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Dato a Erdogan del «dittatore», Draghi corre con Macron

La dichiarazione del premier allontana l’Italia dalla politica della mediazione con Ankara voluta dalla Merkel. E dalla roadmap in Libia al tavolo dell’aerospazio i segnali di un asse franco-italiano abbondano

Rodolfo Casadei
10/04/2021 - 3:00
Esteri
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Fa davvero specie che alla gaffe protocollare di lasciare il presidente della Commissione Europea senza sedia al vertice Turchia-Unione Europea di Ankara la Germania, paese di provenienza di Ursula Von Der Leyen, abbia reagito con circospezione, mentre il capo del governo italiano ha avuto l’ardire di definire pubblicamente il presidente turco Recep T. Erdogan «un dittatore col quale bisogna collaborare». Provocando la durissima reazione del ministro degli Esteri turco Cavusoglu che ha convocato l’ambasciatore italiano e che contemporaneamente su twitter ha scritto: «Condanniamo fermamente l’inaccettabile retorica populista del Presidente del Consiglio Draghi e le sue oltraggiose e volgari dichiarazioni sul conto del nostro Presidente, eletto come risultato di elezioni».  

Macron ai ferri corti con Erdogan

La dichiarazione di Draghi allontana l’Italia dalla politica della mediazione continua con Ankara, portata avanti dalla Germania di Angela Merkel (paese dove vivono 3 milioni di persone di origine turca, metà delle quali conservano la cittadinanza della Turchia) e la schiera di fatto coi paesi europei più ostili alla Turchia: Francia, Grecia e Cipro. La Francia è ai ferri corti con Erdogan per grossissime ragioni: la crescente invadenza di moschee di obbedienza turca in territorio francese, la contesa per l’egemonia nel Mediterraneo, il conflitto ideologico sulle vignette umoristiche anti-Erdogan e sul “diritto alla blasfemia” rivendicato da Macron. 

L’avvicinamento dell’Italia all’intransigenza francese appare, a un primo sguardo, tanto più sorprendente in quanto in Libia l’Italia è lo storico sponsor politico del governo di Tripoli, che si regge grazie al sostegno militare della Turchia, e non certo del generale Haftar, che da Bengasi ha tentato più volte, col supporto russo e francese, di rovesciare il governo tripolino. Ma le cose in Libia sono cambiate con la creazione di un governo di unità nazionale il 15 marzo scorso accettato anche dal generale Haftar. 

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L’asse Italia-Francia a Tripoli

La prima visita all’estero del premier Draghi e il primo incontro del nuovo capo di governo libico Abdul Hamid Dbeibah con un capo di governo straniero sono coincisi il 6 aprile scorso con l’incontro fra i due leader a Tripoli. Cosa ancora più importante, il 25 marzo precedente i ministri degli Esteri di Italia, Francia e Germania si erano a loro volta ritrovati insieme in Libia per esprimere il loro sostegno alla roadmap con cui i libici intendono riportare pace e unità nel loro paese. La grande notizia è che la Francia rinuncia a sabotare gli sforzi internazionali e dell’Italia (finora invero modesti quando non modestissimi) per stabilizzare la Libia e accetta di appoggiare una soluzione comune anziché cercare di portare al potere un suo uomo. Una decisione importantissima, perché crea le condizioni per rendere meno influente il ruolo della Turchia in Libia: su questo italiani e francesi la vedono allo stesso modo. 

Il tavolo dell’aerospazio

I segnali che si sta formando un asse Italia-Francia non solo in funzione antiturca sono anche altri. Il più importante è che il 19 marzo scorso è stato inaugurato il tavolo italo-francese dell’aerospazio per una strategia comune in materia di lanciatori. La Francia è il paese europeo più avanzato in questo ambito, tanto che tutti i vettori spaziali europei vengono lanciati dalla base di Kourou nella Guyana francese e che Parigi ha cercato in passato in ogni modo di imporre aggressivamente i suoi lanciatori Ariane e di assorbire la proprietà di concorrenti stranieri come l’italiana Avio, che ha un ruolo decisivo nella produzione del lanciatore Vega. Da quando esiste l’Unione Europea, la Francia ha sempre tentato di far coincidere i programmi di difesa europei con l’egemonia della sua industria militare. 

Gli accordi Giorgetti-Le Maire

Oggi forse i tempi sono maturi per un maggiore realismo da parte di Parigi, cioè per accordi davvero paritetici, che permettano di distribuire fra i paesi dotati di apparati industriali all’altezza della sfida i vantaggi sia economici che strategici che vengono dallo sviluppo di vettori aerospaziali europei. Gli accordi firmati dai ministri Giancarlo Giorgetti e Bruno Le Maire e il contratto di vendita di lanciatori Avio ad Arianespace potrebbero segnare un’evoluzione molto importante degli equilibri di forze in Europa. La Francia è costretta a rivolgersi all’Italia con meno presunzione del passato perché la Germania è intenzionata ad entrare in modo più importante nell’affare dell’aerospazio con la sua OHB di Brema. La Germania ha già fatto sapere che i razzi europei non dovrebbero essere sempre lanciati da Kourou, ma anche da luoghi diversi che potrebbero essere nel nord Europa o nelle Azzorre.

Molto franchi, poco tedeschi

A questi dati di fatto si possono aggiungere speculazioni come quelle riguardanti il fatto che il nuovo segretario del Pd arriva dalla Francia, dove in questi anni è stato certamente “coltivato” da agenti dello “stato profondo” francese, e che a Parigi sono preoccupati che la successione ad Angela Merkel e la probabile sconfitta della Cdu alle prossime elezioni politiche tedesche renda l’Europa più penetrabile alle influenze russe, turche e cinesi, e dunque il potere della Francia sempre più marginale. Tutte cose che rilanciano l’importanza dell’Italia agli occhi dei transalpini. Draghi, Giorgetti e molti altri hanno capito perfettamente la situazione, e cercano di approfittare di una congiuntura che potrebbe non ripresentarsi più. 

Foto Ansa

Tags: emmanuel macronGermaniagiancarlo giorgettilibiamario draghiRecep Tayyip ErdoğanTurchiaUnione Europeaursula von der leyen
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