«I giochi sono finiti. Chi fingeva ripulsa per il Porcellum ora deve fare i conti con l’assenza di alternative». Per il leghista Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato ed esperto in normative elettorali, lo smarrimento della politica sulla bocciatura costituzionale della legge “porcata” ha il profumo della rivincita. Per anni è stato accusato di essere il creatore di una chimera. In realtà, dichiara a Tempi, «il Porcellum nacque soltanto per imposizione dell’Udc e di Casini, che minacciò di non votare le riforme costituzionali del 2005 se non fosse stata fatta».
«All’inizio, era una legge buona. Poi, ognuno ci mise dentro qualcosa: Berlusconi, il premio di maggioranza; Fini, le liste bloccate; Ciampi, allora Presidente della Repubblica, il premio a livello regionale. Ne venne fuori il Porcellum». Nonostante le numerose «mortificazioni», alle quali si è aggiunta di recente quella della Consulta che lo scorso dicembre lo ha dichiarato in parte incostituzionale, il Porcellum è ancora legge. Passò «indenne anche a due anni di governo di centrosinistra, che – ricorda Calderoli – non l’ha mai abolito». Forse perché fu proprio il Porcellum a regalare per pochissimi voti di scarto una maggioranza politica, se pur risicata, a Romano Prodi, nel 2006.
Calderoli non sa quale sia l’obiettivo del Partito Democratico. «Sulla legge elettorale, per mesi il Pd ha continuato ad accampare scuse: “Dobbiamo pensarci bene”, “aspettiamo la Consulta”, “facciamola dopo il congresso di partito”. Hanno sempre chiesto rinvii. Gli stessi che hanno ordito il ritardo sono stati quelli che hanno detto: “Il Senato non riesce a far niente, quindi chiediamo il trasferimento alla Camera”». Una manovra politica che ha fatto perdere del tempo al Parlamento, spiega Calderoli. «Il lavoro fatto in Commissione del Senato aveva portato a un vademecum sui princìpi generali della legge elettorale, ma poi il Pd ha deciso di buttare all’aria il tavolo, inserendo il doppio turno, pur sapendo che in Commissione non c’erano i numeri per farlo passare». Era il tentativo, secondo il vicepresidente del Senato, «per poter chiedere la trasmissione alla Camera, dove il Pd ha autonomia per votarselo da solo».
Capendo quella manovra, Calderoli aveva presentato un suo ordine del giorno in cui si richiedeva il ritorno al Mattarelum, con alcune modifiche che consentirebbero di superare il problema dello scorporo e delle liste civetta. Nel Mattarellum modificato «la quota proporzionale verrebbe usata come premio di maggioranza, per garantire la governabilità al paese», argomenta il senatore. Una soluzione che sarebbe potuta andare bene anche al Pd, ma che oggi non è più attuabile, se si vuole andare alle elezioni a maggio. «Se si pensa di voler andare alle urne in primavera non c’è proposta che tenga», prosegue Calderoli. «Bisogna aspettare le motivazioni della Consulta, se non si vuole approvare un’altra legge incostituzionale. Poi ci sono da rispettare i quarantacinque giorni di campagna elettorale. Ci sarebbero soltanto poche settimane di tempo per votare una nuova legge. Ma quale?», si chiede Calderoli. «Non il Mattarellum modificato. Bisognerebbe fare l’aggiornamento del censimento. Ma ci vogliono dai due ai tre mesi per mettere a posto i collegi. Non c’è tempo».
Per il vicepresidente del Senato, «il buon senso suggerisce di partire a spron battuto con la riforma del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari, cosa che è fattibile per il mese di giugno. Per luglio potremmo avere la legge elettorale definitiva. Se uno vuole farla prima, creerebbe solo de pasticci». Questo perché «non esiste un sistema elettorale perfetto fintanto che la nostra Costituzione prevede due rami del Parlamento che fanno le stesse cose, che esprimono entrambi la fiducia al governo e che hanno un elettorato diverso. Con due camere che devono esprimere una doppia fiducia, con un sistema che si divide per elettorato e su base nazionale e regionale, è irrealizzabile una qualunque legge elettorale che possa consentire la stabilità».
Calderoli ha fatto i conti. «Abbiamo provato a fare delle simulazioni sulla base dei risultati delle ultime elezioni politiche, applicando i vari modelli elettorali». Il risultato? «Non solo non si sarebbe mai prodotta una maggioranza identica alla Camera e al Senato, ma – spiega – non ci sarebbe mai stata una maggioranza in nessuna delle due camere». «Se si fosse usato il Mattarellum, avrebbero vinto il Pd e il centrodestra. Se si fosse usato il sistema tedesco o greco avrebbero vinto i grillini. Con il modello spagnolo avrebbe vinto il centrosinistra. Ma in nessuno di questi casi qualcuno avrebbe avuto la maggioranza alla Camera».
La deduzione è quindi ovvia: «Senza cambiare il sistema costituzionale non ci potrà essere un governo stabile». Neanche se il nuovo leader del Pd, Matteo Renzi, facesse una memorabile campagna elettorale. Secondo il vicepresidente del Senato, infatti, «non esiste un sistema che possa dargli una maggioranza, neanche risicata. Avrebbe una maggioranza relativa a Montecitorio, dove gli mancherebbero più di cento deputati. Lo stesso avverrebbe a palazzo Madama».
«Abbiamo perso otto anni»
Sarebbe invece possibile un «doppio turno, con sbarramento e non con ballottaggio, per riconoscere una maggioranza di governo». Ma come nel caso del premier scelto direttamente dagli elettori, anche in questo caso servirebbe una riforma costituzionale, perché «se si vota per due camere, il sistema del doppio turno non sta in piedi», asserisce Calderoli.
Una legge elettorale che potrebbe andare bene per tutti e che porterebbe l’Italia alle elezioni senza bisogno di riformare la Costituzione ci sarebbe. «Ma Renzi, Berlusconi e Grillo devono venire a chiedermela in ginocchio», scherza.
Nel 2005 fece passare in tempo record una riforma costituzionale molto simile a quella di cui si parla oggi: fine del bicameralismo perfetto, più poteri al premier, introduzione della “sfiducia costruttiva”. «Fu bocciata dal referendum perché conteneva devoluzione di poteri alle Regioni e venne venduta da parte della sinistra come divisiva per il paese», ricorda. «Se i contenuti di quella legge, che oggi vengono proposti da quelli che allora li avevano bocciati, fossero stati approvati, avremmo guadagnato otto anni di vita», osserva Calderoli. Fu proprio per quella riforma, poi affossata, che venne varato il Porcellum.