Come se non bastasse, c’è l’Africa pronta a esplodere

Di Rodolfo Casadei
26 Aprile 2020
Così i danni causati dal lockdown per l'emergenza coronavirus rischiano di devastare l'economia del continente nero. All'Europa conviene tenerlo presente
Fila per gli aiuti alimentari durante il lockdown contro il coronavirus a Johannesburg, Sudafrica

L’Unione Europea non riesce a venirne a una per quanto riguarda prestiti e aiuti a fondo perduto ai paesi europei più colpiti dal Covid-19, eppure dovrà occuparsi anche di quelli africani se non vuole che i problemi sanitari, economici, sociali e di ordine pubblico di Europa ed Africa diventino incontrollabili nei prossimi mesi. Andando molto al di là della partecipazione allo sforzo del G20 che la settimana scorsa ha deciso di sospendere il servizio e il rimborso del debito di 76 paesi poveri di tutto il mondo (40 africani) per un valore di 20 miliardi di dollari.

L’epidemia di coronavirus non è ancora dilagata in Africa, ma le conseguenze sulle economie dei paesi africani di quello che sta succedendo altrove – cioè la paralisi dell’Europa e degli Stati Uniti e la lenta ripresa della Cina e delle altre economie asiatiche – e dei provvedimenti di contenimento messi in atto dai governi africani sono già pesantissime, e suscettibili di provocare destabilizzazione politica e ondate migratorie incontrollate. Secondo i ministri delle Finanze africani, l’Africa subsahariana ha bisogno di 100 miliardi di dollari di aiuti per evitare il tracollo, cifra che il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, ha già rialzato a 150 miliardi.

I guai delle economie africane si possono raccogliere sotto tre titoli: crollo del Pil, boom della disoccupazione, crisi del debito estero come negli anni Novanta.

CROLLO DEL PIL

Secondo tutte le stime, quest’anno per la prima volta dopo 25 anni il Pil dell’Africa subsahariana passerà in territorio negativo. Dopo un quarto di secolo di crescita (con una media del più 4 per cento fra il 2000 e il 2018), nel 2020 la regione entrerà in recessione, con una flessione stimata a seconda degli analisti e degli scenari dei prossimi mesi fra l’1,6 e il 5,1 per cento. Prima del Covid-19, si stimava che quest’anno l’Africa subsahariana avrebbe avuto una crescita del Pil del 3,6 per cento.

Secondo l’analisi semestrale della Banca mondiale sull’andamento dell’economia africana, la perdita di valore si collocherà fra i 37 e i 79 miliardi dollari, e sarà dovuta al crollo delle esportazioni di materie prime soprattutto verso l’Asia, alla diminuzione delle rimesse dei migranti, al venir meno dei flussi turistici, alla fuga dei capitali investiti dall’estero, oltre che alla riduzione delle attività locali in conseguenza del “lockdown”.

In particolare saranno colpite le tre economie più grandi del continente: Sudafrica, Nigeria e Angola, grandi esportatori di metalli il primo, di idrocarburi le altre due. Per loro è previsto un calo del Pil vicino al 6 per cento. Per i paesi africani produttori di petrolio (oltre a Nigeria e Angola il Congo Brazzaville, la Guinea Equatoriale e il Gabon) le cose si erano già messe male per la flessione del prezzo del greggio dal dicembre scorso. La battuta d’arresto dell’Africa è tanto più controproducente per l’economia mondiale in quanto fino a due mesi fa 8 dei 15 paesi del mondo coi più alti tassi di crescita del Pil erano africani.

BOOM DELLA DISOCCUPAZIONE

Il secondo aspetto del dramma riguarda i posti di lavoro a rischio. McKinsey, società internazionale di consulenza manageriale strategica, stima che il lavoro o il salario di 150 milioni di africani rischia di andare perduto o di vedere una forte riduzione della sua redditività. L’Africa subsahariana ha 1 miliardo e 80 milioni di abitanti, ma di questi solo 440 milioni sono economicamente attivi, a fra di essi solo 140 milioni hanno impieghi formali: gli altri 300 milioni operano nel settore informale dell’economia.

Secondo McKinsey,

«fra i 9 e i 18 milioni di impieghi formali in Africa potrebbero andare perduti a causa di licenziamenti dovuti ai riflessi della crisi del Covid-19. Abbiamo anche appurato che ulteriori 30-35 milioni di impieghi formali sono a rischio di riduzione di salario e di ore di lavoro a causa della caduta della domanda e dei lockdown. Soprattutto nei settori della manifattura, della vendita al dettaglio, del turismo e delle costruzioni i posti di metà della forza lavoro potrebbero essere colpiti. Inoltre la nostra analisi mostra che circa 100 milioni di posti di lavoro nel settore informale corrispondono ad occupazioni e settori vulnerabili a perdite di reddito durante la crisi del Covid-19».

CRISI DEL DEBITO ESTERO

La terza componente della crisi economica africana da Covid – quella per cui si è già fatto qualcosa, ma non molto – è rappresentata dalla tendenza del debito estero di molti paesi africani a diventare insostenibile. Il problema era già sul tavolo dall’anno scorso, e gli avvenimenti del 2020 lo hanno drammaticamente aggravato.

Già l’anno scorso la Banca mondiale aveva comunicato che un terzo dei paesi africani sono in condizioni di difficoltà a onorare i debiti o ad alto rischio di trovarsi in difficoltà. I sette paesi a rischio di default sono Mozambico, Gambia, Congo Brazzaville, São Tomé and Príncipe, Sud Sudan, Zimbabwe e Repubblica Democratica del Congo. Ma non stanno meglio paesi come il Togo, lo Zambia o il Ghana, dove il servizio del debito si porta via il 30-40 per cento delle entrate dello Stato. In Angola il servizio del debito nel 2016 era sei volte il bilancio della sanità.

L’Africa è stata oggetto di grandi iniziative di cancellazione del debito nel 1996 e nel 2005, che a regime nel 2017 avevano comportato un risparmio di 99 miliardi di dollari al continente. Grazie a queste iniziative il rapporto fra il debito e il Pil era sceso dal 100 per cento del 2005 al 37 per cento nel 2012. Dopodiché ha ricominciato a crescere, e l’anno scorso era già risalito al 59 per cento del Pil, ovvero 450 miliardi di dollari. Si è trattato del più veloce aumento dell’indebitamento in una regione del mondo in quel periodo.

Il G20 ha sospeso il pagamento degli interessi e la restituzione dei crediti fino alla fine dell’anno, ma l’anno prossimo il problema si ripresenterà, peggiorato dalle conseguenze della congiuntura economica negativa del 2020. Stavolta sarà molto più difficile negoziare cancellazioni o ristrutturazioni del debito come si è fatto nel 2005, perché mentre in passato il debito africano era detenuto essenzialmente dai paesi occidentali e da istituzioni internazionali come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale (Fmi), oggi gli attori sono molteplici: ci sono ancora organismi multilaterali, ma anche privati che hanno comprato titoli di Stato e bond di paesi africani, e Stati non solo europei od occidentali; basti dire che la Cina da sola è creditrice di 150 miliardi di dollari, ripartiti in prestiti di Stato, bancari o effettuati da imprese cinesi. Invece i privati detengono 116 miliardi di dollari di bond che non possono essere cancellati e sui quali i paesi africani dovranno pagare gli interessi, oltre al fatto che nel 2022 molti di essi scadono e potrebbero dover essere restituiti per intero a chi li ha sottoscritti. In un contesto fiscale che vedrebbe i paesi africani più poveri di oggi, a causa della flessione delle entrate fiscali.

Riusciranno Europa e Stati Uniti, impegnati a garantire i propri debiti per avviare la propria ripresa economica, a farsi carico della crisi economica dell’Africa? Se la risposta sarà no, c’è da aspettarsi un nuovo ciclo di instabilità politica nel continente, con forti riflessi sulle migrazioni.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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