Centrafrica. La crisi compie un anno: migliaia di morti, un milione di sfollati, «rischio genocidio» e l’Onu temporeggia
Scontri senza fine, instabilità politica, indifferenza della comunità internazionale e popolazione divisa: a un anno dal colpo di Stato islamista di Djotodia, il Centrafrica è un paese dove regnano caos, violenza e vendette incrociate.
COLPO DI STATO. Il 24 marzo 2013, Michel Djotodia, con al seguito centinaia di milizie islamiste provenienti dal Ciad e dal Sudan, entrava a Bangui e con un colpo di Stato deponeva il presidente François Bozizé. Sono seguiti otto mesi di instabilità, in cui i cosiddetti ribelli Seleka hanno ucciso e torturato centinaia di cristiani, razziando e distruggendo migliaia di case, rubando tutto quello che potevano e terrorizzando la popolazione.
CACCIA AL CRISTIANO. L’intervento delle forze internazionali – la Misca (Missione internazionale di sostegno al Centrafrica) è presente con seimila uomini insieme a duemila truppe francesi della missione Sangaris – ha impedito che le violenze si tramutassero in «genocidio» ma i militari riescono a controllare (male) piccole parti del paese.
Dopo la deposizione da parte della comunità internazionale di Djotodia e la nomina della presidentessa ad interim Catherine Samba-Panza, la situazione si è invertita: quasi tutti i ribelli Seleka, appoggiati spesso da gran parte popolazione musulmana locale, sono stati cacciati dal paese e milizie animiste con qualche infiltrazione cristiana, gli anti-balaka (“antidoto”), hanno cominciato a dare la caccia e a vendicarsi sui musulmani delle violenze subite nell’ultimo anno.
UN MILIONE DI SFOLLATI. Così, la guerra fratricida di un popolo e le vendette continuano in una spirale di attentati e omicidi che si verificano ogni giorno. Su una popolazione di 4,6 milioni di abitanti, gli scontri hanno già creato un milione di sfollati, 14.400 orfani e migliaia di vittime.
L’Onu ha chiesto il dispiegamento di 12 mila caschi blu, ma il Consiglio di sicurezza continua a tergiversare. Anche gli aiuti economici e umanitari scarseggiano: l’Unione Europea, guidata dalla Francia, ha stanziato in un anno appena 81 milioni di euro. Briciole, se si pensa che all’Ucraina hanno promesso due miliardi di euro in poche settimane.
«SITUAZIONE INSOPPORTABILE». «La situazione umanitaria è insopportabile, quella della sicurezza gravissima», ha dichiarato Peter Bouckaert, direttore delle Urgenze dell’Ong Human Rights Watch. «Più di 15 mila persone sono costantemente in pericolo, bisogna evacuarle e aiutarle».
L’unica istituzione che si sta impegnando seriamente per risolvere la crisi è la Chiesa: non solo singoli sacerdoti hanno cominciato a proteggere nelle rispettive parrocchie centinaia di musulmani, fondamentale è anche il lavoro dell’arcivescovo di Bangui Dieudonné Nzapalainga.
RICONCILIAZIONE. Il monsignore, unito a un imam e a un religioso protestante, sta attraversando il paese per predicare calma e riconciliazione. Tutti e tre hanno visitato i principali paesi mondiali per chiedere aiuto affinché si fermi la «crisi politico-militare, che non è religiosa. È stata portata avanti da banditi, militari e politici», che hanno soffiato sul fuoco delle differenze religiose per acuire la crisi.
«L’Occidente deve capire quanto sta soffrendo il popolo», ha dichiarato monsignor Nzapalainga. «Ora abbiamo bisogno di una riconciliazione concreta, accompagnati da fatti, perché gli adulti hanno ormai perso il senso di vivere insieme. Servono scuole che accolgano bambini di tutte le religioni per eliminare lo spirito di divisione e odio, perché la guerra lascia terribili ferite soprattutto nello spirito».
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L’onu temporeggia! Naturale: che gliene viene in tasca?