Anche The Social Dilemma crea qualche dilemma

Di Pietro Piccinini
23 Settembre 2020
Il documentario Netflix «di cui parlano tutti» va visto, fatto vedere, discusso. Una grande operazione verità sul cinismo dei colossi del web. Ma non è tutta la verità
Schermata di The Social Dilemma, documentario Netflix

Tutti parlano di The Social Dilemma e ne parlano giustamente. È «il docudrama del momento», dicono, e davvero vale la pena di perderci l’ora e mezza che dura. Frammezzato da brevi inserti di fiction che ben raccontano l’invasività della tecnologia nelle vite e nelle relazioni delle famiglie contemporanee, il grosso e la sostanza del film – produzione Netflix – sono le confessioni di alcuni (ex) papaveri della Silicon Valley pentiti di aver contribuito a creare il mostro social che sta «distruggendo il tessuto della società», come sintetizza nel documentario Chamath Palihapitiya, il genietto che ha aiutato Facebook a invadere i pensieri di tutti e i cellulari di ognuno (si occupava di moltiplicare gli utenti).

DA VEDERE E FAR VEDERE AI FIGLI

The Social Dilemma è da vedere assolutamente. Per carità, niente di inaudito, rivela algoritmi segreti e meccanismi semiocculti ormai divenuti di pubblico dominio. Si sa che i colossi del web “ci spiano” e “sanno tutto di noi”. Non apparirà nuovissima allo spettatore del docudrama nemmeno la scoperta che tutto, ma proprio tutto, nei nostri smartphone è studiato scientificamente per massimizzare il tempo che passiamo davanti allo schermo, ipnotizzare con trucchi magico-psicologici la nostra attenzione e venderla al miglior offerente (Shoshana Zuboff, docente di Harvard intervistata nel film, lo ha chiamato “capitalismo della sorveglianza”). Così come è abbastanza noto il moderno adagio – ripetuto anche letteralmente in The Social Dilemma – secondo il quale «se tutto è gratis, il prodotto sei tu» (Tempi ci ha fatto pure una copertina un paio di anni fa dopo lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, quando mezzo pianeta sembrò improvvisamente accorgersi delle storture di un modello di business che aveva avuto sotto gli occhi per oltre un decennio).

Tuttavia fa davvero effetto sentire tutti questi sospetti e accuse alla tecnologia “social” confermati in pieno da persone che hanno avuto ruoli chiave nel progettare, realizzare e diffondere l’infernale apparato succhiacervelli. Resta impressa la faccia di Tim Kendall, già presidente di Pinterest ed ex “direttore della monetizzazione” di Facebook, quando ammette che lui ai suoi figli ha vietato l’uso dei social network nella maniera più assoluta. Perciò, di nuovo: The Social Dilemma va visto per forza. Tutti i genitori con ragazzi dipendenti da social o a rischio dipendenza da social – cioè tutti i genitori – dovrebbero guardare il docudrama di Netflix e farlo guardare ai figli. (Non preoccupatevi: non è una banale filippica ideologica contro il progresso, emerge anche il lato “buono” o quanto meno utile dello strumento tecnologico; ci sono pure diversi consigli di buon senso su cui lavorare in positivo).

Ciò detto, anche The Social Dilemma finisce per creare qualche dilemma. Proviamo ad abbozzarli rapidamente cercando di evitare predicozzi.

LA MADRE DI TUTTE LE FAKE NEWS

1) Il primo lo solleva Tristan Harris, ex dipendente di Google che proprio per i suoi dubbi sulla moralità del capitalismo della sorveglianza era stato promosso a “design ethicist” del gigante di Mountain View prima di lasciarlo. Ribattezzato “la coscienza della Silicon Valley”, Harris ha fondato il Center for Humane Technology, organizzazione no profit che fa lobby contro i dispositivi social che creano e diffondono dipendenza, estremismo ideologico, disinformazione. Nel documentario l’informatico appare parecchio fissato con «populisti» e «fake news», per altro rischiando seriamente di ridurre tutta la grande e coraggiosa denuncia di The Social Dilemma a una battaglietta politico-culturale (ma su questo torniamo dopo). Ebbene, a un certo punto “la coscienza della Silicon Valley” dice che per combattere le fake news dei populisti occorre necessariamente accettare «che esista una verità».

«Se non siamo d’accordo su che cosa sia la verità o sul fatto che esista una verità, siamo spacciati. Questo è il problema che sta alla base di tutti gli altri problemi. Perché se non riusciamo ad essere d’accordo su che cosa sia vero, allora non possiamo risolvere nessuno dei nostri problemi».

Perfetto. Notevole intuizione. Però c’è un però. O meglio, però c’è un non detto che deve precedere questo passaggio, e il non detto è: la madre di tutte le fake news è la fake news che la verità non esiste. Ci è stata data a bere per decenni, è su questa fake news che abbiamo costruito il pensiero e il futuro tecnologico social che ora ci sgomenta. Adesso non basta buttarla lì en passant in un documentario antipopulista. Prego rispondere alla domanda delle domande: che cos’è la verità? O, quanto meno, come intendete raggiungerla questa benedetta verità? Altrimenti si possono avere le migliori intenzioni del mondo, ma si finisce lo stesso per spacciare fake news.

SIAMO ANCORA ESSERI UMANI

2) Non bisogna dimenticare una cosa importante. Benché sorvegliati, drogati e ipnotizzati dai subdoli algoritmi intelligenti della Silicon Valley, gli uomini sono pur sempre esseri dotati di ragione e di libertà. E anche, i più fortunati, di amicizia, relazioni entro cui coltivare giudizi formulati con ragione e in libertà. Insomma le tre cose sono legate.

Di certo è suggestiva, e in parte sicuramente vera, la tesi del complotto internazionale per destabilizzare interi paesi attraverso messaggi ad hoc escogitati professionalmente e tecnologicamente per cambiare i nostri comportamenti e le nostre scelte. Anche politiche. Tuttavia è un’illusione credere che basterà mettere un utente davanti alla “verità” (o davanti a una fake news) perché questi faccia il bene (o il male). Non bisogna dimenticarsi di stimare la ragione, la libertà e l’amicizia degli uomini. Sono queste le migliori risorse che hanno gli utenti dei social network, non i dilemmi etici o le non-bufale dei buoni.

CONSIGLI E PULSANTI LIKE

3) Una delle cose meglio riuscite del documentario è il disvelamento degli scopi perversi e dei meccanismi furbetti che hanno portato all’invenzione di tante sollecitazioni social: pulsanti like, commenti, faccine, condivisioni, notifiche, contenuti consigliati. Ora, dove si trova The Social Dilemma? Nei titoli “consigliati per te” da Netflix. E sul web adesso è il documentario «di cui parlano tutti». Non è per insinuare nulla, però fa riflettere.

TEMPISMO PERFETTO

Infine, un grosso nota bene non slegato dai precedenti dilemmi.

Bisogna assolutamente guardare The Social Dilemma, farlo vedere agli amici, discuterne. Tenendo presente però che è un docudrama a tesi. Da un certo punto in poi diventa chiarissimo, infatti, che i colossi del web ci vendono per soldi, ma questo è tutt’al più cinismo: i veri “cattivi” che sfruttano il sistema distorto per rovinare la società hanno un volto preciso nel documentario Netflix. Sono i perfidi “populisti”. (Finché le offensive social servivano a far vincere Barack Obama, invece, nessuno sollevava social dilemmi).

Nel film sono citati per immagini Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Pedro Sánchez, Jair Bolsonaro, Vladimir Putin e gli immancabili hacker russi. Non si parla esplicitamente di Donald Trump ma delle elezioni presidenziali del 2016 sì, accreditando la tesi ormai divenuta luogo comune secondo cui il voto che consegnò la Casa Bianca a The Donald fu falsato a mezzo social e a furia di fake news. Tutto ciò non toglie nulla all’interesse del documentario, ma insomma, siamo nel 2020, The Social Dilemma esce proprio adesso e a novembre negli Stati Uniti si vota di nuovo. Quanto fa due più due?

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