Quanti divi a sinistra alla ricerca (disperata) della fama perduta

Emma Bonino, leader di +Europa e alleata con la sinistra

Su Open Maria Pia Mazza scrive: “Emma Bonino è «incredula» per la decisione di Carlo Calenda di strappare l’accordo politico con il Partito democratico e la coalizione di centrosinistra in vista delle elezioni del 25 settembre. La senatrice di +Europa, ospite di Marianna Aprile e Luca Telese a In Onda, ha commentato la scelta del leader di Azione: «La serietà è tenere fede alla parola data». Bonino ha tentato di ricostruire quanto accaduto negli ultimi giorni: «Quattro giorni fa, quattro non quaranta, il Partito democratico, Calenda, +Europa siglano un accordo politico. Peraltro, per ironia della sorte la bozza è scritta da Calenda: benissimo, bravi tutti, applausi». E però, prosegue Bonino «dal giovedì comincio a sentire rumori su Calenda che “non regge i suoi”, e arriviamo a ieri con il segretario del mio partito, Benedetto Della Vedova, che ha la pazienza di un santo, che ancora prova a parlare con Calenda, che però dice: «È inutile che ci vediamo, è una perdita di tempo»”.

I vari Emma Bonino, Bruno Tabacci, Clemente Mastella, Giorgio La Malfa, Pierferdinando Casini dovrebbero essere tutti costretti a rivedere Sunset Boulevard di Billy Wilder, la storia di una diva del muto che non si arrende alla perdita della fama e della giovinezza. È un film che farebbe bene anche ai cavalier serventi tipo Benedetto Della Vedova: in Sunset Boulevard William Holden fa appunto la parte del cavalier servente di Gloria Swanson (la diva del muto) e finisce ucciso dalla “diva” perché non l’ha riportata sulla ribalta della scena.

Su Affari italiani Maria Stella Gelmini dice: «Sì, diremo chiaramente agli italiani cosa si può fare e cosa no».

Dopo essere stata un paio di volte un pessimo ministro e un disastroso segretario regionale di Forza Italia, per risentimento verso una Licia Ronzulli che ha dimostrato di avere ben altro carattere e capacità di far politica, la spompata politica bresciana si lancia adesso in garrule sfide calendiste. Non è ragionevole paragonare una formica a un elefante, e quindi non regge un confronto tra la nostra e un ben altro navigatore spericolato della politica come fu Charles-Maurice Talleyrand. Comunque è utile ricordare ai suoi indegni successori una frase che il principe francese, innanzitutto della scena internazionale, ricordava ai suoi collaboratori: «Surtout, pas de zèle».

Su Strisciarossa Marcello Mustè scrive: “Infine, una parola sulla sinistra. Oggi è percorsa da una comprensibile inquietudine, che si manifesta spesso nel desiderio di fondare nuovi partiti, aggiungere altre forze a quelle (dio sa quanto limitate e imperfette!) che già esistono e che si muovono nel confine del socialismo europeo. Un desiderio che prende a volte la strada della nostalgia (perché abbiamo vissuto stagioni migliori) e altre volte la via di un sogno utopico, di una cosa del tutto nuova. Alcuni pensano che l’opposizione alla guerra, al modo limitato e sbagliato in cui è stata affrontata la questione ucraina, sia sufficiente a costituire un soggetto nuovo e più coerente. Ma un partito politico non è un postulato etico, è una comunità di donne e di uomini, con una storia, un programma, un destino. Non si può improvvisare. La storia di scissioni e frammentazioni è la storia stessa della sinistra italiana, e non è la sua parte migliore e più viva. Una volta Gramsci scrisse che la scissione di Livorno «è stata senza dubbio il più grande trionfo della reazione». E al V Congresso Togliatti affidò a Luigi Longo la relazione sul «partito unico della classe operaia e dei lavoratori italiani». Si potrebbe continuare con gli esempi storici, fino ai giorni nostri. La via dell’unità è sempre stata la strada maestra nel percorso del movimento operaio. La sinistra italiana va cambiata profondamente, non c’è dubbio, ma senza disperderne ulteriormente la forza e il patrimonio di idee”.

Dopo un’infinita serie di Monti, Lettini, Renzi, Gentiloni, Conte, lasciando perdere la nobile parentesi di Mario Draghi, ma aggiungendo, in questa terribile serie di protagonisti allo sbaraglio, i fan dei monopattini elettrici tipo Beppe Sala, c’è chi si chiede se a sinistra si possa tornare a pensare che cosa significhi essere di sinistra e a come avere un rapporto con uomini e donne in carne e ossa, e non solo con ambienti degli establishment nazionali e stranieri.

Su Huffington post Italia Luca Bianco scrive: “«Per entrare in Parlamento bisogna superare la soglia del 3% e per dare una mano alla coalizione anche senza raggiungere il 3% è bene stare sopra l’1». A districare il labirinto della legge elettorale per HuffPost è il costituzionalista Alfonso Celotto, che ci spiega il perché oggi le quattro piccole formazioni centriste del centrodestra – Toti, Lupi, Brugnaro e Cesa – abbiano deciso di lanciare una lista comune in vista del voto”.

I piccoli centristi del centrodestra stanno facendo meritoriamente quel che possono per dare un governo all’Italia, contribuendo con la loro sensibilità ed esperienza a preparare un programma che sia realistico. Sarebbe opportuno però che pensassero almeno un po’ anche strategicamente e non solo tatticamente. Se alla fine Stefano Bonaccini diventerà un vero segretario del Pd, e non un ispettore Clouseau inviato da Emmanuel Macron, e farà del suo partito una formazione rosso-verde in sintonia con quel che succede in Germania e quel che succederà in Francia, sarebbe bene che si ragionasse su una formazione popolar-conservatrice in asse con quel che Manfred Weber (con i suoi legami con austriaci e polacchi) e i popolari spagnoli stanno preparando. L’emergenza è l’emergenza e tocca fare in Italia quel che si può, ma la frammentazione del nostro quadro politico in centinaia di signorotti che controllano fettine di elettorato, non è una prospettiva. Si tratta di formare grandi comunità di destino e poi forme elettorali (tipo collegi uninominali e primarie) che diano razionalità e dignità alla politica.

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