Come farebbe la sinistra a fare le riforme che ci chiede l’Europa?

Di Chiara Sirianni
26 Ottobre 2011
Il Pd è in grado di realizzare i punti della lettera inviata dalla Bce, anche correndo il rischio di rompere, ideologicamente, qualche uovo? Per il direttore di Radio Popolare, Danilo De Biasio «probabilmente la sinistra applicherebbe alcuni di quei punti, non tutti. È uno degli elementi di debolezza di un’ipotetica alleanza larga di centro sinistra»

«Siamo stati derisi in modo inaccettabile. Gli italiani non sono Berlusconi, li si deve rispettare», ha commentato il leader del Pd Pier Luigi Bersani in seguito alle risate del vertice Ue. «Berlusconi deve andarsene, è l’unico modo per permettere agli italiani di recuperare il rispetto internazionale» ha proseguito il segretario dell’opposizione. Resta una domanda: c’è un programma a sinistra in grado di essere alternativo a quello del Pdl? Che scelte farebbe una sinistra governativa, davanti alle richieste dell’asse europeo Merkel-Sarkozy? 

Il Partito democratico concorda con le riforme che chiede l’Europa? Ed è in grado di realizzare i punti della lettera inviata dalla Bce, anche correndo il rischio di rompere, ideologicamente, qualche uovo? «Probabilmente la sinistra applicherebbe alcuni di quei punti, non tutti. È uno degli elementi di debolezza di un’ipotetica alleanza larga di centro sinistra» commenta a Tempi.it il direttore di Radio Popolare, Danilo De Biasio. «È esattamente il difetto di fabbrica su cui è caduto il governo Prodi. Questa volta, però, mi sembra che tutti ne siano ben consapevoli».



Se il Popolo della Libertà perde consensi, anche il Partito Democratico non esce dai sondaggi in gran forma. Una semplice alleanza di sigle fondata sull’anti-berlusconismo difficilmente basterebbe, agli elettori e all’Europa: servirebbe una linea unitaria, che però sembra difficile da mettere a fuoco. Se Romano Prodi ha benedetto la lettera della Bce come un “monito doveroso e atteso”, il leader di Sel Nichi Vendola l’ha definita “inaccettabile”, e la frattura tra chi la vorrebbe adottare integralmente e chi la critica si è fatta man mano più evidente. Matteo Orfini (Pd) ha definito la strada indicata da Draghi e Trichet «la causa della malattia, non la cura», seguito da Stefano Fassina (sempre Pd), per cui «la ricetta neo-liberista riproposta dalla Bce, in sintonia con i governi conservatori, prima che iniqua, è irrealistica».

 Secondo il sottosegretario del Pd Gianni Letta invece, il testo «indica gli obiettivi ineludibili di un programma di politica economica». Il sindaco di Firenze Matteo Renzi, ha detto di non condividere «l’atteggiamento prevalente nel Pd, che invoca l’Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode».

Il 
senatore del Pd Giorgio Tonini nel frattempo lamentava senza mezzi termini la mancanza di una presa di posizione netta di Bersani: «A nessuno può sfuggire come, in una fase drammatica come quella che
 attraversa l’Italia, dinanzi al disfacimento ormai conclamato del governo
 Berlusconi e alla rinnovata attenzione del paese nei confronti delle
 proposte dell’opposizione, il Partito Democratico non 
possa non avere una chiara linea di politica economica e sociale e di
 politica europea, e non possa presentarsi diviso su questioni tanto
 cruciali perfino nel suo massimo vertice dirigente».

 Quale linea potrebbe portare avanti il centro-sinistra se dovesse diventare maggioranza e quindi assumersi il compito di far uscire l’Italia dalla crisi? «Paradossalmente la sinistra che con tutta probabilità non sarebbe chiamata a far parte del governo, ha le idee più chiare. Invocare la patrimoniale è una posizione: condivisibile o meno, ma una posizione» prosegue De Biasio. «Se la lettera è molto puntuale su alcuni temi, su altri lascia più margine di azione. E mi auguro che lì si possa trovare un punto d’incontro, una sintesi».

Certo è che da una parte c’è il Pd prodiano ed europeista, dall’altra chi risponde con le proteste di piazza e l’anticapitalismo da corteo, coi comitati “noi il debito non lo paghiamo”. E anche lo scontro sulla riforma delle pensioni tra Pdl e Lega ha fatto emergere tutta una serie di contraddizioni: se Vendola e Di Pietro hanno sfilato con la Cgil contro le modifiche al sistema pensionistico, la revisione del cosiddetto “scalone Maroni” per le pensioni di anzianità è un’operazione dell’ultimo governo Prodi. Non occorrerebbe una posizione intermedia? 

«Che in questo momento manca, certo, ma non so se sarebbe necessaria» commenta De Biasio. «La spaccatura ideologica e organizzativa tra un pezzo di sinistra e il grosso del centrosinistra non è una novità. È una frattura creatasi dal 2008 e che si è rimarginata solo a livello locale, amministrativo. L’unica forma in cui forse il centrosinistra oggi può essere realmente solido». A livello nazionale, sarà possibile farlo? «Lo spero, ma non so dire su quali punti. A livello di base, di elettorato, probabilmente è più semplice raggiungere un’unità di intenti, perché si avverte di essere tutti sulla stessa barca, a differenza di quello che si registra a livello di segreterie di partito».

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