Cazzola: «Libertà di licenziare? Le cose non stanno proprio così»

Di Massimo Giardina
05 Settembre 2011
Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera, critica il governo e la Cgil e chiarisce a Tempi.it che cosa significa agire in deroga all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori: «Il licenziamento deve sempre essere accompagnato da un giustificato motivo o da una giusta causa, ciò che cambia è la forma della tutela»

Tutti i giornali hanno titolato oggi: “Se c’è il sì dei sindacati, si può licenziare” ma la faccenda è un po’ più complessa. L’on. Giuliano Cazzola (Pdl), vicepresidente della Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera, critica a Tempi.it le argomentazioni della Cgil sulla possibilità contenuta nell’art. 8 della manovra di derogare all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Dall’altro lato, Cazzola non risparmia critiche al governo, che sarebbe destinato all’implosione per due motivi: la Lega e le vicende personali del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

On. Cazzola, ci spiega innanzitutto in che cosa consiste la deroga all’art. 18?
Il licenziamento deve sempre essere accompagnato da un giustificato motivo o da una giusta causa, ciò che cambia è la forma della tutela. La norma può stabilire preventivamente che, nel caso in cui un lavoratore avesse ragione a seguito di un licenziamento ritenuto dal giudice immotivato, la tutela diventi solo obbligatoria e non reale. Significa che l’azienda non è obbligata alla ricollocazione dell’ex dipendente in azienda, ma solo alle sanzioni pecuniarie definite dal tribunale.
Bisogna tener conto che l’obbligo del reintegro vale solo per una parte dei lavoratori, non per tutti: i dirigenti e tutti quei dipendenti che lavorano in realtà piccole, con meno di quindici occupati, sono esclusi dalla tutela espressa dall’art.18. Non si può quindi affermare che è un diritto fondamentale se vale solo per alcuni e non per tutti. Va anche ribadito che rimane l’obbligo di reintegrazione per i licenziamenti discriminatori, per i licenziamenti alle persone che si sposano, per le maternità, etc. In verità un problema c’è: bisogna vedere se questo procedimento tiene sul piano giuridico, perché che un contratto possa derogare una norma di legge, qualche dubbio me lo fa venire.

Non trova che
agire in deroga all’art. 18 potrà accadere difficilmente, in particolare in quelle realtà aziendali dove la Cgil rappresenta la maggioranza dei lavoratori? Già con la legge Biagi, su richiesta dei sindacati, veniva notevolmente ridotto il margine di manovra che la nuova norma offriva all’interno dei contratti aziendali.
Procedere senza una ruota, cioè senza la Cgil, crea sempre un problema nella contrattazione collettiva, ma l’art. 8 va osservato dal punto di vista giuridico. La norma dice: «da organizzazioni comparativamente più rappresentative», non dice «dalle». In questo modo, sono possibili accordi che non comprendano tutte le rappresentazioni sindacali, sul modello di Fiat a Pomigliano. Non è però facile che Cisl e Uil abbandonino l’obbligo di reintegrazione per il lavoratore ingiustamente licenziato a fronte della sola tutela del risarcimento del danno. Però non è escluso che la cosa possa avvenire.

Ma allora perché affannarsi tanto se la norma verrà impiegata dai soggetti interessati con difficoltà?
Con questa norma il governo cerca di entrare dal retrobottega e non dalla porta principale, cioè la modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Non è escluso che esperienze di questo tipo si possano fare.

Ha ancora senso parlare di contrattazione nazionale, o sarebbe più consono un modello americano dove contano solo gli accordi tra impresa e sindacati?
In qualche misura in Italia ha prevalso la contrattazione aziendale; anche nelle piccole imprese gli elementi definiti nei contratti interni rappresentano la grande maggioranza del trattamento del lavoratore. Nel protocollo del 28 giugno firmato da Confindustria e dalle realtà sindacali più rappresentative, emerge che bisogna favorire i contratti di prossimità. La ragione principale risiede nel fatto che il datore di lavoro è molto più orientato a dare risorse ai propri lavoratori per raggiungere gli obiettivi aziendali. Bisogna anche dire che, in una situazione come quella italiana composta principalmente da piccole e micro imprese, il contratto nazionale è ancora un punto di riferimento importante, almeno per quanto concerne i minimi sindacali.

Qual è il significato politico dello sciopero generale indetto dalla Cgil per il 6 settembre?
Questo sciopero era già stato deciso a seguito della presentazione della manovra in agosto. La Cgil ha una linea alternativa, contraria a tutti i tagli della spesa.

E’ la posizione della Fiom, che conta sempre di più all’interno della Cgil.
C’è un forte peso dei metalmeccanici all’interno della Cgil, la quale teme che la Fiom si porti via una buona parte dei tesserati. Di conseguenza, deve dare battaglia al governo. E questo gli rende la vita molto facile, perché in questo momento, viste le condizioni del nostro esecutivo, fare guerra al governo significa sparare sulla Croce Rossa.

Non mi sembra entusiasta dell’operato di Berlusconi e dei suoi.
Penso che il governo imploderà e che questa situazione politica sia insostenibile. Alcuni giornali scrivono che io sarei a favore di un governo tecnico, travisando una mia battuta d’agosto. La verità è che stiamo vivendo un momento difficile: con la Lega ci sono troppi problemi e poi, come si fa a difendere Berlusconi? Trovo la vicenda Tarantini di una gravità maggiore del casino che hanno messo su a Milano.

L’unità dei sindacati è ormai un’utopia?
Con me sfonda una porta aperta, perché ho vissuto tutta la grande stagione dell’unità. Storicamente, la questione comunista del dopoguerra aveva in qualche modo impedito l’unità sindacale. Ora i sindacati fanno più o meno riferimento al Pd e non si capisce perché non riescano ad andare d’accordo. La Cgil mette in difficoltà il Pd, ma anche all’interno del sindacato ci sono delle posizioni contrastanti. Mi permetto di dire che bisogna stare attenti, perché c’è sempre uno più puro che ti epura. Mi riferisco a Landini della Fiom e a coloro che tengono le sue stesse posizioni.

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