La preghiera del mattino (2011-2017)

Attenzione, intercettazioni scoop: indovinate un po’ cosa dice Renzi nel segreto della cornetta

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In merito alle “clamorose” intercettazioni – captate nel febbraio del 2014 e sbucate all’improvviso sui giornali alla fine della settimana scorsa – delle chiacchiere tra l’allora generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, l’allora aspirante premier Matteo Renzi e il suo entourage, l’analisi più corretta l’ha scritta Salvatore Merlo sul Foglio di oggi.

IL SOLITO BULLO. Renzi, osserva Merlo, «in quella conversazione con l’alto ufficiale della Guardia di Finanza è in realtà il solito bullo», solo che qui, al posto del sofisticato (si fa per dire) tweet traditore “#enricostaisereno”, «non usa iniziatiche allusioni, indecifrabili perifrasi, contorte reticenze», semplicemente «dice chiaro e tondo: “Letta è un incapace”. Punto. Che è poi, all’incirca, quello che Renzi, in quei mesi (…) andava ripetendo praticamente a chiunque tranne che al diretto interessato». Al suo collega di partito Renzi furbescamente ripeteva appunto #staisereno, salvo poi tradirlo di lì a poco (siamo sempre nel febbraio 2014). «Una coltellata da cui Letta non si è più riavuto».

[pubblicita_articolo]IL NEMICO DI SILVIO. Continua Merlo: «Il Giornale, per esempio, ha molto strepitato perché, nelle chiacchiere in trattoria con Dario Nardella, il loquace Adinolfi quasi conferma che Giorgio Napolitano ce l’aveva con Silvio Berlusconi. Sai che scoop. Il Cavaliere ha passato sette anni a ripeterlo persino ai muri che – citazione letterale – “quello è il mio nemico”».
E non sono finiti i presunti “scoop” ottenuti da queste conversazioni origliate chissà come e chissà perché (alzi la mano chi si ricorda di quale indagine si parla, chi sono gli indagati e chi i semplici intercettati, quale sia la notizia di reato da cui è partito tutto). Il Foglio ricorda anche le allusioni di Adinolfi con «battute da circonvallazione esterna» circa la «presunta ricattabilità di Napolitano per poco chiare ragioni che riguardano suo figlio Giulio». Ebbene, anche la carriera di quest’ultimo è stata «argomento in quei mesi di più d’un malizioso articolo di giornale».

IL VERO MISTERO. Insomma, nota Merlo, «Adinolfi, in un pazzotico cortocircuito, leggeva i quotidiani e ripeteva a pappagallo pettegolezzi e malizie orecchiate, per poi finire, un anno dopo, citato e un po’ mascariato su quegli stessi giornali». Più che a uno scoop siamo davanti a una «nemesi». Oppure a una sventura molto più grave per il mondo dell’informazione: la carenza di idee. «Attraverso le intercettazioni i quotidiani sembrano avere questo potere, di riciclare e mettere in mostra ogni giorno, con una forza di recupero sbalorditiva, merce deteriorata». Qualcuno, specie nelle redazioni della stampa manettare, pensa davvero che «è nelle intercettazioni, anche in quelle più sciocche e smargiasse, che si svelano i traffici e si rivelano i misteri». Invece, conclude il Foglio, «il caso Adinolfi sembra dimostrare il contrario». Con il risultato di oscurare «l’unico mistero da svelare» in questa vicenda, e cioè: «Chi ha deciso di togliere gli omissis che proteggevano le conversazioni penalmente irrilevanti?».

Foto Ansa

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