Prima la segreteria del Pd, poi la poltrona di Letta. E adesso il volo oltre la soglia del 40 per cento. Tutti voti che in un ventennio Silvio Berlusconi ha sempre osato chiedere e non è mai riuscito a vedere. A completare l’apoteosi, filotto rosso da Nord a Sud in tutte le città dove si sono rinnovati sindaci e consigli comunali (Bergamo, Padova, Firenze, Perugia, Bari, Potenza). Oltre che, naturalmente, la dilagante vittoria di classica preparazione giudiziaria (due inchieste e un’unica campagna stampa) dei democrat Chiamparino in Piemonte e D’Alfonso in Abruzzo. Che gli volete dire a un fenomeno come Renzi? Chapeau.
Il fu “Rottamatore” e ora “Visitor”, in meno di sei mesi ha messo a segno una tripletta incredibile. E, sempre per sostare sul numero magico che consegna il paese a un ex laqualunque rutelliano, presidentino di Provincia e giuocoso sindaco fiorentino, tre sono i milioni di elettori guadagnati dal Pd renziano (per un totale di 11,2 milioni e passa) rispetto a quelli incassati solo un anno fa, alle politiche 2013, dall’ex-neo-post comunista di lungo corso Pier Luigi Bersani (8,6 milioni e rotti). E ancora. Tre, o giu di lì, sono i milioni di voti persi in una sola e completamente fuori di testa stagione da Beppe Grillo: quasi 8 milioni 689 mila nel 2013, 5 milioni 806 mila alle europee. E altrettanti sono quelli lasciati sul sentiero della definitiva condanna giudiziaria dall’ex Cavaliere di Arcore, fu Pdl e ora Forza Italia: erano 7 milioni 332 mila ancora nel 2013. Sono 4 milioni e 613 mila dopo solo un anno. Infine, ancora tre sono i milioni di voti bruciati in appena un anno di “salita in politica” da Mario Monti. Scelta civica-Europa esce dalle urne di primavera con uno zero virgola dopo che sull’onda dei salvatori della patria nel 2013 puntò al 20 per cento e ottenne il 10,5. Fine di un’avventura per Supermario e per i professori di “Fare”, annientati come Verdi Bonelli qualsiasi e come qualsiasi dipietrino Idv.
La fortuna di Alfano
Fortuna per Alfano che lo scudetto crociato, questo giro ha salvato Ncd. Sotto il quorum in tutto il Nord, il neo partito centrista evita la morte in culla solo grazie alle performance meridionali dell’Udc di Casini e Cesa (6,6 per cento nella circoscrizione sud e addirittura un 7,5 nelle isole). Onesto ma non eccelso il risultato personale del ministro Maurizio Lupi (oltre 46 mila preferenze) che lascerebbe (o forse no) il suo scranno strasburghese al primo non eletto Massimiliano Salini. L’amico che con 27 mila preferenze sarebbe l’unico esponente nordista di Ncd in Europa.
Fortunato e galvanizzato dalla fortuna di chiamarsi anche lui Matteo è invece il Salvini, segretario federale della Lega Nord. Che con oltre 223 mila preferenze infila il “figlioccio” di Silvio, Giovanni Toti (143 mila), porta in dono al Carroccio un ottimo 6,15 per cento su base nazionale e con oltre un milione e mezzo di voti rilancia la Lega come quarto partito dopo i rovesci giudiziari di Belsito&C. Sfortunati, invece, e parecchio, i Fratelli d’Italia della Meloni e Crosetto: con oltre un milione di voti e il 3,66 per cento di suffragi raddoppiano il loro bottino elettorale rispetto alle politiche di un anno fa, ma mancano il colpo di reni che con una manciata di voti in più di Fdi ha invece regalato sul filo del traguardo il quorum a Tsipras (4,03 per cento). Un partito di cui non sentiremo più parlare (almeno qui in Italia) se non al prossimo “Festival delle idee di Repubblica”. Dove sono finiti gli altri voti?
La maggior parte sono rimasti a casa, visto che ha votato il 57,2 per cento degli aventi diritto rispetto al 75,16 per cento che aveva votato nel 2013. O sono andati da M5S al Pd.
Matteo Renzi ha davanti a sé proprio una prateria. Lo sa, e perciò non calca la mano. «Qualcuno mi ha rinfacciato che ho festeggiato poco – ha detto in conferenza all’indomani dell’exploit – ma preferisco mantenere il senso della realtà. Ora non c’è più tempo per rinviare le riforme. E sono sicuro che Forza Italia non abbandonerà il percorso fatto fin qui». Dunque, sebbene azzoppato, sebbene metà in televisione metà a Cesano Boscone, Berlusconi non viene lasciato a mollo dal partner di patto del Nazareno. Beau geste.
D’altronde non era stato lo stesso Renzi, a ridosso dell’ultimo comizio berlingueriano, a ribadire coraggiosamente la sua personale stima per Silvio? «Quest’anno ha subìto una scissione, una condanna, la decadenza, i servizi sociali, ha fatto cadere un governo. Ne ha fatte e subite di tutti i colori ed è ancora lì: onore al merito». Ma anche Ncd, nonostante il non brillante risultato alle urne, prende fiato e respira all’ombra del convincimento renziano che «possiamo arrivare al 2018». Più difficile scommettere che Renzi arrivi al 2018 con questa compagine di governo. Il rimpasto non è alle viste. Ma è nelle cose. Impossibile che un Pd così forte non imponga un suo impulso politico.
Adesso ci sono sei mesi di surplace in cima all’Europa. Poi sarà Natale. E può darsi che, per quella data, l’ultimo centrodestra rimasto al governo possa non accettare il panettone di un monocolore Pd. Specie se nel frattempo piovesse il ddl Scalfarotto e sulla riforma elettorale succedesse di tutto. Tipo che le formazioni minori venissero sacrificate sui famosi altari della “stabilità” e “governabilità” del paese. E Berlusconi? Rimane in pista sulle riforme grazie alla mano tesagli da Renzi. Ma a parte i servizi sociali e gli altri processi, ha questo grosso grattacapo del tempo che passa, del consenso che si allenta e della pressione implosiva in seno a Fi. Soprattutto, ha il problema di trovare personale politico all’altezza di una rifondazione del centrodestra.
Quanto ai voti del secondo partito, finiranno dritti in congelatore? Chissà. Ma quei tre milioni di consensi spariti proprio quando Grillo ostentava trionfi, significano semplicemente che anche per M5S è iniziata la stagione del reflusso. La ditta Casaleggio per adesso non mantiene le promesse («Io – disse Grillo – se perdiamo le elezioni non ho più voglia di continuare»). Ma la sconfitta è già virata in vaffa contro i «coglioni» elettori del Pd e a sfregio de «l’Italia di pensionati». In continuità con il ventennio c’è solo la macchina giudiziaria che seguita a colpire a destra e si porta al gabbio l’ex ministro Clini, che con la magistratura (caso Ilva di Taranto) non andava d’amore e d’accordo. Ma insomma, ammesso che Renzi ci tenga sul serio ad avere una sponda a destra, oltre all’acciaccato leader di Forza Italia, a destra chi c’è?
«Lui è meglio di me»
Speranzielle leggere sono legate a successi personali. E queste sarebbero le sole consolazioni al magro bottino. Fa capolino lo scaltro Salvini che batte il chiodo caldo e cerca di sfruttare a stretto giro la visibilità che ha preso con la protesta filo lepenista e anti euro. All’interno di Forza Italia, molto carino è il risultato ottenuto dalla giovane Lara Comi, 83 mila preferenze che hanno lasciato a casa Licia Ronzulli, una delle favorite di Arcore. Ma il primo a bussare alla porta del Cavaliere (e di Toti) sarà Raffaele Fitto. Il berlusconiano ex ministro per gli Affari regionali che con oltre 275 mila preferenze è risultato in tutta Italia secondo solo alla signora delle preferenze Pd Simona Bonafé (288.674).
Salvini, però, resta sicuro di aver fatto meglio. E in effetti, sommando i voti che ha ottenuto tra est e ovest delle circoscrizioni padane, ha raggiunto il punteggio di 331.381 preferenze (ma pensate un po’, la Meloni di Fdi ne ha prese 350 mila ed è rimasta fuori). Tant’è, un minuto dopo i risultati definitivi, Salvini ha offerto a Berlusconi un nuovo patto per il centrodestra. Il leader leghista si vede già candidato sindaco di Milano? «Voglio andare in piazza Duomo con Berlusconi a firmare questi sei referendum». Difficile però che Berlusconi scalpiti per abolire la legge Merlin.
Nonostante ciò, anche il governatore lombardo che con il ministro Lupi mantiene ottimi rapporti (non fosse altro per il buon esito dell’Expo), analizza i risultati e appoggia il suo delfino. Ma Bobo Maroni lo fa in una prospettiva più politica. «Ora ci candidiamo a ricostruire il nuovo centrodestra, come io avevo anticipato al nostro congresso del 2012, e il modello è quello della Csu ma a trazione leghista». Dietro Maroni c’è però un altro leghista che scalpita, un irregolare, ma molto quotato come amministratore e sindaco di Verona. Flavio Tosi ha confessato a Tempi: «Punto alle primarie del centrodestra».
Non è finita. Da Trieste, dove è appena uscito, a cura dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, l’”Appello politico agli italiani” Un Paese smarrito e la speranza di un popolo (Cantagalli, Siena 2014), appello presentato a Roma il 14 maggio scorso dal ministro Angelino Alfano e dal segretario Cisl Raffaele Bonanni, il vescovo Giampaolo Crepaldi dice che «intanto gli italiani hanno dimostrato di volere la ricostruzione, non la distruzione del paese. Per il resto, è chiaro, c’è una parte di italiani che attende una rifondazione».
Chissà se ci crede Berlusconi, alla rifondazione. Lui, che un mese fa, a un amico giornalista che si complimentava perché finalmente aveva trovato un successore carismatico come lui, peccato fosse nel Pd, ha risposto sornione: «Vede, Renzi è un fenomeno al limite della temerarietà. Ma non è come me. È meglio di me».