Caro direttore, nel secolo XIX Ernest Hello, scrittore cattolico francese, si accorgeva dell’esistenza di quel fenomeno che Pasolini un secolo dopo avrebbe chiamato “omologazione”: «La folla umana, che non sa nulla e che soprattutto non sa nulla di metafisica, è permeata dagli errori metafisici di qualche pensatore del quale ignora perfino il nome. La folla è una nazione invasa da conquistatori che non conosce. Sono i principi che muovono il mondo, senza che il mondo sappia da chi è condotto. La più lieve negazione religiosa si trasforma in catastrofi materiali spaventevoli. Tu neghi il dogma: ti credi nel regno delle teorie senza conseguenze. Il sangue scorre. Sarai spaventato dagli effetti; non vedrai le cause».
In questo brano, Hello dice due importanti verità: la prima è che le idee dei pensatori d’élite penetrano lentamente e inesorabilmente (“per osmosi”, diceva Giussani) anche nella mente delle persone comuni, la seconda è che queste idee hanno sempre conseguenze materiali. Infatti, le idee tendono a ispirare gli atti materiali. Gli “errori metafisici” cui fa riferimento Hello sono gli errori di Kant e di Hegel, la cui filosofia ai suoi tempi aveva molto successo. Nel complesso, questo brano appare quasi profetico: dal tronco dell’idealismo tedesco sarebbero sorte nel secolo successivo il comunismo e il nazismo, che di sangue ne hanno fatto scorrere a fiumi.
Come i campi di sterminio del secolo scorso sono stati effetti materiali delle astratte idee di alcuni filosofi tedeschi, così la crisi economica che sta divorando l’Italia, come un cancro in metastasi, è la conseguenza materiale di certe astratte teorie economiche, figlie del razionalismo illuminista. Quindi per capire queste teorie dobbiamo prima capire il razionalismo illuminista. Se dal punto di vista cristiano la mente umana è simile ma necessariamente inferiore alla mente dell’Onnipotente, invece dal punto di vista razionalista l’Onnipotente non esiste (oppure non si può sapere né se esiste né se non esiste) e la mente umana è onnipotente. I razionalisti moderni credono che tutti i misteri dell’universo prima o poi saranno svelati e tradotti in poche semplici formule matematiche.
Ma all’interno dell’universo trovano una forza che non si lascia tradurre in formula matematica, non è soggetta a nessuna delle leggi della fisica e non si lascia determinare da nessuna causa esterna: il libero arbitrio dell’uomo. Da quelle più pratiche a quelle morali, tutte le scelte che compiano sono sostanzialmente gratuite e imprevedibili. Ebbene il razionalista non può tollerare che nell’universo ci sia una forza che non può controllare: per questo tende a ridurre l’ampiezza del libero arbitrio.
Di fatto, sia le varie teorie economiche moderne sia il marxismo (che poi è alla base una teoria economica) guardano agli uomini come ad atomi e alla società come un universo fisico regolato da forze che possono quasi essere tradotte in leggi basate sui numeri. Come l’atomo non ha nessuna autonomia rispetto all’universo, così secondo questa visione non ce l’ha l’uomo rispetto alla società e alle sue implacabili leggi fisiche. Da questo punto di vista, non è l’uomo a fare la società ma la società a fare l’uomo. Sarà dunque la società a fare l’uomo buono o cattivo: «L’uomo è buono ed è reso cattivo soltanto dalle istituzioni» (Jean Jacques Rousseau). Ed ecco negato in sol colpo il libero arbitrio e il peccato originale.
Stabilito che il male non viene dal suo cuore, per migliorare l’uomo bisognerà soltanto migliorare la società. Come è noto, secondo Marx per migliorare la società bisogna abolire il capitalismo e perseguitare i capitalisti. Tuttavia, Marx non si accontenta di migliorare la società esistente: vuole costruire la società perfetta che rende l’uomo perfetto, l’utopia, il paradiso in terra. Ma ogni volta che si è provato a realizzarlo, si è scoperto che quello che doveva essere il paradiso in terra era in realtà l’inferno del totalitarismo politico. In teoria, all’interno della società comunista l’uomo dovrebbe essere perfettamente libero, in realtà è perfettamente schiavo. La società comunista è una macchina totalitaria all’interno della quale l’uomo è solo un ingranaggio. E questa macchina sarà guidata dai membri del partito comunista al potere.
Le teorie economiche moderne sono molto diverse dal marxismo perché non contengono un progetto utopico: non mirano a costruire la società perfetta ma solo a fare funzionare meglio l’economia. Non a caso, John Maynard Keynes, che è stato l’economista in assoluto più importante del secolo scorso, criticò lungamente il marxismo. Allo stesso tempo, sono simili al marxismo in quanto guardano alla società come ad un universo fisico all’interno del quale gli uomini sono solo atomi. Keynes crede di avere individuato scientificamente le “forze” psicologico-fisiche che regolano il comportamento economico-quantistico degli uomini-atomi: da una parte c’è la tendenza al risparmio, che è negativa, dall’altra ci sono gli “spiriti animali”, che sono positivi. Quando risparmia, l’uomo-atomo causa crisi economiche: ogni soldo risparmiato è un soldo sottratto ad un imprenditore e ai suoi dipendenti. Quando si abbandona agli “spiriti animali”, spende e investe tutti i soldi che ha a disposizione: ogni soldo speso contribuisce a fare crescere il pil. Da questo punto di vista, per fare funzionare a pieno regime la macchina economica sarà necessario da una parte contenere la tendenza al risparmio e dall’altra stimolare gli “spiriti animali” dei cittadini. Nello specifico, per colpire il risparmio lo Stato dovrà alzare le tasse, per aumentare i consumi lo Stato dovrà creare il maggior numero possibile di posti di lavoro pubblici. Quando i soldi delle tasse non basteranno a finanziare i posti di lavoro pubblici e il resto della spesa pubblica, lo Stato dovrà indebitarsi. Quando i soldi delle tasse non basteranno a pagare il debito, la banca centrale agirà come “prestatore di ultima istanza”: stamperà denaro dal nulla.
Sebbene dunque la visione di Keynes non contenga un progetto utopico, è comunque implicitamente totalitaria. Come la società totalitaria marxista è guidata dal partito, così l’economia “liberale” keynesiana è guidata da una minoranza illuminata composta dai politici e dai loro amici: grandi industriali e governatori delle banche centrali (almeno fin quando le banche centrali erano unite al Tesoro).
Dunque la società “liberale” keynesiana non è affatto libera: è guidata da una minoranza illuminata fatta di politici e dei loro amici. A sua volta, la minoranza illuminata è guidata da una minoranza “esoterica”: quella degli economisti keynesiani, che però non si chiamano più keynesiani. Come i comunisti dal 1989 non si chiamano più comunisti (perché dopo il crollo dell’Urss “comunista” suona male) ma continuano a professare idee comuniste, così oggi nessun economista, nessuno studente di economia, nessun governatore della banca centrale, nessun politico e nessun esperto di mercati finanziari si dice “keynesiano”, ma quasi tutti loro professano idee che sono le vecchie idee di John Maynard appena aggiornate per il nuovo millennio. Come le idee dei filosofi tedeschi, così anche le idee di Keynes aggiornate per il nuovo millennio penetrano lentamente e inesorabilmente nella mente delle persone comuni, che non sanno nulla né di filosofia né di economia.
A questo punto dobbiamo chiederci: perché le idee di Marx e Keynes hanno sedotto non soltanto le élite intellettuali ma anche il popolo? Perché queste idee hanno dentro un ingrediente dalle proprietà stupefacenti, come quelle della droga: l’illusione della vita facile. Quando fu cacciato dal paradiso terrestre, Adamo non poté più mangiare senza lavorare la terra: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gen 3,19). La legge implacabile dell’esistenza è che non possiamo soddisfare nessun bisogno e nessun desiderio senza lavorare, faticare, fare sacrifici. I “liberisti selvaggi” descrivono questa legge in maniera sintetica: “Nessun pasto è gratis”. Più alti gli obiettivi che intendiamo raggiungere, più intensamente dobbiamo lavorare, faticare, sacrificarci. Ad esempio, se vogliamo laurearci a pieno voti, dobbiamo studiare duramente; se vogliamo guadagnare di più, dobbiamo lavorare di più. Analogamente, per trascinare la nazione fuori dall’abisso della crisi economica dobbiamo lavorare di più, faticare di più, fare più sacrifici.
Sia il marxismo che il keynesismo mirano ad eludere questa legge implacabile dell’esistenza. Entrambi vendono l’illusione della vita facile, libera da ogni fatica, responsabilità e sforzo morale. Il marxismo è il sogno della società talmente perfetta in cui nessuno abbia bisogno di essere buono oppure, che è la stessa cosa, gli sia facile essere buono. Nella realtà, la società comunista è un inferno terreno in cui non c’è né bene, né vero né bello. Analogamente, il keynesismo è il sogno di una economia talmente perfetta che nessuno abbia bisogno di agire in maniera moralmente ed economicamente responsabile per soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri. Nella realtà, solo ad una parte della popolazione che vive nella società keynesiana è concesso il privilegio di agire in maniera moralmente ed economicamente irresponsabile: tutti quelli che, direttamente o indirettamente, incassano il denaro delle tasse.
Nella società keynesiana la popolazione si divide infatti in due gruppi: quelli che pagano le tasse e quelli che incassano il denaro delle tasse. Nel primo gruppo rientrano tutti quanti lavorano nel settore privato: gli imprenditori e i loro dipendenti, i liberi professionisti eccetera. Nel secondo gruppo rientrano in ordine decrescente di privilegio: i membri della minoranza illuminata (i politici e i loro amici, fra cui alcuni grandi imprenditori), i dipendenti pubblici, varie figure di gente che campa di welfare pubblico (beneficiari di case popolari e sussidi pubblici eccetera). I più numerosi all’interno del secondo gruppo sono i pubblici dipendenti, sui quali occorre fare definitivamente chiarezza. Una parte di loro lavora nella pubblica amministrazione, la parte rimanente lavora in aziende pubbliche (ospedali e scuole pubbliche, aziende di trasporto pubbliche eccetera). La pubblica amministrazione è improduttiva per definizione mentre le aziende pubbliche in teoria dovrebbero essere produttive. Ebbene, per ragioni che qui si tralasciano, in tutto il mondo le aziende pubbliche sono molto meno efficienti, molto meno produttive e molto più costose di analoghe aziende private. In Italia sono tutte rigorosamente in deficit. In conclusione, se il settore pubblico nel suo complesso producesse più di quello che consuma, non avrebbe bisogno di essere finanziato dai contribuenti: si finanzierebbe da solo con i suoi utili. Sia dunque definitivamente chiaro che il settore pubblico non produce ricchezze: le consuma soltanto. E consumarle soltanto non significa “stimolare l’economia”. Chi svolge un lavoro inutile in un ente inutile non stimola un bel niente: infatti compra i prodotti delle imprese private con i soldi delle tasse, che sono pagate dalle imprese private stesse. Come se un bandito entrasse in un negozio e dicesse al negoziante: “Dammi i soldi della cassa, così con i soldi della cassa ci compro le tue merci”.
Nel sogno keynesiano, la minoranza illuminata rende la vita facile a tutta la popolazione. Nella realtà, rende la vita facile solo a sé stessa e a metà della popolazione, facendo pagare il conto all’altra metà. La minoranza illuminata sottrae ai lavoratori produttivi del settore privato, tramite le tasse, la maggior parte dei capitali e li usa per ingrassare sé stessa e gli amici, per pagare i conti in rosso alle grosse aziende allo scopo apparente di “salvare posti di lavoro” (quando in realtà il vero scopo è fare favori ai loro amici industriali in cambio di altri favori) e per nutrire eserciti improduttivi (vedi sopra) di impiegati statali allo scopo apparente di “creare occupazione” e “stimolare i consumi” (quando in realtà il vero scopo e comprarsi i loro voti). E quando i lavoratori produttivi non hanno più soldi da dare, la minoranza illuminata indebita loro, i loro figli e i loro nipoti a loro insaputa con la scusa di “fare ripartire l’economia”. Appena esce dal ventre materno, ogni neonato in Italia ha già 33.000 euro di debito sulle spalle: si può pensare ad un sopruso più grande? Tornano in mente le parole di Pio XI: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare» (Pio XI, Quadragesimo Anno).
Non c’è dubbio che l’attuale crisi economica sia causata dall’esplosione del debito pubblico e non c’è dubbio l’esplosione del debito pubblico sia causata dall’esplosione della spesa pubblica. Di fronte a questo fatto innegabile, tutti dovrebbero fare due più due: c’è troppa spesa pubblica quindi bisogna tagliare la spesa pubblica. Ma la maggioranza della gente due più due non vuole farlo: infatti la maggioranza della gente beneficia, direttamente o indirettamente, della spesa pubblica. Oltretutto, i santoni keynesiani, i sindacalisti giurassici e i loro protetti frignano ogni volta che qualcuno prova a tagliare un solo euro di spesa: “L’austerità porta alla recessione”. Ma davvero?
Se dunque di tagliare la spesa non se ne parla, che cosa dobbiamo fare per evitare il default? I pusher keynesiani hanno belle e pronte delle soluzioni ad alto tasso di facilità stupefacente: sganciarsi dalla Ue, riprendersi la sovranità monetaria, costringere la banca centrale a fare il “prestatore di ultima istanza”, svalutare il debito tramite una robusta inflazione, azzerare i tassi di interesse sul debito, tassare tutte le transazioni sul mercato finanziario (Tobin tax), costringere i tedeschi a pagare il debito italiano tramite gli Euro-bond e infine, ovviamente, stanare tutti gli evasori fiscali e costringerli a pagare le tasse con tutte le more e le penali.
A esclusione delle ultime tre, tutte queste soluzioni le ha argomentate lungamente su questo sito Giovanni Passali, che ovviamente non vuole essere chiamato “keynesiano”. L’incipit del suo ultimo articolo è davvero significativo: «Il mio precedente articolo ha suscitato alcuni commenti interessanti, poiché riprendono una serie di luoghi comuni che occorre sfatare (…) Un errore piuttosto comune, presente anche in alcuni commenti di Giovanna Jacob e di altri, è quello di pensare che, grosso modo, per la gestione del bilancio statale valgano gli stessi principi di gestione del bilancio familiare che devono essere attuati da ogni buon padre di famiglia». Che cosa fa, in sostanza, il buon padre di famiglia? In primo luogo, cerca di non fare spese superiori alle entrare per non mandare la famiglia sul lastrico. Ebbene, Passali argomenta che lo Stato può e deve spendere più di quello che incassa. Ma che cosa è lo Stato? È una entità metafisica? Proprio no. Con la parola Stato si indica un insieme di individui: i membri della minoranza illuminata e tutti quelli che incassano i soldi pubblici. Ebbene, Passali afferma che tutti gli individui che appartengono a quest’insieme sono autorizzati a vivere al di sopra delle loro possibilità, al di sopra della morale, “al di là del bene e del male”. Sono autorizzati a consumare con dionisiaca euforia i soldi degli “schiavi” produttivi che seguono la cristiana “morale da schiavi”, che fra le altre cose impone di non fare spese superiori alle entrate e non contrarre debiti inestinguibili. Da ultimo, non sono tenuti neppure ad evitare sprechi, inefficienze e ruberie. Infatti, nei due lunghi articoli di Passali non è dato trovare nemmeno un accenno di circostanza agli sprechi, alle inefficienze e alle ruberie che caratterizzano le aziende pubbliche e tantomeno un accenno a fenomeni quali la proliferazione incontrollata dei forestali a spese di contribuenti laddove non ci sono foreste.
Ma anche ammesso che quell’insieme di individui che si chiama Stato abbia il diritto di indebitarsi quanto gli pare, perché il debito è fuori controllo? Non sarà mica che quell’insieme di individui deve cominciare a spendere di meno? Non sarà che deve cominciare a farsi un piccolo esame di coscienza? Ma Passali riesca a salvarli dai sensi di colpa: “Non è colpa vostra se il debito ci sta mangiando vivi: è tutta colpa delle banche, della finanza, della Bce, di Bruxelles, della Merkel, della Thatcher, degli evasori fiscali e di qualcun altro”.
Come il marxismo, l’ideologia post-keynesiana fa leva su due “passioni negative” molto potenti: l’invidia e la presunzione di innocenza. A causa del peccato originale, ogni essere umano ha la tendenza ad invidiare gli esseri umani che hanno più di quello che lui ha: più intelligenza, più talento, più bellezza, più ricchezza eccetera. L’invidia più diffusa è quella verso chi ha più ricchezza, nota come invidia sociale. Bisogna sottolineare che non solo i poveri veri e propri ma anche i ricchi possono provare questo tipo di invidia (perché c’è sempre qualcuno che è più ricco di loro). Ma in generale, la maggior parte degli invidiosi-sociali non sono né poveri né ricchi: sono semplicemente non-ricchi. Per giustificare la sua stessa invidia davanti al tribunale della sua coscienza, l’invidioso addossa tutte le colpe alla persona invidiata: “Non sono io che sono invidioso del ricco, è il ricco che mi sta derubando e impoverendo”. Rallegrando l’invidioso, il marxismo afferma precisamente che i borghesi-capitalisti rubano “plusvalore” ai lavoratori proletari, in altri termini i “ricchi” rubano ai “poveri”, in altri termini ancora i “ricchi” sono cattivi e i “poveri” sono buoni. Quindi tutti i non-ricchi (non necessariamente poveri) in primo luogo si sentono senza peccato (e questa è la presunzione di innocenza), in secondo luogo si sentono autorizzati a fare violenza ai “ricchi”. Non per modo di dire: quanti “borghesi” e quanti “kulaki” sono stati massacrati fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Russia?
Ebbene, oggi l’ideologia keynesiana e post-keynesiana indirizza l’invidia sociale dei non-ricchi verso una nuova categoria di ricchi “kulaki”: i banchieri, i finanzieri, i governatori delle banche centrali, i tedeschi, gli evasori fiscali, i monetaristi, i “liberisti” e qualcun altro. Il tribunale del popolo keynesiano addebita ai nuovi “kulaki” tutte le responsabilità della crisi, immaginando una sorta di nuovo grande complotto in perfetto stile Protocolli dei Savi di Sion: “I banchieri, i finanzieri, i governatori delle banche centrali, i tedeschi della Merkel, gli evasori fiscali, i monetaristi, i liberisti si sono incontrati in gran segreto e hanno deciso di impoverire il popolo italiano per comprarsi l’Italia a prezzi stracciati”. Adesso anche il “liberale” Renato Brunetta, bel liberale davvero, propone una “marcia su Berlino” per costringere i “kulaki” ariani a pagare gli Euro-bond e tutto il resto. Ma la caccia ai “kulaki” non si è aperta solo in Italia. Ad esempio, fino a non molto tempo fa il movimento “Occupy Wall Street” raccoglieva molti consensi negli Usa.
E adesso facciamo chiarezza sul ruolo dei nuovi “kulaki”. Non c’è dubbio che oggi l’economia finanziaria ha assunto dimensioni eccessive e di conseguenza schiaccia l’economia reale (sorvoliamo sul fatto che l’attuale impazzimento della finanza, che prima gonfia e poi fa scoppiare bolle micidiali, è una conseguenza delle politiche keynesiane, come dimostra Hunter Lewis in Tutti gli errori di Keynes; sorvoliamo pure sul fatto che i cattivi “liberisti” austriaci denunciavano quasi un secolo fa il rischio che determinate politiche monetarie potessero scatenare la follia finanziaria, come puntualmente è avvenuto). Non c’è dubbio che sui mercati finanziari c’è chi specula sul debito pubblico italiano, facendo salire il cosiddetto “spread”. Infine, non c’è dubbio che il tasso del costo del denaro imposto dalla Bce è superiore al tasso di crescita dell’economia italiana e che di conseguenza l’Italia fatica doppiamente a ripagare il debito. Tutte cose che sappiamo bene. Ma resta che il debito non è stato creato né dalla finanza né dalla Bce né dalla Merkel: è stato creato da quell’insieme di individui che ha nome di stato. La finanza e la Bce non hanno causato la crisi del debito: al massimo l’hanno aggravata ma nemmeno tanto. Si può paragonare la speculazione sul debito e le politiche monetarie della Bce ad un fiammifero. Se qualcuno accende un fiammifero all’interno di un appartamento in cui c’è una fuga di gas, l’appartamento esplode. Possiamo chiedere alla finanza e alla Bce di maneggiare con più cautela i “fiammiferi” monetari e finanziari, ma il problema vero è il gas del debito. In altri termini, la speculazione sul debito è una conseguenza dell’esistenza del debito, non viceversa. Tornando all’esempio, se quel fiammifero non venisse acceso l’appartamento non esploderebbe ma la gente che si trova al suo interno morirebbe comunque asfissiata. Analogamente, anche se la Banca d’Italia non si fosse mai separata dal Tesoro e il debito non fosse mai stato esposto sui mercati finanziari, il debito avrebbe comunque continuato a crescere fino a uccidere l’economia.
Più che aggravarla, la grande finanza e la Bce hanno portato allo scoperto la crisi del debito, che è iniziata molto prima della nascita dell’euro. Dire che la crisi l’hanno causata la grande finanza e la Bce è come dire che il termometro ha causato la febbre. Di fronte all’alto tasso del costo del denaro imposto dalla Bce, il keynesiano italiano medio si chiede: come potremo costringere la Bce ad abbassare quel maledetto tasso? Una persona nel pieno possesso delle sue facoltà mentali invece si chiede: perché l’Italia non riesce a ripagare il debito col tasso imposto dalla Bce mentre la Germania ci riesce? Perché l’economia italiana cresce meno dell’economia tedesca? Non sarà mica che in Germania hanno tagliato giusto un poco la spesa pubblica e fatto qualche minima riforma liberale mentre in Italia non si può né tagliare un euro di spesa né fare la più piccola delle riforme senza risvegliare le Brigate rosse e scatenare la rabbia delle piazze? E non sarà mica che se riuscissimo a tagliare qualche euro di spesa e riuscissimo a fare qualche minima riforma liberale la nostra economia inizierebbe a crescere timidamente? E non sarà mica che se tagliassimo di più e liberalizzassimo di più la nostra economia potrebbe spiccare il volo?
Riepilogando, non c’è nessun complotto di banchieri, finanzieri, governatori delle banche centrali, tedeschi e compagnia. Tutti questi possono avere molte colpe ma il debito italiano non lo hanno né creato né gonfiato loro: lo ha creato, gonfiato e fatto esplodere, come una bomba nucleare, la minoranza illuminata dei politici e dei loro amici. Le soluzioni keynesiane (come quelle suggerite da Passali) non possono curare la crisi del debito per la semplice ragione che sono state proprio delle politiche keynesiane a crearlo. Il privilegio della vita facile che la minoranza illuminata concede a sé stessa, ai suoi amici e a metà della popolazione deve cessare: l’austerità è l’unica soluzione possibile. Austerità non significa togliere il pane di bocca agli affamati: significa impedire a metà della popolazione di continuare a campare a spese dell’altra metà. Come la fine dello sfruttamento fiscale sistematico di metà della popolazione possa portare alla recessione lo sanno solo gli spacciatori all’ingrosso dell’illusione della vita facile. (Fra parentesi, ho una domanda per voi, cari spacciatori: se è vero che la crisi attuale è stata provocata, come dite voi, dalle malvage politiche “liberiste” di gente malvagia come Margareth Thatcher, come mai i giovani italiani di talento abbandonano in massa questa nazione, in cui grazie a voi il malvagio “liberismo” non è mai entrato, e fuggono nell’Inghilterra “liberista” della Thatcher e di Cameron?)
Ma non basta ancora. Non ci possiamo accontentare di uscire da questa crisi economica. Dobbiamo liberare la nostra società dalla invisibile dittatura totalitaria che la opprime: la dittatura del partito unico keynesiano ossia della minoranza illuminata. La differenza fra la dittatura comunista e quella keynesiana è che la prima ti accorgi che c’è perché stai male, la seconda non ti accorgi che c’è ma stai male lo stesso e, ingannandoti, attribuisci la colpa del tuo male a varie categorie di “kulaki”. Bisogna togliere a quei dittatori la prerogativa assolutista di gestire il frutto del sudore della nostra fronte e dirigere le nostre vite. Dobbiamo riprenderci il diritto inalienabile, prescritto dalla legge naturale e divina, di disporre liberamente e responsabilmente del frutto del sudore della nostra fronte. Dobbiamo riprenderci il diritto di dirigere noi stessi le nostre vite.
Ma non potremo mai liberarci dalla dittatura della minoranza illuminata se prima non ci liberiamo dalla dittatura intellettuale della minoranza esoterica degli economisti keynesiani, le cui negazioni religiose hanno causato la catastrofe materiale spaventevole del debito pubblico. Loro negano la legge fondamentale della vita, pretendono che i pasti siano gratis, e ci ritroviamo tutti sull’orlo dell’abisso del default. Dobbiamo fare crollare il castello di carte della loro visione razionalista, secondo cui l’uomo sta alla società come l’atomo sta all’universo fisico. La società non è un universo fisico regolato da forze fisiche misurabili e l’uomo non è un atomo: è una creatura autonoma che agisce in base al libero arbitrio, che è una forza misteriosa e non misurabile. Noi cristiani sappiamo che questa forza non tende sempre al bene perché ha una ferita misteriosa, prodotta dal più misterioso degli eventi: il peccato originale.
Abbiamo visto che ’invidioso sociale marxista ritiene che tutti i capitalisti, per il solo fatto di essere capitalisti, son cattivi, mentre l’invidioso sociale keynesiano ritiene che tutti i “kulaki” della Bce, dei mercati finanziari eccetera siano cattivi. È certo che, a causa del peccato originale, non tutti i “kulaki”, così come non tutti i “capitalisti” di oggi e di ieri, si comportano in maniera moralmente ed economicamente responsabile. Ma se è per questo, neppure tutti i poveri e tutti i non-ricchi si comportano in maniera moralmente ed economicamente responsabile. Per dirla tutta, nessuno è senza peccato, a parte i santi: quindi la presunzione di innocenza economica assoluta che il marxismo e il keynesismo attizzano nel cuore dei poveri e dei non-ricchi è un peccato grave.
Poiché ritengono che il male venga dalla società, i marxisti pensano che per migliorare l’uomo bisogna migliorare la società. In realtà non si può migliorare la società se prima non si migliora l’uomo, perché il male viene dal cuore dell’uomo. Ma dal punto di vista cristiano si può migliorare l’uomo? Sì e no. Non si può costringerlo ad essere migliore, cioè ad essere santo, perché spetta a lui scegliere se esserlo o no. Quello che si può fare, è educarlo ad essere migliore e impedirgli di fare il male tramite leggi e punizioni legali. Ad esempio, non si può imporre a nessuno di morire per gli altri: gli si può solo imporre di non uccidere gli altri. Analogamente, non si può imporre a nessun imprenditore di fare la carità ai poveri: gli si può solo vietare di sfruttare economicamente i poveri. Ma se un imprenditore, un finanziere, un banchiere fanno bene il loro lavoro rispettando tutte le regole, non arricchiscono soltanto sé sessi ma anche quelli che li circondano. Invece di guardarli con invidia e odio, i non-ricchi dovrebbero ringraziarli.
Quindi, per quanto riguarda l’economia intesa come quel complesso intreccio di scambi e relazioni fra individui, essa necessita di un insieme di regole certe, esemplate sulle regole morali. Dal momento che lo Stato non è una entità astratta ma un insieme di individui, anche lo Stato deve seguire le regole della morale: in primo luogo deve comportarsi come il buon padre di famiglia. Per quanto riguarda invece l’economia intesa come dottrina che studia quel complesso intreccio di scambi e relazioni fra individui, essa deve abbandonare urgentemente ogni velleità scientifica e tornare ad essere quello che era nei secoli cristiani: una branca della filosofia morale. Gli economisti cattolici devono chiudere e riporre negli scaffali i libri di Keynes, Krugman e Bagnai e aprire per la prima volta la Summa di san Tommaso, che ha molto da insegnarci sull’economia. La prima cosa che ci insegna è che il capitalismo e il libero mercato non sono fini ma mezzi che, come tutti i mezzi, possono essere usati bene o male. Se li usiamo bene, seguendo le regole della morale, sono i più straordinari mezzi mai apparsi sulla faccia della terra per moltiplicare e diffondere ricchezze fra tutte le classi sociali. Liberiamoci dunque dei tiranni che, nel nome del “bene comune”, vogliono impedirci di usarli e cominciamo ad usarli bene, per il bene di noi e dei nostri discendenti.