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L’unica cosa che Boko Haram non può razziare è la fede dei cristiani

La vigilia di Natale è stata una notte di massacri ma anche di battesimi in Nigeria. La speranza del vescovo di Maiduguri

Redazione
10/01/2021 - 3:00
Esteri
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I jihadisti erano piombati nel villaggio a bordo di motociclette, sparando in aria e urlando, intorno alle 17.30 e subito si erano diretti verso la chiesa. In pochi minuti gli abitanti di Pemi, nello Stato del Borno, che si stavano preparando per le celebrazioni della notte santa, erano stati travolti dal fumo del fuoco appiccato all’edificio sacro, alle abitazioni, alle case. Quando l’esercito era arrivato, due ore dopo, aveva trovato 11 corpi a terra; delle razioni di cibo che dovevano essere distribuite il giorno dopo per festeggiare il Natale non era rimasto nulla. Sette i sequestrati, tra cui un sacerdote. Nelle stesse ore nello stato di Adamawa, la comunità cristiana di Garkida subiva un attacco identico, sei le vittime, undici i sequestrati. Il 29 dicembre un video diffuso dai terroristi mostrava la decapitazione di cinque di loro, «monito per tutti i cristiani nigeriani e di tutto il mondo (…) userete le teste di questi cinque vostri fratelli per continuare le vostre celebrazioni empie».

CRSCONO I MORTI E I BATTEZZATI

È stato un 2020 di sangue in Nigeria: almeno 2.200 cristiani uccisi da Boko Haram nel nord del paese e dai pastori musulmani Fulani nella Middle Belt, incalcolabile il numero preciso dei rapimenti di uomini di chiesa (dal seminarista nigeriano 18enne Michael Nnadi, brutalmente assassinato a quello di monsignor Moses Chikwe, vescovo ausiliare di Owerri liberato la scorsa settimana) e delle vittime di sequestri di massa, come quello di 344 giovani studenti a Katsina. Tuttavia, in un paese che non conta più i morti, le case, le scuole e le chiese rase al suolo dalla furia jihadista, l’unica «cosa che Boko Haram non ci toglierà mai è la nostra fede»: così monsignor Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, parlando con Aid to che Church in Need delle stragi di Natale.

«Noi non permetteremo che alcun male ci porti via la nostra fede. Che sta diventando sempre più forte». Ci sono stati gli assalti, sì, ma nello stesso momento «cento persone hanno ricevuto il battesimo in una delle nostre parrocchie la Vigilia di Natale». Limpidamente il vescovo riconosce che più Boko Haram si accanisce e perseguita i cristiani, più il cristianesimo e la fede semplice dei nigeriani si rafforza e si fa salda: «L’anno scorso nella mia diocesi si contavano più cattolici di quanti ce ne fossero prima di Boko Haram». Il lungo periodo di terrore ha spogliato i credenti di tutto fino a lasciare loro solo ciò che non può essere distrutto, «oltre 200 chiese sono state bruciate, così come le scuole», dice di un anno in cui dei luoghi della cristianità non è rimasto che cenere eppure il popolo cristiano non ha smesso di affidarsi conscio di appartenere a una storia: «Siamo un popolo di fede, Boko Haram non è l’unico male che ha affrontato la Chiesa. Siamo profondamente devoti a Maria».

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IL NATALE DI LEHA E LA SPERANZA DI UN POPOLO

Non è nemmeno la prima volta che gruppi islamisti in Nigeria insanguinano il Natale: nel 2019 l’Iswap ha decapitato 10 cristiani, mentre un raid di Boko Haram ne ammazzava altri sette. È il giorno più odiato da chi odia la fede in Cristo là, nell’estremo Nord nigeriano, dove i terroristi la fanno da padroni mentre il presidente Muhammadu Buhari proclama che «la minaccia jihadista è sotto controllo» e va rivendicando come «successo» del governo di Abuja la liberazione di ogni ostaggio. «Successo» è la parola usata anche per “rivendicare” la liberazione delle 104 giovani studentesse di Dapchi trascinate da Boko Haram nella foresta Sambisa notte del 19 febbraio del 2018. Eppure da tre anni nessuno ha notizie di Leah Sharibu, l’unica cristiana “dimenticata” da Buhari nelle mani dei rapitori: la ragazzina che ha rifiutato di convertirsi oggi ha 16 anni, ha trascorso il suo terzo Natale nelle mani di Boko Haram e secondo fonti impossibili da verificare sarebbe stata costretta a sposare un terrorista da cui ha avuto un bambino. Come non smettiamo di ricordarvi, Leah è stata definita «l’ambasciatrice del cristianesimo nella Repubblica di Boko Haram»: in questa piccola ragazza, instancabilmente cercata da sua madre che più volte ha ribadito a Tempi la sua speranza di riabbracciarla – «e il fondamento della mia speranza non è un uomo, ma Dio stesso. So che Lui libererà mia figlia» – splende la speranza di un popolo a cui viene ogni giorno tolto tutto, case, scuole, chiese, cari perfino i figli ma non la fede: «Dio schiaccerà Boko Haram» dice il vescovo di Maiduguri.

Foto Ansa

Tags: Boko HaramCristianiNigeriaoliver dashe doeme
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