L’autodeterminazione finita in loop
Articolo tratto dal numero di Tempi di dicembre (attenzione, di norma l’accesso agli articoli del mensile è riservato agli abbonati: abbonati subito!)
Un gruppo di accademici di caratura internazionale vorrebbe lanciare una nuova rivista accademica, La rivista delle idee controverse, promettendo a chi lo vuole la possibilità di scrivere in anonimato. Il gruppo è composto da alcuni grandi nomi tra cui Peter Singer, uno dei filosofi più noti e pagati al mondo, paladino dei diritti degli animali e del loro movimento di liberazione, e il professore di filosofia morale a Oxford, Jeff McMahan. L’idea della rivista sarebbe quella di aiutare un vero pluralismo creando una rivista che segua le normali procedure di verifica della qualità accademica ma permetta agli autori di scrivere anche sotto pseudonimo, in modo tale da poter sostenere idee controverse che altrimenti non potrebbero dire.
Ovviamente l’idea è paradossale. La ricerca dovrebbe essere sempre libera e gli accademici dovrebbero sempre esprimere idee nuove e controverse. Invece, alcuni campioni del nostro mondo culturale teoricamente liberalissimo, dove libertà è autodeterminazione, cioè possibilità di dire e fare ciò che si vuole purché non si leda la libertà altrui, ammette che tale libertà nei fatti non esiste, tanto da dover ricorrere all’anonimato, l’arma estrema del pensiero in ogni epoca e situazione dittatoriale. L’iniziativa della rivista ci dice, infatti, che viviamo in un’epoca di pensiero unico, almeno per quanto riguarda l’intera fortunata élite occidentale che frequenta università e istituzioni analoghe. È il frutto paradossale dell’autodeterminazione assoluta che crea omologazione assoluta. Siamo così liberi, così autodeterminati, così padroni del nostro destino, che dalla Terra del Fuoco ai ghiacci canadesi, e dalla Baia di San Francisco a Dresda, pensiamo tutti nello stesso modo. Il culturalmente corretto inizia dal sostenere la libertà come autodeterminazione, continua con l’idea che non ci sia nessuna verità e nessuna cultura più centrale o importante delle altre, e finisce con una moralità che riguarda quasi solo l’onestà e la non discriminazione. Peccato che ora Singer e compagni ammettano che si tratta di sola apparenza. La libertà di autodeterminazione viene concessa solo ad alcuni e non si sa come gestire quelli che – come i terroristi di ogni ideologia – ne negano la validità; tale libertà in ogni caso non è concessa a chi pensa che una verità ci sia; l’onestà ha molte eccezioni e omissioni; la non discriminazione su alcuni, diventa subito un’arma di discriminazione su altri. E, a questo punto, non c’è altra soluzione: per poter essere se stessi bisogna non essere identificati. Così finisce il loop dell’autodeterminazione: ognuno può essere se stesso a patto che la pensi come tutti o non sia nessuno.
Tuttavia, l’iniziativa estrema va difesa ed è inutile dire che, puntuali, le critiche all’anonimato sono subito fioccate. Ma come? “Occorre assumersi la responsabilità di ciò che si dice”, “non vorremo mica fare la rivista dei pensieri-schifezza”, “bisogna avere il coraggio delle proprie idee”, “se un pensiero non è firmato, non può essere vero” – e altri frasoni di questo genere. Tutti bellissimi, ma fallaci (che un pensiero sia vero o falso non dipende dalla firma) e ancora una volta frutto di una moralità astratta, che chiede o di sacrificarsi eroicamente perdendo possibilità e buona fama o di attenersi al pensiero unico: un bel ricatto morale per fare stare ulteriormente zitto chi vorrebbe dire qualcosa di diverso. In realtà, nello strumento dell’anonimato – oltre all’ammissione di vivere in una dittatura intellettuale – c’è anche un importante meccanismo comunicativo: costruire un’identità fittizia è uno dei modi per far emergere la verità. Il fittizio, l’inventato, il costruito alle volte è capace di spiegare la realtà meglio della realtà stessa.
È il grande principio per cui spesso la letteratura, o il cinema, con i loro personaggi e i loro mondi inventati, sono stati capaci di critiche ai regimi più acute e libere di quelle dell’accademia o dei giornali. Risulta paradossale che ora per essere libera l’accademia debba rivolgere quest’arma estrema contro se stessa. Ma ciò fa solo risaltare la gravità della situazione del nostro mondo culturale occidentale, la cui unidirezionalità non è l’ultima delle spiegazioni degli attuali rivolgimenti politici, della rabbia accumulata da tanti, che si sfoga nell’appoggio a chi si vanta di non rientrarvi, comunque lo esprima e qualunque assurdità sostenga. Ben venga, dunque, chi fa un sano mea culpa e cerca di correre ai ripari, in qualsiasi modo.
Foto Ansa
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