
Ai veri libertari le leggi sul suicidio assistito fanno orrore

Tempi lo ha detto e scritto in tutte le salse che la battaglia contro le leggi che mirano alla legalizzazione del suicidio assistito non ha solo ragioni confessionali, ma che sono innanzitutto e soprattutto i dati di realtà a sconsigliare di pasticciare con le norme un ambito – il “fine vita” – che dovrebbe rimanere ben protetto all’ombra del rapporto medico-paziente. Nelle scorse settimane lo hanno autorevolmente ricordato qui gli operatori sanitari, i tecnici e i giuristi chiamati a esprimersi davanti alla commissione Affari istituzionali della Regione Lombardia sulla cosiddetta proposta di legge Cappato pro suicidio assistito, che sarà discussa e votata nei prossimi giorni nell’aula consiliare, dove entrerà con parere negativo della stessa commissione.
Non basta? E se invece di Tempi le stesse obiezioni le avanzassero anche i più antidogmatici tra gli ultralibertari? Coincidenza vuole che sempre alla fine di questo mese, entro il 29 novembre, dovrà essere esaminato dal parlamento britannico il cosiddetto Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, un progetto di legge sul suicidio assistito presentato dalla deputata laburista Kim Leadbeater che solo qualche mese fa, ancora “a scatola chiusa”, sembrava avere la strada spianata, visto che il nuovo premier Keir Starmer è da sempre aperturista su questo argomento. Ora che il testo è stato pubblicato, però, si scopre che è scritto in «un linguaggio opaco, ambiguo e spesso contraddittorio» e che taglia diversi aspetti della materia con l’accetta (solo per dirne un paio: non prevede obiezione di coscienza per i medici e permette loro di proporre attivamente il suicidio assistito anche a pazienti che non ne abbiano fatto esplicita richiesta in prima persona). Tanto è vero che non è più così scontato che il Labour alla fine lo sosterrà con convinzione.
Le emozioni al posto delle ragioni
Come andrà a finire questa partita britannica sul fine vita lo sapremo presto, non molto dopo rispetto a quella lombarda, perché trattandosi di una proposta di legge non introdotta dal governo ma da un membro della Camera dei comuni avrà appena cinque ore di dibattito in aula. Il fatto notevole, comunque, è che contro questa iniziativa legislativa pro suicidio assistito si è schierato inaspettatamente – e già da molto prima che si conoscessero i dettagli del testo e i singoli articoli – un fronte molto laico e tutt’altro che “conservatore”.
Già nell’aprile scorso Kathleen Stock, intellettuale lesbica e femminista anticonformista (i lettori di Tempi la conoscono per la strenua battaglia contro i fanatici dei diritti trans per cui ha deciso infine di mollare l’insegnamento all’università), aveva messo in guardia in un commento per UnHerd dal cadere nella trappola delle emozioni che ormai per i sostenitori della morte assistita ha rimpiazzato ogni altra argomentazione razionale, rendendo di fatto la discussione impossibile.
«I fautori della morte assistita cercano di far sparire difficoltà di vario tipo, sia fisiche che emotive, e il loro linguaggio si adegua di conseguenza. A volte sembra quasi che ci venga offerto un trattamento relax speciale in una spa. Con tono gradevolmente rassicurante, ora si viene “assistiti” nel raggiungere qualcosa, anziché essere uccisi da un medico o uccidersi».
«Moriranno pazienti che non dovrebbero morire»
Impossibile non sentire riecheggiare le parole con cui la deputata Leadbeater ha voluto presentare al Guardian la sua proposta di legge sul fine vita: «Sono certa che tutti noi desideriamo il meglio per i nostri cari quando si tratta della fine delle loro vite. […] I pazienti traggono enorme conforto dal solo sapere che hanno il diritto di scegliere come e quando porre fine alla propria vita. […] Questa proposta di legge mira a un’autentica libertà di scelta e all’autonomia». E se questi sono gli argomenti (o le emozioni) che motivano la norma, si capisce perché a Westminster Leadbeater abbia trovato – dice – l’appoggio segreto di «parlamentari di tutti i partiti». Credete che non ci contino anche Marco Cappato e i radicali in Lombardia? E in Veneto, e in Emilia-Romagna, e in tutte le regioni dove hanno tentato il colpo di mano sul fine vita?
Il problema è che quando parla di “libertà di scelta” e “autonomia”, Leadbeater la fa un po’ facile. Ed è proprio su questa mezza bugia che si concentra principalmente la controffensiva dell’imprevisto fronte laico britannico anti suicidio assistito di cui sopra. Fronte che trova generosa accoglienza sul libertario e libertino (ascendenza marxista) Spiked. È qui che pochi giorni fa ha firmato un commento Cory Franklin, già primario di terapia intensiva a Chicago e autore di contributi su temi non solo scientifici per diverse testate internazionali, ricordando come i soliti “paletti” che Leadbeater assicura di avere incluso nella sua legge per salvaguardare da eventuali abusi i potenziali candidati alla morte assistita sono destinati a non reggere:
«Le esperienze di altri paesi hanno dimostrato che il rispetto di rigide misure di salvaguardia per la morte medicalmente assistita finisce sempre per fallire. È sicuro che se la morte assistita verrà legalizzata, moriranno pazienti che non dovrebbero morire».
Autonomia (presunta) e ruolo dei medici
Per altro l’obiettivo del legislatore di realizzare l’“autonomia” dei cittadini non sembra essere sempre compatibile con il dovere di proteggerli. Franklin mette a confronto i casi di California e Canada, due stati paragonabili per popolazione, ma con numeri di morti assistite molto diversi: 3.344 i casi registrati in California nel periodo 2016-2021, mentre in Canada nello stesso periodo sono stati ben 31.664, quasi dieci volte tanto. Cioè in California, dove i criteri per poter accedere al suicidio assistito sono un po’ più stringenti, “solo” lo 0,15 per cento dei decessi è volontario. In Canada invece le morti assistite sono ormai il 3,3 per cento del totale, perché qui, osserva Franklin, «l’apparente volontà di morire del paziente conta più della diagnosi e delle cure ricevute» e dunque i famosi “paletti” saltano uno dopo l’altro (vedi l’idea di offrire l’eutanasia ai tossicodipendenti o il destino di morte riservato a chi non ha i soldi per curarsi, tanto per fare due esempi).
Poi ha un peso il ruolo dei medici, naturalmente: in California questi ultimi devono limitarsi a prescrivere farmaci letali da fare assumere ai richiedenti suicidio, ricorda Franklin, e il risultato è che «nel 2021 soltanto l’1,9 per cento delle domande si è conclusa con la morte del paziente»; in Canada invece, dove i medici possono inoculare direttamente il veleno, «delle 10.064 morti assistite del 2021, 10.057 sono avvenute per iniezione letale». Commenta il dottore:
«Non c’è potere superiore a quello sulla vita e sulla morte. Ed è ciò che la legge sulla morte assistita concede agli operatori sanitari. Questo non può che finire per inquinare il rapporto tra medici e pazienti. I pazienti guarderanno i loro medici negli occhi domandandosi che cosa c’è nel retro dei loro pensieri mentre consigliano loro il suicidio assistito?».
Non c’è “paletto” che regga
Il punto, pare di capire sfogliando i numerosi approfondimenti di Spiked sul fine vita, è proprio che «non esiste un modo sicuro di legalizzare eutanasia e suicidio assistito». È quel che scrive, esattamente in questi termini, il dottor John Wyatt, professore emerito di Pediatria neonatale e di Etica medica. Si prenda per esempio il “paletto” per cui solo i malati terminali possono accedere alla morte assistita:
«Ho lavorato per oltre 20 anni come consulente del Servizio sanitario nazionale e ho fin troppo presenti molti casi in cui io e i miei colleghi avevamo clamorosamente torto nel prevedere quanto tempo rimanesse da vivere a una persona. Non è raro che qualcuno a cui viene diagnosticata una malattia “terminale” continui a vivere per anni. Ciò può dipendere da errori nella diagnosi, da una inattesa remissione spontanea o dallo sviluppo di terapie e farmaci nuovi. La prescrizione di medicinali letali rende ovviamente impossibili tutte queste opzioni».
Pressioni “indebite” e coercizione
Per non parlare delle “influenze indebite” da cui i promotori delle leggi sul fine vita dichiarano regolarmente di poter tutelare le scelte dei pazienti:
«Sembrano vivere in una realtà alternativa dove mai i parenti farebbero pressioni sugli anziani e gli invalidi per il proprio tornaconto. Nel mondo reale, purtroppo, non è così. Dopo tutto, gli abusi sugli anziani e la coercizione da parte dei parenti non sono affatto insoliti. È inevitabile che la legalizzazione di suicidio assistito o eutanasia apra nuove possibilità di abusi gravi e criminali da parte dei parenti, soprattutto per evitare di dissipare i risparmi di una vita in costose cure infermieristiche.
La maggior parte delle persone naturalmente non nutre cattivi pensieri nei confronti dei propri cari malati terminali. Ma il disagio emotivo che una malattia provoca nei familiari può essere esso stesso una importante fonte di pressione. Nello Stato americano dell’Oregon, oltre il 40 per cento di quanti pongono fine alla propria vita attraverso il suicidio medicalmente assistito ha dichiarato di sentirsi un “peso per la famiglia, gli amici o i caregiver”. Sarebbe da ingenui credere che lo stesso non potrebbe mai accadere nel Regno Unito».
Sani dubbi progressisti
A metà settembre Lauren Smith ricordava che non ci sono solo le desolanti convergenze pro eutanasia tra l’ex leader dei Tory Rishi Sunak e il suo rivale laburista Starmer (“larghe intese” di questo titpo ci sono anche in Lombardia), ma per fortuna non mancano nemmeno le titubanze all’interno del fronte “progressista” che si presumerebbe compatto a favore della morte assistita: vedi i timori del ministro della Giustizia Shabana Mahmood e l’esitazione del titolare della Sanità Wes Streeting. Scrive la Smith:
«Alla luce di quanto abbiamo visto accadere in altri paesi […], Mahmood e Streeting hanno ragione a essere preoccupati. In Canada, il programma Medical Assistance in Dying (Maid) ha reso ormai il suicidio una forma ordinaria di assistenza sanitaria. Quando il Maid è stato introdotto nel 2016, avrebbe dovuto essere destinato esclusivamente ai malati terminali […]. Ma nel 2021 i criteri di ammissibilità sono stati ampliati per includere le persone con patologie fisiche gravi e croniche, anche se non in pericolo di vita. […]
La situazione in Canada è destinata a peggiorare e di molto. È previsto un ampliamento del Maid per consentire a chi soffre semplicemente di malattie mentali di accedere al programma (anche se la data di attuazione è stata posticipata al 2027). Basta guardare all’Olanda per capire dove può portare tutto ciò. Lì si somministra l’eutanasia a giovani fisicamente sani per “curare” patologie come depressione e ansia».
Cosa sono davvero eutanasia e suicidio assistito
«Una volta legalizzati, eutanasia e suicidio assistito trasformano in poco tempo la morte in una forma di terapia per chiunque sia ritenuto vivere una vita “ non conveniente”, dai malati di mente ai disabili fisici», fa eco in uno dei suoi tanti interventi per Spiked Kevin Yuill, storico, leader degli Humanists Against Assisted Suicide and Euthanasia (Haase), autore di Assisted Suicide: The Liberal, Humanist Case Against Legalisation. I paesi chiamati in causa da Yuill a sostegno della sua tesi sono ben noti ai tempisti. Australia, Oregon, Colorado, Olanda, Canada, tutti posti dove i famosi paletti e “safeguards” contro gli abusi della morte assistita si sono liquefatti alla rapidità della luce:
«Dobbiamo […] contrastare gli appelli emozionali della nostra classe politica contrapponendo la tragica realtà dei luoghi in cui eutanasia e suicidio assistito sono legali. La legalizzazione del suicidio assistito non è tanto un piano inclinato, quanto un precipizio morale».
Ma quale altruismo
E rieccoci ai sentimenti. Davvero le argomentazioni perfettamente razionali elencate fin qui riusciranno a sovrastare gli “appelli emozionali” del coro progressista pro morte? Nella sua lucida disillusione Kathleen Stock ne dubita fortemente. Nel suo commento già citato prendeva spunto dall’uscita di Matthew Parris che scatenò il finimondo arrivando a sostenere apertamente sul Times il beneficio della morte assistita come misura di taglio dei costi nella sanità: sarà un bene se i malati terminali arriveranno a sentirsi in dovere di togliere il disturbo anzitempo, invece di continuare indefinitamente a consumare risorse invano. Scrive Stock:
«Dopo l’articolo di Parris, alcuni commentatori cristiani hanno evidenziato come il suo agghiacciante ragionamento sull’utilità sociale della morte assistita esemplifichi chiaramente quanto il valore della singola vita umana possa diventare negoziabile in un mondo post-Dio, dove si privilegia utilitaristicamente il bene della collettività. Tuttavia l’esempio dei molti canadesi pronti oggi, in linea di principio, a vedere somministrata una morte indolore a quei poveri e senzatetto che dicano convintamente di volerla, rivela che nella mente di molti che contemplano queste cose non c’è il bene della collettività. In realtà, la traiettoria della società che si allontana da Dio e va verso l’eutanasia legalizzata è meno diretta, e anche meno altruistica, di quanto Parris e i suoi critici sembrino pensare. Non è vero che una visione sempre più secolarizzata ci porta automaticamente a privilegiare i benefici per la collettività rispetto a quelli individuali, piuttosto paralizza intellettualmente molti di noi, tanto che focalizzare egoisticamente il pensiero sull’alleviamento delle future sofferenze personali è l’unica causa che possiamo realmente sostenere».
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