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Centrafrica. Intervista al vescovo di Alindao: «Massacro? È stata l’Apocalisse»

Nella sua prima intervista alla stampa, monsignor Cyr-Nestor Yapaupa ci racconta come i gruppi di islamisti hanno raso al suolo il campo profughi della cattedrale, uccidendo 86 persone, tra cui due sacerdoti: «I soldati Onu sono rimasti a guardare»

Leone Grotti
05/12/2018 - 4:00
Esteri
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Il 15 novembre la città di Alindao, in Centrafrica, non è stata solo teatro di un massacro con pochi precedenti nel quale sono morte più di 80 persone, soprattutto cristiani, ma «di una vera e propria Apocalisse». È quanto dichiara a tempi.it il vescovo della diocesi, monsignor Cyr-Nestor Yapaupa, nella sua prima intervista rilasciata alla stampa dal giorno dell’assalto del campo per sfollati all’ombra della Cattedrale. Il bilancio è terrificante: almeno 86 morti, tra cui due sacerdoti, il presbiterio e la cattedrale incendiati, il vescovado saccheggiato e il campo profughi raso al suolo «da un’operazione premeditata di giovani musulmani e ribelli islamisti» armati di kalashnikov e lanciarazzi appartenenti all’Upc, milizia nata dalla dissoluzione della coalizione islamista Seleka, autrice del colpo di Stato del 2013.

Monsignor Yapaupa, lei era ad Alindao il 15 novembre.
È stato un giovedì nero, una giornata fatale sotto un sole cocente. La vita del sito (che accoglieva circa 26 mila sfollati, ndr) era cominciata normalmente al sorgere del sole. Abbiamo detto Messa come sempre nella Cattedrale alle 6 del mattino con tutti i cristiani. Ma già dopo la Messa, c’era un malessere diffuso nell’aria. L’atmosfera e l’ambiente sembravano inadatti alla celebrazione.

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Perché?
Nei due giorni precedenti erano state assassinate delle persone sia della comunità cristiana sia di quella musulmana. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’omicidio di un autista di mototaxi che trasportava funzionari di una ong locale verso Bambari. Quando la notizia è arrivata al campo si è scatenato il panico. Gli uomini e le donne che avevano cercato di recarsi in città al mattino sono tornati indietro correndo, annunciando movimenti strani e insoliti dei giovani musulmani, che si fanno chiamare mujaheddin, e degli elementi della milizia dell’Upc attorno alla Moschea centrale di Alindao. Avevano manifestato l’intenzione di attaccare il campo del vescovado. Nel frattempo i responsabili del campo hanno proibito a chiunque di andare in città, temendo che potessero restare vittime delle atrocità che si stavano preparando.

Quando è cominciato l’attacco?
Alle 8 del mattino si sono sentiti i primi colpi di arma da fuoco, che si sono fatti sempre più insistenti, prime avvisaglie di quella che sarebbe diventata una vera e propria Apocalisse! Chi poteva contenere l’irresistibile avanzata dei mujaheddin e dei sanguinari dell’Upc? Anche i soldati dell’Onu a guardia del sito si sono fatti da parte per osservare impotenti o, peggio, complici. A causa dell’avanzata rapida e furiosa dei Seleka, il gruppo di giovani che aiutava i responsabili del campo ha dato l’ordine a tutti di fuggire al grido di “Si salvi chi può”. L’avanzata macabra dei Seleka si è fatta insistente e incendiaria. Dietro di loro hanno lasciato solo cadaveri e cenere di case bruciate. Non avendo incontrato resistenza, i Seleka si sono impegnati a massacrare i civili, a rubare e a gridare imprecazioni malsane contro la popolazione del campo.

Tra le vittime ci sono anche il vicario generale Blaise Mada e padre Célestin Ngoumbango. Che cos’è successo?
Padre Célestin, parroco di Kongbo, cittadina a 40 chilometri da Alindao, era arrivato da noi il giorno precedente all’attacco per un periodo di riposo con la comunità. Giovedì 15, quando sono cominciate le ostilità, si è rifugiato nella sua camera insieme a un’altra persona anziana. Gli assalitori hanno buttato giù la porta e l’hanno riconosciuto perché portava l’abito talare. Gli hanno sparato a sangue freddo e lui è morto sul colpo. Poi hanno deciso di trascinare il suo corpo fino alla loro base. Durante il cammino, l’hanno abbandonato a 200 metri dall’entrata del presbiterio. Prima di lasciarlo l’hanno meticolosamente frugato. Il suo corpo gettato per terra è stato avvolto dalle fiamme che hanno consumato il presbiterio. Il suo corpo era difficilmente identificabile. Solo sabato è stato possibile dargli degna sepoltura con l’aiuto di altri sacerdoti e della Croce Rossa.

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Cosa è accaduto invece al vicario generale?
Nelle prime ore del pomeriggio, approfittando di un primo momento di calma, ha lasciato la residenza del vescovo per appurare i danni subiti dalla sua residenza, che era stata incendiata. Ma gli islamisti l’hanno scoperto in casa sua alle 4 del pomeriggio insieme a un giovane, il capo degli scout. Hanno ucciso sul posto lui, il giovane e il guardiano. Poi l’hanno spogliato di tutto ciò che aveva, lasciando il suo corpo in un lago di sangue. Gli hanno addirittura rubato le scarpe che portava. Abbiamo recuperato il corpo solo il giorno seguente e l’abbiamo sepolto.

Quante persone sono morte in tutto?
Nei giorni successivi al massacro abbiamo recuperato 82 cadaveri e 34 persone sono rimaste ferite. Quattro di queste sono morte successivamente.

Che cosa ha scatenato questa violenza disumana?
Ci sono due ordini di ragioni. Prima bisogna parlare delle cause remote: da quando il 9 maggio 2017 abbiamo messo in piedi sul sito della Chiesa cattolica il campo profughi, abitato da cristiani e animisti, i Seleka hanno cercato di distruggerlo più volte, senza successo. Ma questi criminali non si sono persi d’animo, aspettavano solo un momento favorevole. Inoltre, ogni volta che si verificava un omicidio in città, la colpa veniva data a torto o a ragione ai gruppi di auto-difesa che secondo i Seleka risiedevano nel campo per sfollati.

Di che cosa sono accusati questi gruppi di auto-difesa?
I Seleka accusavano gli anti-balaka di nascondersi nel campo e di organizzare attentati contro di loro e la popolazione musulmana. Ecco perché volevano distruggere il campo. Ma c’erano anche ragioni economiche.

Quali?
I musulmani fondano la loro economia sugli scambi presso il mercato centrale della città. Ma il mercato è stato di fatto abbandonato dagli sfollati, che ne hanno creato un altro all’interno del campo. Questo era ormai più fiorente del vecchio mercato, anche perché in città ormai abitano solo i musulmani e i Seleka. Per questo volevano distruggere il campo, dopo averci già provato il 19 marzo.

Quali sono invece le cause prossime dell’attacco?
Come ho già detto, nei giorni precedenti ci sono stati degli omicidi attorno al campo. Anche per questo alcuni sacerdoti erano andati a casa del colonnello rappresentante di Ali Darassa, leader dell’Upc, per cercare un’uscita pacifica alla crisi. Il 14 novembre un peul è stato assassinato mentre si recava a Bambari. Sono stati accusati gli anti-balaka del campo, anche se l’omicidio è avvenuto a cinque chilometri da Alindao. Il 15 novembre tre musulmani della ong Espérance sono stati attaccati sulla via verso Bambari, l’autista è stato ucciso e le milizie islamiche non hanno aspettato di capire cosa fosse successo e hanno deciso di ridurre in cenere il campo del vescovado. È stata la scusa per mettere in atto il loro cinico progetto di morte.

È vero che i soldati della Minusca, la missione Onu, non hanno fatto niente per fermare l’attacco?
Abbiamo constatato amaramente l’indifferenza, la passività, l’inazione del contingente della Mauritania. Si trovavano a 100 metri dal vescovado. Non hanno fatto nulla mentre gli assassini massacravano civili e sacerdoti, rubavano e bruciavano tutto. Sono rimasti a guardare senza muovere un dito.

Ora qual è la situazione?
C’è calma, anche se precaria, da quando sono arrivati due nuovi contingenti dell’Onu, quello ruandese e quello gabonese. La popolazione sfollata che è scappata in massa sta tornando indietro e cerca di ricostruire il proprio riparo con materiali di fortuna. La vita sta ricominciando lentamente.

Di che cosa avete più bisogno?
È necessario innanzitutto rinforzare i contingenti dell’Onu e dispiegare le forze armate centrafricane per smantellare le barriere illegali dei gruppi armati, visto che i Seleka controllano le entrate e le uscite dalla città. Bisogna anche disarmare i civili, visto che quasi tutti i civili musulmani sono armati. Ci servono poi cibo, sementi e utensili; kit per l’igiene e per cucinare; medicinali di primo soccorso, visto che il presidio sanitario è stato saccheggiato e poi deve ripartire l’educazione, bisogna prendersi cura delle persone traumatizzate, lavorare per la coesione sociale e aiutare la gente a ricostruire le case distrutte.

Lei, insieme a pochi altri sacerdoti, è rimasto in città nonostante il pericolo. Perché?
Sappiamo quanto sia pericoloso! Ma vogliamo portare una testimonianza di fede, speranza e carità a questa popolazione sacrificata e abbandonata a se stessa, senza più punti di riferimento. «Piangete con quelli che sono nel pianto», scriveva san Paolo ai romani e noi non possiamo eludere questo imperativo evangelico. Noi non vogliamo comportarci come “pastori mercenari”, vogliamo restare con il nostro popolo nonostante la sofferenza e la desolazione. Vogliamo essere una semplice presenza che rassicura la popolazione vittima della violenza. Ecco qual è il nostro dovere in questi tempi di crisi e lo seguiremo a costo di perdere la vita. Potrebbe succedere: noi ne siamo coscienti.

Dove alloggia? Il vescovado è stato saccheggiato.
Siamo rimasti tra le rovine delle nostre infrastrutture distrutte. Il presbiterio, gli uffici del Codis (Coordinamento diocesano della salute) e quelli per l’insegnamento, le residenze del vicario generale e dell’economato sono stati incendiati. Il segretariato del vescovado e il vescovado sono stati razziati e saccheggiati. La cattedrale è stata profanata. Ci stiamo riorganizzando lentamente anche se le condizioni di vita sono cambiate e sono diventate molto difficili. Malgrado tutto, noi conserviamo la speranza e abbiamo fede in un progressivo miglioramento delle condizioni umanitarie e di sicurezza della nostra città e del nostro paese.

Da che cosa nasce questa speranza?
Tra poco sarà Natale. Noi attendiamo nella fede il Principe della Pace come il popolo di Israele in cattività in terra straniera. Noi e i nostri fedeli attendiamo con impazienza la venuta del Dio-con-noi a Natale. E affidiamo a lui le gioie e i dolori non soltanto dei fedeli cristiani ma di tutti i centrafricani che si battono per la riconciliazione, la giustizia e la pace. Siamo convinti che Dio ci donerà questa pace perché Lui è il Principe della Pace.

@LeoneGrotti

Tags: Alindaoanti-balakaCristiani Perseguitatiislamistimassacro alindaoSelekaupc
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