Lo spot pro vax di Tornatore, sconfiggere il Covid col volemose bene

Di Caterina Giojelli
20 Gennaio 2021
Arruolato da Arcuri, il regista lancia una campagna vaccinale "emotiva" per aiutare chi ha dei dubbi. A fare cosa, come e quando non si sa, tanto è un film

First reaction: ma che è sta roba? Occorre una dose di contorsionismo mentale e tempo da perdere in esegesi per riuscire a capire uno spot nazionale sui vaccini in cui non si parla mai di vaccini. E che non becca il punto: a meno che il punto sia sconfiggere il Covid col volemose bene. «Le persone che sono ancora incerte, che dicono di non volersi sottoporre al vaccino, non vanno colpevolizzate ma comprese e aiutate»: soprattutto bisogna farsi aiutare dalle interviste a Giuseppe Tornatore per capire di cosa parla lo spot di Giuseppe Tornatore, il primo di una trilogia («forse ce ne sarà un quarto») commissionata al regista dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri in persona. «L’idea era di evitare la dimensione didascalica, informativa e didattica, puntando sul concetto di trasmettere una riflessione attraverso un clima emotivo». Tradotto: se la scienza non tira, mentre le «reazioni emotive» (copy premier Conte) tra i detrattori del vaccino vanno alla grande, facciamo di una campagna vaccinale un’emozione.

«I DUBBI AIUTANO» E IL GOVERNO AIUTA I DUBBIOSI

Ed emozione fu: dopo le primule rosa ideate dall’archistar Stefano Boeri per portare l’Italia a vaccinarsi e “rinascere con un fiore”, la presidenza del Consiglio dei ministri arruola due premi Oscar, Tornatore, appunto e il pianista e compositore Nicola Piovani. Il risultato sono due minuti di storytelling “toccante” (l’aggettivo più abusato al tempo del distanziamento dalla confraternita dello smartphone) su un’anziana madre e una figlia che si incontrano in una “stanza degli abbracci” (è anche il titolo dello spot) di una Rsa, uno spazio in cui, attraverso una tenda di plastica anti contagio, gli ospiti possono vedere e abbracciare in sicurezza i propri familiari. «Non ci speravo più – sussurra l’anziana, stringendo la figlia nell’abbraccio di plastica – e tu cosa hai deciso? Hai riflettuto?», «non lo so, ho molti dubbi», «i dubbi aiutano, i dubbi aiutano – conclude l’anziana – ci rivedremo ancora?», «certo, che domande». Quando la figlia fa per andarsene, l’anziana si leva la mascherina e ammonisce col dito alzato, «devi volerti bene»: è allora che un vento misterioso inizia a soffiare fra i teli di plastica fino a sollevarli, la vecchietta alza le mani al cielo, abbozza una danza sorridendo. Fine. Non manca quasi nulla, a parte la parola “vaccino”, non mancano gli occhi acquosi e le rughe dell’età, la colonna sonora da Oscar, i giochi di luce del sole, il sinistro fruscio della plastica che impiccia e poi si solleva sulla stanza degli abbracci.

PER BATTERE IL COVID «DOBBIAMO VOLERCI BENE»

Bene, bravo, bis, ma dov’è il claim, che vuol dire, che dobbiamo fare? «Grazie Giuseppe Tornatore. Dobbiamo volerci bene»: così il ministro della Salute Roberto Speranza ha rilanciato e chiarito il messaggio dello spot. Ma come, non era lui ad invitare al confronto «sul terreno giusto del rigore, della trasparenza e della serietà»? Posto che, come hanno già notato esperti di comunicazione, pensare di convincere un no vax con una promessa emotiva come “vogliamoci bene” sarebbe come andare da un no Tav e dirgli “ma dài, con una così bella giornata facciamolo questo treno”, quale comprensione e aiuto a fugare i dubbi e quali dubbi fugherebbe la campagna? Cosa viene dato agli incerti, le caramelle di Tornatore tutte pathos, venticello, e “boh d’autore” invece di informazioni certe su quella che ambisce essere una campagna vaccinale seria (quando andare, dove e come a fare sto vaccino)? No, perché il dubbio che sia davvero questo (la quota “dubbiosi e incerti”) il problema dell’Italia oggi, tra una notizia su Pfizer che taglia le dosi, un sorrisetto su prezzi e disponibilità di Arcuri a Domenica In, e soprattutto, una laconica indicazione sul portale dedicato “Cominciamo proteggendo il nostro personale sanitario e i nostri anziani più fragili. A seguire ci prenderemo cura dei cittadini più vulnerabili e poi di tutti gli altri”, il dubbio, dicevamo, un po’ viene.

NONNI MEZZI MORTI, PROCIONI E MELME HORROR

Da quasi un anno ci siamo rassegnati allo storytelling: “La vita in un gesto” infilava il nonno in terapia intensiva dopo aver brindato con figli e nipoti a Natale, il servizio sanitario inglese ci ha infilato niente meno che Santa Claus, i tedeschi hanno chiamato eroi quelli che fecero i procioni sul divano nell’anno di pandemia 2020, gli scozzesi hanno trasformato il virus in una melma da film horror diffusa da una ragazzina che infetta tutto quello che tocca, nonno compreso. Messaggi chiarissimi: se vivi come prima il nonno schiatta adesso, opportunamente riformulati in claim quali «la vita è fatta di scelte. A volte quella giusta è il regalo più bello che si possa fare». Anche scegliere di finirla con gli appelli al volemose bene e trattare gli italiani come adulti e non come rimbambiti sul divano a rotelle da ingozzare con pop corn e corollari emotivi e paternalistici potrebbe essere quella giusta, non diciamo una scelta da Oscar, ma almeno una buona ragione per sgombrare il campo dal dubbio che questa campagna vaccinale sia solo l’ennesimo film su Amazon Prime.

Foto Ansa

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