La Cop29 è già un fallimento, ma almeno adesso si può dare la colpa a Trump
«Ma è possibile che danno sempre tutti la colpa a me?», si chiede Donald Trump in una vecchia scena di una puntata della serie cult anni Novanta Willy il principe di Bel Air tornata a circolare sui social in questi giorni, in cui il neoeletto presidente degli Stati Uniti compariva per un cameo. Battuta invecchiata benissimo, dato che ancora dovevano finire di contare i voti in Arizona e Trump era già indicato come uno dei colpevoli del fallimento della Cop29 iniziata ieri a Baku, in Azerbaigian.
È vero, il predecessore e successore di Joe Biden alla Casa Bianca ha promesso di far uscire (di nuovo) gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul taglio delle emissioni per contenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale, ma la verità è che ormai da tempo questi summit delle Nazioni Unite si autosabotano da soli.
La Cop29 snobbata dai grandi leader
Lo schema è sempre lo stesso: previsioni catastrofiche («il mondo va verso la rovina»), ultimatum sul fatto che questa è l’ultima possibilità di fare qualcosa prima del punto di ritorno (ultima possibilità fino alla prossima, si intende), grandi promesse e discussioni per tutta la durata della conferenza, accordo al ribasso che fa contenti tutti e nessuno. La Cop29, però, sembra essere davvero quella che svela i pensieri dei cuori di molti leader mondiali sulla lotta ai cambiamenti climatici.
Intanto, per chi ha scelto di non esserci: Joe Biden, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Luiz Inácio Lula (che ospiterà la prossima Cop), Narendra Modi, Olaf Scholz e Xi Jinping non presenzieranno e Giorgia Meloni farà un passaggio obbligato dal suo momentaneo ruolo di capo del G7.
Scrive il Wall Street Journal che «la partecipazione quest’anno sarà probabilmente molto più bassa rispetto all’anno scorso, con diverse aziende che hanno scelto di inviare delegazioni più piccole o di saltare completamente la conferenza in parte a causa della sua posizione».
Anche le grandi banche disertano la Cop29, i petrolieri ci sono
La Cop di Baku è stata presentata come una conferenza finanziaria, l’obiettivo è trovare i soldi per la transizione dai combustibili fossili e limitare il riscaldamento globale. Quanti? Non più i 100 miliardi di dollari di cui si è sempre parlato nelle ultime riunioni, ma addirittura mille: tutti sanno che sarà impossibile, ma il giochino è sempre lo stesso, sparare alto per poi dire che per colpa di qualcuno il pianeta non si può salvare.
Le grandi banche, però, sembrano volere disertare l’impegno: J.P. Morgan, Morgan Stanley e Goldman Sachs, per citare solo le tre americane più grandi, hanno scelto di non inviare i loro dirigenti senior, scrive ancora il Wsj. Ci saranno però, ironia, i principali rappresentanti dell’industria mondiale del petrolio e del gas. Si tratta d’altronde di persone che a Baku si sentono a casa, dato che l’economia del paese che ospita questa Conferenza che dovrebbe tracciare le linee della transizione energetica dei prossimi anni dipende quasi del tutto da gas e petrolio.
L’ipocrisia dell’Azerbaigian
Come in una commedia grottesca, il presidente della Cop, Mukhtar Babayev, è un veterano della compagnia petrolifera statale Socar, e molti osservatori sostengono che l’obiettivo dell’Azerbaigian in questi giorni è trovare accordi per aumentare le proprie esportazioni di gas all’estero (tutte cose già viste un anno fa a Dubai).
Non è un segreto che l’Azerbaigian ospiti la Cop anche per ripulirsi l’immagine a livello internazionale, dopo l’invasione del Nagorno-Karabakh e numerose violazioni dei diritti umani denunciate anche dal Parlamento europeo. Ma una promessa green non è negata a nessuno: «Abbiamo in programma non solo di investire in energie rinnovabili e tecnologie pulite all’interno del paese, ma anche di esportarle nel prossimo futuro e di esportare cinque gigawatt di elettricità pulita sul mercato europeo», ha detto Bejanov, vicecapo negoziatore della Cop29.
Tanto per i prossimi quattro anni si potrà dare la colpa a Trump, e poco importa se durante il suo primo mandato presidenziale le emissioni di carbonio pro capite degli Stati Uniti siano scese dalle 16,1 tonnellate a persona del 2016 alle 14,9 del 2021, e che il suo principale sponsor elettorale, Elon Musk, sia uno dei più importanti produttori di auto elettriche al mondo.
Con il disimpegno americano dagli Accordi di Parigi almeno sarà chiaro a tutti quello che già è noto: nel mondo quasi nessuno ha intenzione di sacrificare la crescita economica e industriale per raggiungere obiettivi totalmente arbitrari con mezzi costosissimi. Ecco perché la Cop29 di Baku era un fallimento certificato prima ancora di iniziare. Per colpa di Trump.
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