

«Una moderna eresia nella Chiesa di oggi è l’impulso a essere innocui. Va bene essere prudenti, ma spesso sembriamo degli stoppini bagnati. Siamo così attenti a essere gentili e non-offensivi che alla fine non diciamo nulla che valga la pena di stare a sentire. Dovremmo essere meno melliflui e più duri». Imperdibile intervista oggi su Avvenire a cura di Andrea Galli a Barbara Nicolosi, docente universitario statunitense, rinomata sceneggiatrice, fondatrice di società di consulenza nei pressi di Los Angeles e per nove anni religiosa della Figlie di San Paolo. Avvenire la intervista dopo una sua serie di conferenze dal provocatorio titolo: «Perché i pagani fanno film cristiani più belli».
NON ESISTONO «FILM CRISTIANI». Il tema è suggestivo: perché, a parte rarissime eccezioni, i film di successo non sono quelli “cristiani”? Esiste un boicottaggi nei confronti delle pellicole a tematica religiosa. Nicolosi offre una serie di risposte perfette, lontane da qualsiasi moralismo e lamentazione. Innanzitutto, spiega, «non esistono film cristiani, così come non esiste una pizza cristiana, o una moto cristiana». Per questo «un film è tanto più “cristiano” quanto è capace di avere un impatto su un pubblico non cristiano. Per fare degli esempi citerei Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zimmerman, del 1966, o La passione di Giovanna d’Arco, film muto del 1928 diretto Carl Theodor Dreyer. O in letteratura i racconti di Flannery O’Connor. Il limite della cinematografia dei cristiani è che troppo spesso è semplicemente brutta. Riflette quello che è successo nella Chiesa nel rapporto tra arte e fede, dove la ricerca di “nuove epifanie della bellezza”, per dirla con le parole di Giovanni Paolo II, è stata sacrificata alla sciatteria e al culto del banale. I “pagani” che privilegiando il talento perseguono la ricerca del bello, realizzano inevitabilmente opere superiori».
SIATE BRAVI. Insomma, prima di parlare di complotti e pregiudizi, secondo Nicoli ci sarebbe da constatare il fatto che «Hollywood non è tanto anti-cristiana, quanto anti-cattiva cinematografia. E il modo per farsi sentire in un ambito del genere, e nella cultura popolare in generale, è di essere talmente bravi da non poter essere ignorati».
DA JUNO ALLA PIXAR. La verità è che film dal “messaggio cristiano” e “fatti da cristiani”, negli ultimi dieci anni «ce ne sono molto pochi. Dove c’è una “buona intenzione” la storia generalmente fallisce». L’unica eccezione è stata «La Passione di Cristo, ma Mel Gibson non ha girato film per la Chiesa, ha fatto piuttosto un atto di penitenza per i propri peccati». Al contrario, Nicolosi cita pellicole fatte da «non credenti» che, tuttavia, «veicolano messaggi cristiani sono L’ospite inatteso di Thomas McCarthy, Lars e una ragazza tutta sua di Craig Gillespie, e Juno di Jason Reitman, tutti e tre del 2007, oppure Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck del 2006, e il più recente Uomini di Dio di Xavier Beauvois, 2010, sui monaci di Tibhirine. E quasi tutto quello che è stato realizzato dalla Pixar, un esempio di eccellenza abbinata a temi profondi, di portata universale». una menzione anche per «Gran Torino, un film robusto e Eastwood ha voluto fare del personaggio principale una figura cristologica, un archetipo ben presente nella tradizione hollywoodiana».
LE PARABOLE E LE OMELIE. Qual è dunque il problema? Se si finisce per fare «film quasi orribili» è perché si ritiene che bastino le immaginette sacre per veicolare il messaggio. Invece no, servono parabole, dice Nicolosi. «Servono parabole per la gente del nostro tempo che abbiano una serie di caratteristiche che aveva già individuato Aristotele nella Poetica. Le parabole efficaci non hanno bisogno di nominare Dio, proprio come quelle di Gesù. Dico sempre ai miei studenti: la storia basta, non c’è bisogno di allegare un’omelia. Abbiamo bisogno di parabole scritte da persone con il cuore pieno di vita e capaci di portare negli altri ispirazione e compunzione. O per dirla con Aristotele, la società ha bisogno di storie che generino esperienze di catarsi, di compassione e di paura del male. Gli studios di Hollywood sono controllati da megacorporation a cui interessano film che vendano. Questo è il loro ultimo parametro di riferimento. C’è spazio per una nuova generazione di professionisti in grado di raccontare storie guardando ai principi classici della narrazione e di abbinare il tutto alle potenzialità delle nuove tecnologie».
SESSO E VIOLENZA. E col nudo, la violenza, il sesso e il linguaggio come la mettiamo? Qui la risposta di Nicolosi è da incorniciare: «Non si può avere una buona storia senza quella che chiamo un’alta posta in gioco. Un’alta posta in gioco vuol dire per esempio aver di mezzo la morte. E la morte più “profonda” che un uomo sperimenta viene dal peccato: la morte della capacità di amare, dell’istinto a prendersi cura degli altri, dell’abilità a vedere e penetrare la realtà. Perciò non si può togliere il peccato da una buona narrazione. Quello che i cristiani possono dimostrare è come parlare del peccato senza farlo diventare un’occasione di peccato per il pubblico. È ciò che fa la Bibbia con le sue storie ad alto tasso di drammaticità – adulteri, omicidi, inganni, tradimenti – ma mai narrate in modo da far violenza sul lettore. Una moderna eresia nella Chiesa di oggi è l’impulso a essere innocui. Va bene essere prudenti, ma spesso sembriamo degli stoppini bagnati. Siamo così attenti a essere gentili e non-offensivi che alla fine non diciamo nulla che valga la pena di stare a sentire. Dovremmo essere meno melliflui e più duri».
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Nadia Spinetti ha pienamente ragione,ma non serve lamentarsi dell’invasione mussulmana se poi si mandano al potere e si fanno stravincere quei partiti e forze storicamente favorevoli all’immigrazione di infima qualità. I problemi vanno prevenuti, serve lungimiranza e non buonismo becero. Negli ultimi 20 e oltre anni abbiamo fatto entrare la peggiore immigrazione in casa nostra, gestendo il fenomeno con sentimentalismo, idiozie mondialiste, scemenze su fratellanze universali… e non sul realismo.