«Aiutatemi a riavere mia figlia Leah, prigioniera di Boko Haram da due anni»
Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Era già calata la notte sul villaggio di Dapchi quando i terroristi di Boko Haram invasero in massa la piccola città dello stato nigeriano nord-orientale di Yobe. Fino a poche settimane prima il villaggio era difeso dai soldati ma, chissà perché, avevano deciso di andarsene lasciandolo sguarnito. Mentre la popolazione, terrorizzata, fuggiva in ogni direzione per trovare rifugio tra la boscaglia, un manipolo di jihadisti si diresse al college femminile governativo di scienze e tecnica. Fingendosi soldati dell’esercito nigeriano entrarono nel dormitorio, ordinarono alle giovani studentesse di seguirli, le caricarono sui furgoni per poi scomparire nella foresta Sambisa, da dieci anni impenetrabile roccaforte di Boko Haram. Era il 19 febbraio 2018.
Come tutti gli abitanti di Dapchi, anche Rebecca Sharibu passò la notte nascosta e rientrò nel villaggio solo al mattino. Insieme a decine di altre madri, come prima cosa corse alla scuola gridando a squarciagola il nome della figlia: «Leah! Leah!». Ma Leah non c’era. La giovane 14enne di fede cristiana era stata rapita dai terroristi islamici insieme ad altre 109 ragazze. Dopo un mese fatto di angoscia e incertezza, il 21 marzo nove furgoni si fermarono alle porte di Dapchi. Una lenta carovana di 104 giovani donne scese dai veicoli e corse a riabbracciare i genitori. Rebecca cercò a lungo Leah in quel groviglio di lacrime e abbracci ma una delle sue compagne la raggelò: «Cinque di noi sono morte durante il viaggio. Leah è l’unica a non essere stata liberata. I terroristi le hanno chiesto di rinunciare alla sua fede cristiana e di convertirsi all’islam. Ma lei si è rifiutata. Hanno detto che fino a quando non lo farà, la terranno prigioniera».
Sono passati due anni da allora e nonostante il governo federale della Nigeria abbia promesso a più riprese a Rebecca e Nathan Sharibu che Leah sarà liberata, non si hanno ancora notizie della giovane che il 14 maggio 2019 ha compiuto 16 anni. Rebecca ha bussato a tutte le porte, ha implorato il governo di mantenere le sue promesse, senza ottenere nulla. Sua figlia rimane in cattività e a parte una breve telefonata del presidente musulmano Muhammadu Buhari nel settembre 2018, nessuno dalla capitale Abuja l’ha più contattata.
Rebecca non sa neanche se c’è una trattativa in corso per liberare Leah, non sa se le voci che corrono sui giornali sul conto di sua figlia sono vere: è davvero stata costretta a sposare un comandante di Boko Haram? Viene davvero usata come schiava per soddisfare le voglie sessuali dei terroristi islamici? Ha davvero concepito un figlio in prigionia, diventando madre? Rebecca è all’oscuro di tutto, ma ha una certezza: «Non mi importa se è sposata e se ha un figlio, io voglio solo riabbracciare la mia bambina», confessa a Tempi, parlando nel dialetto hausa tipico del nord della Nigeria.
Leah è diventata il simbolo della persecuzione dei cristiani in Nigeria. Domenica 2 febbraio, cinque milioni di cristiani hanno invaso le strade di 28 dei 36 stati della Nigeria per gridare a una voce: «Basta uccisioni, basta insicurezza, basta persecuzione. Il governo deve svegliarsi». La protesta è stata innescata dall’ennesimo episodio di violenza contro i cristiani, sempre più nel mirino di Boko Haram, del gruppo separatista legato allo Stato islamico, Iswap, e della furia dei pastori fulani. Solo nel 2018 i jihadisti hanno fatto 1.600 vittime, mentre i fulani 1.930. La situazione è peggiorata nel 2019, con oltre 1.400 persone, soprattutto cristiani, uccisi dai pastori musulmani nei primi sette mesi. La Nigeria, secondo l’annuale rapporto di Open Doors, è il paese dove muoiono più cristiani al mondo per la loro fede.
E se quest’anno i fulani hanno fatto più di 100 vittime tra i cristiani solo nel mese di gennaio, i jihadisti di Boko Haram hanno compiuto omicidi eclatanti. Il 20 gennaio hanno decapitato il pastore Lawan Andimi, presidente dell’Associazione cristiana della Nigeria (che riunisce quasi tutte le denominazioni, compresa la Chiesa cattolica) nello stato di Adamawa. Pochi giorni dopo i terroristi hanno diffuso il video di un bambino di circa otto anni che spara con una pistola alla nuca di Daciya Dalep, giovane universitario cristiano dell’Università di Maiduguri. Nel filmato, il bambino afferma: «I cristiani di tutto il mondo devono sapere che non dimenticheremo le loro atrocità contro di noi, fino a quando non ci saremo vendicati di tutto il sangue versato». L’1 febbraio il vescovo di Sokoto, monsignor Matthew Hassan Kukah, ha informato la nazione che il seminarista 18enne Michael Nnadi, rapito a gennaio insieme ad altri tre giovani dal seminario di Kaduna, era stato assassinato da Boko Haram.
Per tutte queste vittime i cristiani sono scesi in piazza, chiedendo a gran voce al presidente Buhari, di etnia fulani, di fermare la persecuzione dei cristiani e di liberare Leah Sharibu, definita «l’ambasciatrice del cristianesimo nella Repubblica di Boko Haram». Il presidente, per tutta risposta, ha pubblicato sui giornali un articolo spiegando che «se stiamo vincendo sul campo la nostra guerra contro Boko Haram, non abbiamo ancora vinto la battaglia per la verità». Aggiungendo: «Non possiamo dimenticare che il 90 per cento delle vittime di Boko Haram è di religione musulmana». Le sue parole hanno fatto infuriare il presidente dell’Associazione cristiana della Nigeria, Samson Ayokunle («Ma dove ha trovato Buhari queste statistiche? Fa politica sulla vita della gente»), e il presidente della Conferenza episcopale nigeriana, monsignor Augustine Akubeze: «Forse Buhari vive in un mondo parallelo».
La stessa indifferenza e lo stesso disprezzo Buhari li ha dimostrati anche nei confronti di Leah Sharibu. Parlando con Tempi dell’incubo che la sua famiglia vive da ormai due anni, Rebecca non ha bisogno di accusare il presidente, lascia parlare i fatti: «L’unica cosa che so è che la mia Leah, nonostante i proclami, è ancora prigioniera di Boko Haram».
Rebecca, che cosa è successo quel 19 febbraio 2018?
Mi ricordo che siamo stati svegliati da un grande trambusto. C’è stata un’esplosione e abbiamo capito che i terroristi di Boko Haram erano entrati nel villaggio. Siamo tutti scappati nella boscaglia, era notte, non potevamo andare a controllare a scuola se Leah e le sue compagne stavano bene. La mattina dopo, siamo subito corsi alla scuola e ci siamo resi conto che avevano rapito le nostre figlie. Tutti abbiamo cominciato a gridare: “Dove sono le nostre bambine?”. Un’insegnante, che era riuscita a sfuggire alla cattura, ci ha detto che le avevano rapite. In mezzo alla confusione, altre studentesse hanno cominciato a uscire da tanti nascondigli. Le abbiamo contate e ci siamo resi conti che ne mancavano 110 all’appello. Leah era tra di loro.
Vivete in una zona della Nigeria dove il rischio di subire un attacco da parte di Boko Haram è forte. Non c’era nessuno a proteggervi?
Abbiamo sempre avuto dei soldati a difendere la nostra città, ma pochi giorni prima dell’attacco erano andati via e così non c’era personale di sicurezza.
Quando hanno riportato indietro 104 delle ragazze rapite, ha parlato con i terroristi?
No, perché le hanno lasciate in una strada vicino al villaggio e poi sono andati via. Ci siamo presto resi conto che mancava solo Leah. Sono state le sue compagne a dirmi che Boko Haram le aveva imposto di abbandonare la fede cristiana e di convertirsi all’islam se voleva essere liberata. E che lei si era rifiutata.
Tutte le sue compagne si sono convertite?
No, perché Leah era l’unica cristiana. Tutte le altre 104 erano musulmane. Dapchi è un villaggio a maggioranza musulmano e nella scuola di Leah c’erano soltanto 45 ragazze cristiane. Mia figlia, tra l’altro, era la presidente dell’Associazione delle studentesse cristiane e incoraggiava sempre le sue amiche a non rinunciare alla fede, nel caso fossero state rapite. Lo diceva spesso, perché questa è un’area molto esposta al pericolo. Noi crediamo che Dio abbia salvato tutte le altre ragazze cristiane attraverso il sacrificio di Leah.
A soli 14 anni Leah ha accettato di rimanere prigioniera di Boko Haram pur di non rinnegare la sua fede. Non è stupita?
Ad essere sincera, no. Siamo sempre stati una famiglia molto unita e con mio marito abbiamo sempre cercato di educare lei, come suo fratello, a seguire la volontà di Dio. Leah ha sempre amato profondamente Dio e so che era disposta a fare qualsiasi cosa per il Signore. Mia figlia è sempre stata coraggiosa, quindi non sono sorpresa che abbia lottato per mantenere la sua fede.
I vostri vicini di casa musulmani vi hanno sostenuti in questo momento difficile?
Sì, ci sono sempre stati vicini e ci hanno sempre incoraggiati. Per questo li ringrazio.
Ha qualche notizia di sua figlia? Le voci che girano sul suo conto sono vere?
Noi viviamo a Dapchi, un piccolo villaggio. Non sappiamo niente, non abbiamo notizie. Leggiamo le voci che girano sui social media ma non abbiamo alcuna conferma.
Come avete passato questi due anni?
Sono stati due anni terribili, difficilissimi. Siamo costretti a sentire una voce dietro l’altra riguardo a Leah, senza poter fare niente, e ogni volta è una coltellata: prima hanno detto che era morta, poi che era viva, poi che si è sposata, poi che ha avuto un figlio. Ogni volta per la mia famiglia è un colpo al cuore.
Com’è possibile mantenere ancora la speranza dopo due anni di silenzio?
Ci sono tante persone intorno a noi che ci incoraggiano. Prima di tutto devo ringraziare Gloria Puldu, che sta traducendo queste mie parole e che è presidente della Fondazione Leah. Ci sono anche tante organizzazioni e tanti cristiani che ci aiutano a continuare a sperare. Ci sostengono attraverso la preghiera e la parola di Dio. Senza la preghiera, non potrei continuare a sperare, non potrei andare avanti: per me è la cosa più importante.
Il governo sta facendo abbastanza per liberare Leah?
Che cosa posso dire? Tutti gli sforzi promessi dal governo io non li vedo. Il presidente Buhari ci ha promesso che l’avrebbe liberata ma sono passati due anni e lei è ancora prigioniera. Leah si trova ancora in cattività: come potrei dire che è stato fatto abbastanza? Il governo ci ha fatto delle promesse, ma non le ha mantenute.
Le autorità della Nigeria vi tengono aggiornati sugli sforzi per liberare vostra figlia?
No. A parte una chiamata del presidente nel settembre 2018 non li abbiamo più sentiti.
Ha l’impressione che a Buhari importi poco di sua figlia?
Io so che il governo in un mese è riuscito a liberare 104 studentesse musulmane mentre mia figlia, l’unica cristiana, dopo due anni è ancora prigioniera. Non so se gli interessa davvero liberarla.
Molti esponenti di spicco del governo negano che in Nigeria i cristiani siano perseguitati. Che cosa ne pensa?
Io sono cristiana e sono perseguitata. Mia figlia è cristiana ed è perseguitata. Ci sono tanti altri cristiani rapiti e tuttora prigionieri. Se c’è qualcuno che nega la realtà, io posso rispondere solo questo: 104 ragazze musulmane sono state liberate, mia figlia no.
Aveva mai pensato di poter attraversare un simile calvario?
Viviamo in un’area del paese dove Boko Haram imperversa. Siamo sempre stati spaventati e abbiamo sempre vissuto nella paura. Da quando i terroristi hanno riportato le altre ragazze, lo Stato ha ripristinato il posto di blocco all’entrata di Dapchi. Quindi ora ci sono i soldati a proteggerci.
Per il secondo anniversario del rapimento di Leah, lei era a Londra per protestare insieme all’associazione Christianity Solidarity Worldwide davanti all’Alta commissione nigeriana. Ai diplomatici nigeriani nel Regno Unito ha consegnato una petizione con oltre 12 mila firme affinché il governo federale agisca finalmente per garantire il rilascio di Leah. Ha un messaggio per i paesi occidentali?
Sì, vorrei rivolgere una supplica all’intero Occidente: vi prego, aiutatemi a riavere indietro mia figlia. Vi prego anche per conto delle tante famiglie i cui cari sono stati rapiti da Boko Haram. Aiutate il nostro governo a liberarli, fate pressione perché ci aiuti e perché agisca per porre fine alla persecuzione dei cristiani in Nigeria.
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