Con i nuovi missili la guerra in Ucraina sarà solo più feroce
I missili a lungo raggio Atacms e Storm Shadow non cambieranno la guerra in Ucraina, così come non l’hanno cambiata i caccia F-16 (qualcuno se li ricorda ancora?), i tank ultramoderni Abrams M1 o Leopard, i lanciarazzi Himars, le bombe a grappolo, i proiettili all’uranio impoverito, le mine anti-uomo e così via.
I nuovi armamenti che americani e britannici hanno permesso a Kiev di utilizzare per colpire la Russia in profondità, dopo mesi di ritrosia ben motivata, serviranno soltanto a far rotolare nuovamente i dadi in quel letale gioco dell’oca a cui la guerra in Ucraina purtroppo assomiglia.
Il ballo dei missili tra Ucraina e Russia
Il percorso è sempre lo stesso: vengono concesse nuove armi all’esercito di Volodymyr Zelensky, sempre più devastanti, in grado di coprire almeno mediaticamente la reale situazione sul terreno di battaglia, il Cremlino risponde agitando la minaccia nucleare, il presidente ucraino si lancia in dichiarazioni trionfaliste, le armi vengono utilizzate (con parsimonia, visto che le munizioni sono poche) ottenendo buoni risultati che però le truppe di Kiev non sono strutturalmente in grado di capitalizzare, la Russia risponde con attacchi ancora più devastanti sui civili e le infrastrutture energetiche del paese, gli scontri nel Donbass vanno avanti come prima e tutti si dimenticano delle armi appena concesse fino alla richiesta successiva.
I fatti degli ultimi giorni sembrano rispecchiare questo copione. Dopo il via libera di Washington e Londra, Zelensky ha dichiarato: «Gli attacchi non si fanno a parole. I missili parleranno da soli». Nella notte tra il 18 e il 19 novembre sei Atacms sono stati lanciati nella regione di Bryansk (e non in quella di Kursk, come inizialmente promesso) e il giorno successivo fino a 12 Storm Shadow hanno colpito la Russia.
Mosca ha risposto cambiando la sua dottrina nucleare, rendendo l’utilizzo di ordigni atomici ancora più probabile, poi ha colpito la città di Dnipro con un missile balistico, forse intercontinentale, un tipo dunque in grado di montare una testata nucleare, dopo aver terrorizzato psicologicamente la capitale Kiev lanciando falsi segnali su un imminente attacco massiccio.
La «catastrofe strategica» nel Kursk
Secondo alcuni esperti, i missili Atacms e Storm Shadow potrebbero servire a evitare che l’invasione ucraina della regione russa di Kursk si trasformi in una «catastrofe strategica».
Secondo l’Istituto per lo studio della guerra (Isw), infatti, dei 1.171 km conquistati dagli ucraini nel Kursk circa la metà sono stati già ripresi dai russi: 593. Marina Miron, ricercatrice nel settore della difesa del Kings College di Londra, ha dichiarato alla Bbc che «l’incursione nel Kursk è una catastrofe, perché le unità ucraine», alcune delle migliori di cui l’esercito dispone, «sono intrappolate lì» e non possono difendere l’est del paese.
È proprio nel Donbass che l’avanzata russa è più decisa: se l’anno scorso si poteva parlare di guerra in stallo, con appena 465 chilometri quadrati conquistati da Mosca in un intero anno, nel 2024 la Russia ha già occupato 2.700 km quadrati di territori, oltre mille dei quali negli ultimi due mesi, segno che «l’avanzata accelera».
Nuovi soldati da sacrificare alla vittoria
Se quest’anno la difesa ucraina si è rivelata meno efficace non è appena perché la Russia ha più missili e munizioni, ma soprattutto perché ha più soldati da “sacrificare” alla vittoria. Nonostante i tentativi di reclutare nuovi effettivi, l’esercito di Kiev continua a essere a corto di uomini.
Anche Vladimir Putin l’ha capito e per difendere il Kursk, invece che ritirare i suoi soldati dal Donbass, frenando l’offensiva, ha chiesto un aiuto all’alleato Kim Jong-un, che gli avrebbe già messo a disposizione 50 mila uomini per riprendere la regione russa, così che Kiev non possa utilizzarla in futuri negoziati.
Quante balle sulla guerra in Ucraina
Davanti a questa situazione, a causa dell’indisponibilità dei paesi Nato a schierare le proprie truppe a difesa dell’Ucraina, l’opzione migliore è mettere fine a «mille giorni di inutile guerra» con un negoziato, scrive Domenico Quirico sulla Stampa. Che ha criticato la posizione ambigua tenuta dall’Occidente fin dall’inizio del conflitto:
«Non dimentichiamo questi due anni di malattia della verità, le false certezze per cui si è accettato un massacro progressivamente e umanamente premeditato: Putin sarà
sconfitto, punto! […] [Ma] Putin, l’invasore che bisognava punire con la pace ovviamente “giusta”, non stava affatto perdendo la guerra. Anzi con il passare dei mesi la stava inesorabilmente, metodicamente, pazientemente vincendo. […] Per l’amministrazione americana era soltanto una ghiotta occasione per logorare Putin, mettere il guinzaglio agli europei e
fare buoni affari con armi e energia».
I negoziati non sono più un tabù
Complice anche la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane, l’Ucraina non si oppone più graniticamente a una trattativa. Zelensky ha fatto anche una delle rare professioni di buonsenso dall’inizio del conflitto: «Non possiamo perdere decine di migliaia di persone per la Crimea, la penisola potrebbe essere recuperata attraverso la diplomazia».
Emblematiche a questo proposito le dichiarazioni rilasciate a Repubblica da Yehor Cherniev, a capo della delegazione permanente ucraina alla Nato: «È difficile che i missili occidentali siano decisivi. Siamo stanchi, la società è stanca, siamo pronti a negoziare, ma non a ogni condizione. Non riconosceremo mai che parte dei nostri territori diventino territori russi. Ma possiamo parlare di cessate il fuoco».
La condizione per accettare il congelamento del conflitto per Kiev è l’ingresso nella Nato, ma finora i partner occidentali si sono sempre opposti, mostrandosi invece possibilisti sull’ingresso nell’Ue.
Discutere di accordo, però, non è più un tabù né a Kiev, né a Washington, né a Bruxelles. È questo l’unico vero passo avanti nel conflitto.
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