Care fan del #metoo, «sessismo e violenze non sono la stessa cosa»
Parigi. Dominique de La Garanderie è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente dell’Ordine degli avvocati di Parigi, nel 1998. 79 anni e una vita consacrata al diritto del lavoro e ai diritti umani, è una delle più stimate avvocatesse di Francia. Membro della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo (Fidh) e di Avocats sans frontières, interviene regolarmente nel dibattito delle idee con opinioni che spesso non piacciono al politicamente corretto imperante.
L’appello sul Monde
L’ultimo suo intervento, assieme alla collega Saskia Henninger, è apparso lunedì sul Monde e affronta la delicata questione delle violenze sessuali. Proprio in questi giorni, il tema è al centro dell’attualità francese in seguito alle molteplici accuse di aggressioni e molestie che coinvolgono alcuni leader della sinistra francese, dal segretario nazionale dei Verdi Julien Bayou a Adrien Quatennens, braccio destro del giacobino Jean-Luc Mélenchon, presidente della France insoumise.
La questione centrale della tribune firmata dalle due avvocatesse è che le inchieste sulle accuse di violenza sessuale, la cui pubblicità esasperata da parte dei social e di certi giornali rovina la reputazione della persona messa in causa e quella della struttura a cui appartiene, devono essere portate avanti in condizioni neutre, senza cedere al clamore mediatico, senza condanne preventive. E che mettere sullo stesso piano “violenze sessuali” e “comportamenti sessisti” non solo è pericoloso, ma è anche giuridicamente sbagliato.
Molestie sessuali e sessismo
«Sotto la formula generale di “molestia sessuale” coesistono tre definizioni nel diritto francese, identiche nella sfera pubblica e in quella privata, a cui si aggiunge la penalizzazione delle violenze a carattere sessuale determinate dalla legge. Alla “molestia sessuale” sono stati aggiunti di recente “le frasi, i comportamenti o le connotazioni sessiste ripetute”, così come, senza ripetizione, un’azione “che ha come obiettivo reale o apparente quello di ottenere un atto di natura sessuale”, assimilata alla molestia sessuale. Infine, a titolo di discriminazione, è preso di mira qualsiasi comportamento a “connotazione sessuale” che ha come fine o effetto la violazione della dignità di una persona o la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo», spiegano le due avvocatesse.
«Gli atti e i comportamenti sono individuati, definiti e sanzionati a vari livelli e in molteplici modi. Ma la prima sanzione è spesso mediatica», continuano. Quest’ultimo aspetto è uno dei grandi problemi della nostra epoca. Spesso basta un’accusa per scatenare il linciaggio mediatico e trasformare i social in tribunali dell’inquisizione: la presunzione di innocenza sembra ormai un concetto desueto. «Basta l’accusa per provocare la messa all’indice nella sfera di attività della persona coinvolta. Se si tratta di una persona conosciuta, la pubblicazione di un’informazione mediatizzata, sui social network o tra il grande pubblico, è già considerata una prova», scrivono Dominique de La Garanderie e Saskia Henninger.
Spesso, oltre alla persona, viene presa di mira anche l’azienda o la formazione politica a cui appartiene. Ciò spinge sempre più strutture aziendali o partitiche a creare delle cellule che conducono inchieste interne per mettere un freno alla macchina del fango (la France insoumise, il partito della sinistra radicale francese, si è dotato lo scorso anno di una cellula incaricata di raccogliere le segnalazioni per violenze sessuali e sessiste).
La differenza tra molestie e dichiarazioni sessiste c’è
«Le misure conservative sono adattate alla gravità dei fatti, alla necessità di porre fine alle voci che si propagano a partire da dichiarazioni non verificate, ma anche alla protezione di chi ha fatto la segnalazione e della persona messa in causa», spiegano le firmatarie della lettera aperta sul Monde. La maggior parte delle volte scatta la “mise en retrait”: il presunto colpevole si ritira dalle funzioni per evitare terremoti mediatici che rischiano di diventare ingovernabili. Il monito lanciato dalle due avvocatesse dinanzi al pullulare di #metoo e alle conseguenti condanne preventive è quello di garantire “la massima neutralità” durante lo svolgimento del processo e di distinguere in maniera chiara le “violenze sessuali” dai “comportamenti sessisti”.
«Le tappe del processo sono capitali. Segnalazione, inchiesta, decisione: ogni fase è diversa e non può essere affidata alle stesse persone. La comparsa di un conflitto di interessi può rovinare tutto il lavoro d’inchiesta, per quanto serio possa essere (…). In un clima di discrezione e fiducia deve essere presa una decisione che non infranga la presunzione di innocenza e che allo stesso tempo non sia una via di fuga dalle sanzioni penali», precisano le due avvocatesse, prima di concludere: «Saranno allora comprese dal pubblico la differenza tra molestia sessuale e dichiarazioni sessiste, tra le violenze punite dalla legge e i comportamenti per cui le donne si sentono aggredite. Una volta pesate e qualificate queste azioni, arriverà il momento della giustizia o della sanzione interna, a meno che tutto non sia stato risolto grazie a un’inchiesta alla luce dei fatti».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!