, durante la conferenza stampa di ieri, presso l’Emory University Hospital, ha raccontato della sua decisione di partire per la Liberia, dei primi malati ricoverati in ospedale, del lavoro del personale sanitario e dei giorni passati fra la vita e la morte, ringraziando Dio per aver risposto alle migliaia di preghiere. Non è ancora chiaro né accertato se i farmaci somministrati a Brantly siano gli unici responsabili della sua guarigione; molti medici ritengono che siano state cruciali anche i trattamenti di supporto di cui l’uomo ha potuto godere negli Stati Uniti, dopo il suo trasferimento dalla Liberia. Qui di seguito una nostra traduzione di ampia parte del discorso di Brantly. (bf)
Oggi è un giorno miracoloso. Sono commosso per il fatto essere vivo, stare bene ed essere di nuovo unito alla mia famiglia. Come medico missionario non avrei mai immaginato di ritrovarmi in questa situazione. Quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti in Liberia lo scorso ottobre, per iniziare i due anni di lavoro insieme all’associazione Samaritan’s Purse, l’ebola non era un’emergenza. Ci siamo trasferiti lì perché Dio ci ha chiamati a servire il popolo della Liberia, ma solo a marzo quando siamo stati avvertiti che l’ebola si stava diffondendo in Liberia abbiamo cominciato a prepararci ad affrontare il peggio.
Non abbiamo ricevuto il nostro primo paziente fino a prima di giugno, ma quando arrivò eravamo pronti. Durante i mesi di giugno e luglio il numero dei pazienti di ebola è cresciuto costantemente (…) e il nostro ospedale si è fatto carico di ogni paziente con grande attenzione e passione. Abbiamo preso tutte le precauzioni per proteggerci da questa malattia seguendo le linee guida per la sicurezza del Msf (Medici senza frontiere, ndr) e del Who (World health organization, ndr). Dopo aver portato Amber (la moglie, ndr) e i nostri figli all’aeroporto per tornare negli Stati Uniti la domenica mattina del 20 luglio, mi sono buttato nel lavoro ancor più di prima: abbiamo trasferito i pazienti nella nuova unità di isolamento, istruendo e lavorando con il personale delle risorse umane per rispondere ai bisogni del nostro staff. Tre giorni dopo, mercoledì 23 luglio, mi sono svegliato sentendomi fiacco. Da quel momento la mia vita ha preso una svolta inaspettata, dato che mi fu diagnosticata l’ebola. Mentre giacevo nel mio letto in Libera per i nove giorni seguenti, mi indebolivo e mi ammalavo ogni giorno di più. Ho pregato Dio che mi aiutasse ad essere fedele anche nella malattia. E ho pregato che tramite la mia vita o tramite la mia morte Lui fosse glorificato.
Allora non lo sapevo, ma poi ho scoperto che c’erano migliaia, forse milioni, di persone che pregavano per me in tutto il mondo (…). Ho sentito storie, una dopo l’altra, che dicono di come questa situazione abbia colpito la vita di tantissime persone in tutto il mondo: sia la mia famiglia, sia i miei amici, sia persone completamente sconosciute (…). Ciò che ora posso dire è che quello che servo è un Dio fedele che ha risposto alle mie preghiere: attraverso la cura della squadra missionaria dei Samaritan’s Purse della Liberia, l’utilizzo di un farmaco sperimentale, l’esperienza e le risorse del personale sanitario dell’ospedale universitario, Dio mi ha salvato la vita. Una risposta diretta a migliaia e migliaia di preghiere. La mia cara amica Nancy Wristebol (l’infermiera guarita dall’ebola insieme a Brantly, ndr), uscita dall’ospedale, mi ha chiesto di condividere la sua gratitudine per tutte le preghiere in suo favore. Quando ha camminato fuori dalla stanza d’isolamento la sola cosa che è riuscita a dire è stata: «Sia resa gloria a Dio». (…) Quando avrò ripreso forza cercheremo di condividere di più la nostra storia (…). Sono felice per ogni attenzione attirata dalla mia malattia sulla piaga dell’Africa Occidentale (…), continuate a pregare per la Liberia e per la popolazione dell’Africa dell’Ovest e incoraggiate tutti coloro che sono in posizioni di comando o che possono influire a fare il possibile affinché l’Ebola scompaia».
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