Belgio, violata la legge sull’eutanasia per uccidere i pazienti. Ecco le prove
I medici che hanno autorizzato e poi eseguito in Belgio l’eutanasia di Godelieva de Troyer il 19 aprile 2012 hanno violato ripetutamente e in più parti la legge sull’eutanasia. L’incredibile caso pendente davanti alla Corte europea dei diritti umani, raccontato nel dettaglio da Tempi nel numero di marzo 2019, è arrivato a un punto di svolta dopo che il governo belga è stato costretto a mettere agli atti il modulo compilato dal medico che ha ucciso la donna di 64 anni. Il documento di quattro pagine, sottoposto come da regolamento alla Commissione di controllo dell’eutanasia, incaricata in Belgio di verificare il rispetto della legge, è stato tenuto nascosto per sette anni. Il modulo, come risulta a tempi.it che ne ha ottenuto una copia in consultazione, conferma nero su bianco la violazione della legge, che dal 2002 ha causato la morte di 19.420 persone (dati aggiornati al 2018, ultima comunicazione disponibile), una media di oltre 3 persone al giorno.
IL RITARDO DI DUE MESI
La signora de Troyer non era in fin di vita né affetta da una condizione incurabile. Soffriva però fin da quando aveva 19 anni di depressione, acuita nell’ultimo periodo della sua vita, oltre che dal suicidio del suo ex marito, dalla rottura della relazione con il nuovo compagno e da un rapporto spesso burrascoso con i figli. La causa è stata presentata alla Corte di Strasburgo dal figlio della donna, Tom Mortier, dopo che i tribunali belgi hanno rifiutato di istruire un processo. Mortier, che è stato tenuto all’oscuro del processo eutanasico, ha saputo della morte della madre da una lettera scritta da lei e recapitatagli il 20 aprile 2012, il giorno dopo la morte.
Il «modulo di registrazione dell’eutanasia» numero 607/12 è stato compilato dal medico che ha ucciso de Troyer, Wim Distelmans, oncologo, docente di Cure palliative alla Libera università di Bruxelles e soprattutto pioniere dell’eutanasia in Belgio, nonché co-presidente della Commissione di controllo dell’eutanasia. L’articolo 5 della legge prevede che i moduli debbano essere compilati dopo l’avvenuta eutanasia e inviati alla Commissione di controllo «entro quattro giorni lavorativi» dall’iniezione. De Troyer è stata uccisa il 12 aprile 2012, ma come recita la data apposta sul modulo, esso è stato ricevuto dalla commissione soltanto il 20 giugno, con oltre due mesi di ritardo.
ALTRO CHE «MEDICI INDIPENDENTI»
La legge impone anche che il medico, prima di autorizzare l’eutanasia, debba consultare altri due medici, che devono essere «indipendenti tra loro e rispetto alla paziente». A pagina 4 nel modulo si legge che il primo dei due medici consultati è «un dottore in cure palliative» appartenente alla «organizzazione Leif». Il Forum di informazione sul fine vita è un’organizzazione pro eutanasia specializzata nell’offrire informazioni su come ottenere la «buona morte» e nel formare medici e infermieri. Chiunque può visitare il sito di Leif e controllare il nome del presidente: Wim Distelmans.
Non solo dunque non c’era indipendenza tra il medico che ha ucciso de Troyer e il primo specialista consultato. Anche il secondo medico consultato, uno psichiatra, è «appartenente a Leif», come c’è scritto a pagina 4 del modulo. Come se non bastasse l’interdipendenza dei tre medici, prima di ricevere l’iniezione la donna ha fatto un bonifico da 2.500 euro all’organizzazione con la causale «Grazie allo staff di Leif».
LE DATE NON TORNANO
Le violazioni della legge non finiscono qui. Come si evince a pagina 2 del modulo, la richiesta di eutanasia è stata fatta da de Troyer il 14 febbraio. Eppure il consulto legale con il secondo medico “indipendente”, lo psichiatra, è avvenuto quasi un mese prima, il 17 gennaio 2012. Com’è possibile? La legge prevede anche che il medico debba accertarsi che la richiesta del paziente sia «volontaria, ben considerata e ripetuta nel tempo». Inoltre il medico deve avere «numerose conversazioni con il paziente lungo un ragionevole periodo di tempo». Dal giorno della richiesta al giorno dell’esecuzione passano però appena 58 giorni, neanche due mesi.
La mole di errori e di violazioni è tale che è impossibile non notarla, eppure la Commissione di controllo dell’eutanasia che ha visionato il modulo ha decretato che tutto è stato fatto nel rispetto della legge. Com’è possibile? La Commissione può essere stata influenzata dal fatto che l’autore materiale dell’eutanasia, Wim Distelmans, è anche il presidente della Commissione stessa? E se è così, come si può allora definire tale Commissione indipendente?
IL CONFLITTO DI INTERESSI
Ci sono, anche qui, almeno due elementi che non tornano. Rispondendo per iscritto alle domande dei giudici di Strasburgo, il governo belga ha dichiarato che l’approvazione del caso è stata votata «all’unanimità» in Commissione. Quando gli avvocati del querelante, Tom Mortier, hanno denunciato il conflitto di interessi, il governo ha spiegato che secondo la prassi se un membro della Commissione è coinvolto nel caso di eutanasia esaminato, rimane in silenzio.
Ma se Distelmans è rimasto in silenzio, come può aver votato? E come può questa prassi garantire che non ci sia conflitto di interessi? Nello stesso momento in cui Distelmans si fosse improvvisamente zittito, tutti avrebbero capito che il caso lo riguardava e chi avrebbe osato votare contro il presidente e di conseguenza inviare il fascicolo alla procura belga per indagarlo e metterlo sotto processo? Difficile pensare che non ci siano condizionamento e pressioni indebite nel processo di revisione dei casi di eutanasia.
IL PROBLEMA PIÙ GRAVE
Dal modulo emerge un ultimo problema, forse il più grave. Vi si legge infatti che con la signora de Troyer «sono stati esauriti tutti i tentativi di trattamento. La sofferenza psicologica insopportabile» non può più «essere curata». La paziente è detta anche «terrorizzata che l’eutanasia non avvenga» ed «estremamente felice che le sue sofferenze finalmente finiscano».
Nei diari della signora de Troyer però si legge: «I miei nipoti mi mancano così tanto. Non li vedrò crescere e questo mi addolora». E ancora: «Provo frustrazione e tristezza perché non sono stata in grado di costruire un legame». Il riferimento ai nipoti e ai figli fa chiaramente capire che alla base dell’ultima fase della depressione della donna, seguita invece a un periodo positivo, c’era la difficoltà di rapporto con i figli. Come può allora il medico affermare che la depressione non può essere curata e che «tutte le vie mediche» sono state esplorate, se non ha mai cercato di farle ricucire il rapporto con i figli stessi, come testimoniato da uno di loro, Tom Mortier, autorizzandone la morte a neanche due mesi dalla richiesta?
«IL DIRITTO ALLA VITA NON È PROTETTO»
Tutto il materiale e tutte le domande sono ora in mano alla Corte europea per i diritti umani, che dovrà stabilire se il Belgio, attraverso la legge sull’eutanasia, ha violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce: «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge», soprattutto quando questa è in condizioni di vulnerabilità, come nel caso di de Troyer. Dovrà anche stabilire se è stato violato il diritto al rispetto della vita familiare di Tom Mortier.
Come dichiarato a tempi.it dall’avvocato di Mortier, Robert Clarke, che fa parte del gruppo legale Adf International, «il governo belga ha tempo fino a settembre per presentare ulteriori argomenti, poi la Corte deciderà. La sentenza dovrebbe arrivare tra 6-12 mesi. A prescindere da quello che potranno dire, è evidente che il Belgio non ha protetto il diritto alla vita di de Troyer, che la legge sull’eutanasia è stata violata e che la Commissione di controllo non agisce in modo indipendente». Se il caso è pieno di punti oscuri, almeno uno è stato chiarito: è evidente ormai perché la Commissione di controllo si è rifiutata per sette anni di mostrare il modulo del caso de Troyer.
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