Gentile direttore, le chiedo ospitalità per informare lei e i suoi lettori di un’istruttiva disavventura che mi sta capitando: e lo chiedo a lei perché il suo giornale mi sembra tra i pochi per i quali l’esistenza reale delle persone è più importante della compulsione ideologica ad eliminarle, nel caso linciandole mediaticamente.
Giovedì 19 febbraio la Commissione Giustizia del Senato ha invitato anche me, oltre a vari membri di associazioni famigliari, a fare osservazioni e commenti al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili in quella che si chiama un’audizione. Ingenuamente ritenevo che “audizione” significasse che la Commissione era interessata a sentire le ragioni degli invitati, e quindi sono rimasto basito quando durante il discorso di un’invitata due senatori sono usciti dall’aula atteggiandosi ad offesi da quella che era una normalissima argomentazione. Basito perché, mi sono detto, se il semplice argomentare è offensivo allora siamo messi male: soprattutto perché a fare gli offesi erano due padroni di casa, a dirsi aggrediti erano due potenti: ma d’altronde questa è una parte che solo i (pre)potenti possono giocare: è Caifa a stracciarsi le vesti, non Gesù, ed è sempre il lupo a fare l’offeso, mai l’agnello.
Comunque veniamo a quanto mi riguarda direttamente. Come penso lei sappia – o come può venire a sapere facilmente – io sono professore stabile straordinario di Psicologia e psicopatologia delle relazioni famigliari al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi sul matrimonio e la famiglia presso l’Università Lateranense, e professionalmente faccio l’analista da quaranta anni, attualmente faccio parte de l’Ecole de Psychanalyse des Forums du Champ Lacanien di cui sono Analyste Membre. Ero stato invitato, credo, per via della mia esperienza analitica, clinica e di riflessione teorica: e comunque io ho cercato di dire qualcosa a partire da questa, tenendomi ad alcune affermazioni fondamentali e profetiche del mio maestro Jacques Lacan.
Senza farla lunga, il nocciolo del mio discorso consisteva in una messa in guardia, che andava ben aldilà del testo di quella legge, sul quale intervenivano altri: in sostanza, dicevo, l’esperienza della psicoanalisi testimonia dell’esistenza di un livello della realtà umana e sociale che è costitutivo della vita del soggetto e dei suoi legami, livello inconscio, nel quale si elabora il rapporto e la dipendenza del soggetto dal reale, anche quello sessuale, (“castrazione”), attraverso la funzione della madre e la funzione del padre (Lacan).
E a proposito dei campi di concentramento Lacan sosteneva che sarebbero stati il problema del futuro, che i nazisti erano stati dei precursori, perché “il nostro avvenire di mercati comuni avrà come contrappeso un’estensione sempre più dura dei processi di segregazione” come conseguenza della “universalizzazione che la scienza introduce nei gruppi sociali”: disagio della civiltà e campi, questo il gaio orizzonte del nostro presente e avvenire, conseguenza dell’uso della scienza per negare e sopprimere la singolarità delle persone. Non stupisce che, come esiste un negazionismo dei campi e delle camere a gas, possa esistere un negazionismo psicologico e antropologico: e dovremmo verificare questo atteggiamento, prima di metterci a discutere di ricerche scientifiche sulla felicità dei bambini. Che si tratti, per ora, di un “campo” consumistico a tre o quattro stelle, non ne cambia la natura mortifera.
Dicevo dunque che ero là a parlare per lealtà con l’esperienza mia, di Freud e di Lacan. Invitavo a considerare l’importanza crescente nella nostra società della domanda di morte come rovescio del rapporto maniacale con l’oggetto di godimento (sempre Lacan) che oggi domina: l’offerta di morte che ora appare in forma inedita nella pubblicità che ne fa l’Isis e la conseguente domanda di morte manifesta nelle adesioni che essa suscita. Segnalavo che il reale, si può anche ignorarlo, ma non lo si elimina. Tutti temi che si trovano anche in libri di analisti lacaniani vicini politicamente alla sinistra.
Bene: il giorno dopo il sito dell’Espresso titolava: “Matrimoni gay? Come l’Isis”. La dichiarazione choc in Aula, facendo il mio nome e mettendo a sostegno un lungo virgolettato a mo’ di sintesi del mio intervento: inutile dire che la sintesi non era mia, alla faccia delle virgolette. Mi telefonava una giornalista del Fatto quotidiano per farmi dire insistentemente se io “avevo paragonato il decreto Cirinnà all’Isis”: frase evidentemente cretina, che mi sono rifiutato di commentare. La giornalista però mi aveva interpellato come “Mario Binasco, della Ecole européénne de psychanalyse”: e non capivo perché mi chiamasse così, visto che sia io che altri colleghi ci eravamo staccati da quell’associazione psicoanalitica quindici anni fa e piuttosto polemicamente.
L’ho scoperto giorni dopo, quando sempre il sito dell’Espresso titolava “Il prof ha mentito sulla carica accademica”, e poi nel testo ripetute affermazioni del fatto che avrei mentito ad una commissione parlamentare, che avrei millantato titoli accademici, che partecipo a “battaglie omofobiche orientate a distruggere la vita di milioni di italiani e italiane” (dice Grillini, al limite del delirio di persecuzione), come se il disagio nella civiltà io l’avessi creato, invece di dargli il nome che merita. Mi sembra di aver capito che qualche segretaria parlamentare, pasticciando, deve aver messo vicino al mio nome quella membership scaduta da un bel po’ invece che i titoli attuali.
Tanto per chiarire: l’Ecole européénne de psychanalyse non era un istituto accademico, ma una associazione di psicoanalisti, perciò dire di esserne docente equivarrebbe a dire di essere docenti del circolo del bridge, non essendoci niente da millantare; in secondo luogo, essendone venuto via criticamente, dovrei essere impazzito per dire di esserne membro: sai che fierezza di appartenere a un gruppo che sono felice di aver lasciato! Questo assurdo però non può essere sfuggito al dott. Domenico Cosenza, che sembra sia oggi un responsabile di quella sigla, e di cui l’Espresso cita lunghe dichiarazioni: la prima è che “Binasco si presenta ecc.”: a parte il fatto che Binasco, come tutti al Senato, non “si presenta” ma “è presentato”, mi sto ancora chiedendo perché Cosenza ha sentito il bisogno di distruggere l’immagine stimabile che ancora conservavo di lui, reggendo il gioco a questa gentaglia.
La seconda dichiarazione che sente il bisogno di fare è che “le idee espresse da Binasco riguardo alla questione delle unioni omosessuali distano anni luce” dalle loro ecc.: non so di quanti anni luce Cosenza si sia allontanato da Freud e Lacan, e se per caso abbia scoperto che il disagio della civiltà (e della sessualità) non esiste e che i soggetti bambini vengono su tranquilli come i funghi, senza bisogno di crisi edipiche e di castrazione. Sarei comunque curioso di sapere a quali mie idee Cosenza si riferisce, dato che non ho mai espresso idee sulle unioni omosessuali: infatti, per essere proprio sincero, devo dire che come analista non mi importa nulla di come la gente usa il proprio corpo sessuato (finché non viene a parlarmi di quello che non va e che il sesso non rimedia). Ciò di cui mi importa veramente è la logica e il metodo assassini e totalitari con cui un potere anonimo cerca di ridurre la società ad un grande campo di concentramento biopolitico di tipo orwelliano (M.Foucault), sfruttando le rivendicazioni dei movimenti lgbt, oggi, e domani sarà quel che vorrà il despota di turno: sai che valorizzazione della sessualità umana!
La facilità con cui questi diffamano e trattano da cretino chiunque cerchi di pensare, comunque, dà un’idea precisa di quanto tengono in conto la realtà delle persone. Anche Cosenza conosce bene quell’aforisma di Lacan: “ciò che è rigettato dal simbolico, riappare nel reale”: non viene a nessuno il dubbio che l’Isis sia il ritorno nel reale di qualcosa di fondamentale ostinatamente rigettato dal simbolico dell’occidente?
Grazie per l’attenzione.
Mario Binasco