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Aiuto alla Chiesa che soffre: nel 1987 i cristiani in Iraq erano 1.400.000, oggi sono 300.000

Dalle persecuzioni delle dittature alla sottile emarginazione culturale dell’Occidente passando per le derive della primavera araba. Pubblichiamo l'intervista a Massimo Ilardo, direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre, che compare sul numero di Tempi 47/2011, da oggi in edicola. E invitiamo a sostenere la campagna "Per i cristiani iracheni sarà un Natale sotto assedio. Aiutiamoli"

Laura Borselli
25/11/2011 - 9:57
Società
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Nel numero di Tempi in edicola trovate un depliant curato dall’Aiuto alla Chiesa che soffre il cui titolo dice già tutto: “Per i cristiani iracheni sarà un Natale sotto assedio. Aiutiamoli”. Acs lancia un appello e dà la possibilità concreta di aiutare i cristiani del martoriato paese.
Con carta di credito si può effettuare la donazione chiamando al numero 06.69893929 oppure online collegandosi al sito acs-italia.org.
Con bonifico bancario: Intesa SanPaolo S.p.A – IBAN IT 11 H 03069 05066 011682210222. Occorre poi inviare una email con i propri dati postali all’indirizzo [email protected].
Con conto corrente postale N: 932004 intestato ad “Aiuto alla Chiesa che soffre” – Piazza San Calisto 16 – 00153 Roma).
La situazione è drammatica: nel 1987 i cristiani in Iraq erano 1.400.000, oggi sono 300.000. 

L’opera iniziata nell’Europa ferita del secondo Dopoguerra da un sacerdote olandese trentaquattrenne oggi è una realtà internazionale con una sede principale a Königstein in Germania e 17 segretariati nazionali. Aiuto alla Chiesa che soffre (eretta Associazione pubblica universale di diritto Pontificio nel 1984) è infatti l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. L’impeto è quello del suo ardimentoso fondatore padre Werenfried van Straaten. Fu lui l’anima di opere di evangelizzazione fantasiose e originali, come, nel 1950, l’azione “Cappelle-volanti”. In pratica la trasformazione di alcuni pullman in cappelle su ruote per raggiungere le comunità di fedeli, celebrare degnamente la liturgia e amministrare i sacramenti. Sullo stato della persecuzione dei cristiani nel mondo e su quella sottile, ma non meno dannosa opera di censura che è il relativismo culturale, Tempi ha fatto il punto della situazione con Massimo Ilardo, direttore della sede italiana di Acs.

Direttore, quali sono i paesi in cui i cristiani soffrono di più a causa della fede?
Non è semplice restringere il campo, perché i paesi in cui credere in Dio si paga a caro prezzo sono ancora molti. Penso all’Iraq, che i fedeli hanno abbandonato e continuano ad abbandonare numerosi: persino uscire di casa mette paura. O al Pakistan dove Asia Bibi ci ha insegnato che nessuno è al riparo dall’iniquità della legge. E poi all’India, all’Egitto, alla Nigeria, all’Indonesia e alla Cina. Il governo di quest’ultima (nuovo gigante dell’economia mondiale), viola sistematicamente la libertà religiosa. Tuttavia la Chiesa cattolica cinese continua coraggiosamente a seguire il Papa a dispetto dei beni confiscati, delle deportazioni nei campi di rieducazione e delle inspiegabili sparizioni di vescovi e sacerdoti. Ci sono però anche paesi nei quali la limitazione della libertà religiosa è più sottile, a tratti quasi invisibile, ma c’è: si pensi ad esempio alla nostra Unione Europea nella quale persistono realtà che ostracizzano già la sola presenza del crocifisso in classe.

Aumentano i timori circa gli sviluppi della primavera araba, con l’anelito di libertà dei paesi nordafricani che rischia di aprire un varco al fondamentalismo con pesanti conseguenze per la libertà religiosa dei cristiani. Che timori nutre?
La caduta di regimi totalitari, come quello di Ben Alì o di Mubarak, ha inevitabilmente creato dei vuoti di potere che i gruppi più radicali cercano di conquistare. Temo una deriva estremista che avrebbe tragiche conseguenze per i cristiani e snaturerebbe gli stessi movimenti di emancipazione. A volte la prudenza della Chiesa nei confronti della primavera araba è stata male interpretata, come nel caso della Siria. Le preoccupazioni dell’episcopato cattolico siriano non nascondono un atteggiamento filo-Assad, sono solo espressione della paura fondata di una situazione analoga al dopo Saddam in Iraq.

Si può dire che quella dell’Egitto è la situazione più delicata?
Non sottovaluterei la Siria, ma di certo i cristiani egiziani vivono uno dei momenti più difficili. Gruppi un tempo ostracizzati dal regime come i salafiti, sono oggi liberi di agire, commettendo sempre più spesso violenze. Le speranze della primavera araba stanno svanendo e i cristiani abbandonano numerosi il paese. Speriamo nelle prossime elezioni, ma credo ci vorranno anni prima che in Egitto si diffonda una cultura democratica. Ma ripeto: a livello mondiale ci sono situazioni altrettanto delicate anche se “mediaticamente” meno visibili.

Le forme di persecuzione comprendono anche l’emarginazione culturale del cristianesimo?
Indubbiamente. I modi in cui è violata la libertà religiosa possono essere atroci e cruenti, oppure subdoli e meschini. La nostra fede è spesso sminuita, a volte perfino ridicolizzata. Siamo vittime di quello che Benedetto XVI ha ben descritto come il «predominio culturale dell’agnosticismo e del relativismo». Anche questa è una negazione della libertà religiosa a cui non dobbiamo piegarci, vivendo la nostra religiosità in privato.

Nel corso degli anni è aumentata la sensibilità dei cristiani d’Occidente verso i loro fratelli perseguitati nel mondo?
La libertà religiosa riscuote un interesse sempre maggiore e noi di Aiuto alla Chiesa che soffre, che per primi abbiamo difeso questo diritto fondamentale sin dal 1947, non possiamo che esserne lieti. Tuttavia l’idea occidentale della persecuzione è generalmente approssimativa e vi è la tendenza a inglobare il tema nel più ampio fenomeno migratorio. Per questo Acs-Italia è fortemente impegnata nella formazione alla libertà religiosa.

Come valuta l’impegno delle istituzioni internazionali per la libertà religiosa?
La libertà religiosa è la cartina tornasole del rispetto dei diritti umani in un paese. E non è semplice intervenire dove essa è negata perché il più delle volte ci si scontra con governi non democratici. Ma la comunità internazionale è molto attiva. Lo dimostrano le ultime dichiarazioni di Cameron, l’attività dell’Ufficio internazionale per la libertà religiosa del dipartimento di Stato americano e il costante impegno dell’attuale presidenza Osce.

Da poco in Italia è stato presentato il volume Perché mi perseguiti? Libertà religiosa negata, luoghi e oppressori, testimoni e vittime (Lindau). Che tipo di accoglienza trovano questo tipo di pubblicazioni?
Nei suoi 12 anni di vita, il nostro Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo ha saputo guadagnarsi ovunque un posto di rilievo sulle scrivanie di politici, studiosi e giornalisti. Con Perché mi perseguiti? ci rivolgiamo ad un pubblico diverso: non solo addetti ai lavori, ma anche educatori, catechisti o semplicemente persone interessate al tema. L’apprezzamento dei lettori ha premiato la nostra scelta.

Com’è cambiato il modo di agire di Acs nel corso degli anni?
Il mondo è ovviamente molto diverso dal secondo Dopoguerra quando la nostra azione era concentrata prevalentemente oltre la Cortina di ferro, ma ora come allora la nostra missione è identica: soccorrere la Chiesa ovunque la mancanza di mezzi economici o la violazione della libertà religiosa rendano difficile o impossibile l’evangelizzazione. E desidero chiudere con le illuminanti parole di padre Werenfried van Straaten: «La nostra Opera vi offre la possibilità di condividere il dolore di Gesù. Al di là di tutte le frontiere, noi portiamo qualche cosa di vostro – una parte dei vostri beni, un pezzo del vostro cuore, una manciata di consolazione, un panno per asciugare le Sue lacrime».

Tags: aiuto alla chiesa che soffreasia bibiBenedetto XVICinaCristianiEgittoirakIraqlindauPakistanperseguitatiprimavera arabawerenfried van straaten
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