Cinema – Ritorno live-action nel Libro della Giungla
Di Amedeo Badini
13 Aprile 2016
A partire da Alice in Wonderland (2010), la Disney ha cominciato un percorso di remake live-action dei suoi classici d’animazione, seguendo però sempre vie diverse: sequel, spin-off oppure quasi fedeli riproposizioni, riproponendo la magia e lo stile che ammaliavano il cartone e attirando lo spettatore nostalgico. In quest’ultimo filone rientra a pieno titolo Il Libro della Giungla di Jon Favreau, remake del celebre cartoon del 1967. Possiamo dirlo con onestà: la versione animata deve completamente il suo fascino alla scanzonata e ritmata colonna sonora, ad opera degli amati Fratelli Sherman e di Terry Gilkyson, oltre ad una superba e vivace cura dei personaggi, vivi e animati come non mai. Per il resto, la sceneggiatura traballante e un andamento monotono non rendevano piena giustiza al romanzo di Kipling. Cosa che il film di Jon Favreau intende, parzialmente, fare.
L’eterno conflitto tra la tigre Shere Kan e il cucciolo d’uomo Mowgli rivive con toni oscuri e selvaggi, in una giungla infida e pericolosa, pronta a tradire in ogni momento. A poco varranno l’aiuto dei buoni Baloo e Baghera, per un fanciullo che dovrà salvarsi solo grazie all’astuzia e alla mente umana. L’insieme di ambienti dal vero e animali computerizzati offre un quadro complessivo intrigante e suggestivo, ma va notato come la cgi non renda giustizia agli animali, diversamente dall’animazione e dalla tecnica xerox del 1967. Quando parlano infatti, appaiono un po’ sfasati e poco credibili; in compenso, Shere Kan emerge in tutta la sua crudeltà e la sua naturale spietatezza, grazie anche alla voce di Alessandro Rossi, così come il boa Kha affidato ad una sensuale e temibile Giovanna Mezzogiorno, e l’enorme orangutan Re Luigi di uno straordinario Giancarlo Magalli. Proprio a lui, così come a Neri Marcorè – Baloo, sono affidati i due pezzi musicali, semplici reprise delle due canzoni più famose del classico. Infine, il finale propone una lettura simile a quella di Zootropolis – si può essere sè stessi ovunque – in maniera inedita rispetto al romanzo e al cartone originali, ma del tutto in linea con la filosofia contemporanea. Molto ben riusciti i titoli di coda.
Nel complesso, il film compie il suo mestiere nel raccontare la storia di Mowgli e dei suoi amici animali. Jon Favreau realizza mirabili combattimenti e un paio di scene ben azzeccate, come quella con Kha, e utilizza un paio di citazioni al Re Leone. Ma il fascino favolistico del romanzo originale resta ben lontano, e anche il cartone appare parecchio distante. La scelta particolare di Walt Disney di realizzare un safari a ritmo di jazz mostrava coraggio e azzardo, aspetti che mancano in questo film, costretto a rincorrere animali macchiettistici poco funzionali in cgi, e ad inserire filastrocche in maniera un po’ forzata per accontentare le voglie nostalgiche del XXI secolo. In tal senso, il remake risulta piacevole ma poco sostanzioso, carino ma non troppo, incapace di farsi seguire con particolare attenzione e di rievocare le atmosfere esotiche del romanzo e il candore ingenuo del cartone. Se avesse potuto assumere una direzione del tutto nuova, avrebbe potuto lasciare un’impronta marcata. Al contrario, invece, lascia di sè solo un’immagine sfocata.
Il Libro della Giungla (The Jungle Book), 2016, regia di Jon Favreau, voci di Neri Marcorè, Toni Servillo, Giovanna Mezzogiorno, Violante Placido, Giancarlo Magalli, Walt Disney Pictures, 96′, dal 14 Aprile nei cinema in 700 copie
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