Fine vita, una legge non s’ha da fare nemmeno in Lombardia
Scrive Repubblica che il progetto di legge sul fine vita del comitato “Liberi subito” di Marco Cappato in Lombardia è «affondato ancora prima di partire». La verità è che il testo fa acqua da tutte le parti a prescindere da qualunque «scontro tra Fdi e Pd».
Lo attesta oggi il parere dell’ufficio legislativo del Consiglio regionale, e prima ancora il parere con il quale il servizio legislativo legale del Consiglio regionale della Lombardia, il 6 marzo 2023, aveva negato assistenza tecnica alla redazione del progetto di legge. «Potenziali rischi di invasione nella legislazione statale», avvertiva l’ufficio. La conferma il 6 agosto scorso, quando viene presentata la scheda tecnica sul pdl suicidio assistito: l’ufficio legislativo del Consiglio conferma che la proposta contiene articoli che invadono la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale.
Fine vita, balle radicali in Lombardia
Non è una tara lombarda: come abbiamo più volte sottolineato l’incompatibilità costituzionale di un intervento regionale in materia era già stata acclarata dall’Avvocatura dello Stato nei casi di Veneto e Friuli-Venezia Giulia e trasmesso in Piemonte, il disegno di legge naufragato in tutte e tre le Regioni.
Certo, il parere non è vincolante: libero il legislatore nazionale di non disciplinare la materia (a prescindere da ogni sentenza ed editorialista di Repubblica ciò rientra nella discrezionalità e nell’esclusiva disponibilità di quest’ultimo), libero il Consiglio regionale di votare una legge incostituzionale per sollevare un tema politico con il governo e andare davanti alla Corte costituzionale. I precedenti esistono: è questa la strategia dei radicali che in tutte le Regioni giocano sull’equivoco della “tutela della salute” (in tema di suicidio assistito, sic) quale competenza concorrente tra Stato e Regioni per aprire il varco a una normativa nazionale.
Ma è sulle modalità di erogazione ed esecuzione che – al contrario di quanto affermato dal pdl che rivendica ruoli, procedure e tempi certi di attuazione – le Regioni non possono e non devono toccare palla. Ribadiamolo: non solo perché i provvedimenti andrebbero a impattare sull’ordinamento civile e penale, ma perché andrebbero a intervenire in assenza di un quadro normativo nazionale introducendo nuovi Lea (uno per regione stando ai desiderata di Cappato), livelli essenziali di assistenza di «esclusiva competenza statale» secondo la stessa Corte costituzionale.
Matteo Forte: «Ma quale autonomia, sul fine vita l’opposizione vuole l’indipendenza»
Curioso che proprio in Lombardia, dove è iniziato l’iter delle audizioni congiunte in commissione regionale Sanità e Affari istituzionali in coda ai “naufragi” di Veneto, Friuli e Piemonte (Liguria dopo il caso Toti non pervenuta, dello scandaloso colpo di mano di Bonaccini in Emilia-Romagna abbiamo già scritto tutto qui, qui e qui), che formalmente ha seguito l’altrettanto formale via libera dell’ufficio di presidenza del Consiglio (chiamato a verificare appunto non il merito ma l’ammissibilità formale e procedurale del progetto), l’opposizione resti trincerata sull’equivoco, anzi gli equivoci: «Il testo riguarda le modalità di organizzazione del Servizio sanitario regionale a fronte della sentenza della Consulta» (Carmela Rozza, Pd), «Non passa giorno in cui il centrodestra lombardo non invochi maggiore autonomia. Trovo singolare che, nel momento in cui è chiamato a confrontarsi su un tema così sentito dai cittadini, finisca per nascondersi dietro lo Stato» (Nicola Di Marco, M5s).
«Ma di quale autonomia parlano? Vogliono impedirci di assumere medici e infermieri in autonomia ma vogliono legiferare sui diritti fondamentali in capo allo Stato. Autonomia si chiede sulle famose 23 materie concorrenti fatta salva la determinazione dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi statali, quello che vuole l’opposizione si chiama indipendenza», ribatte a Tempi Matteo Forte, presidente Commissione Affari istituzionali in quota Fdi. «Quanto poi ai diritti, la Consulta si è sempre pronunciata sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio, ma non ha mai affermato il diritto del malato al suicidio: un diritto che non esiste».
Fare una legge? «Certo: sulle cure palliative»
Il riferimento è alla sentenza di luglio con la quale la Corte costituzionale è tornata a ribadire quanto aveva già affermato nel 2019 sul caso Dj Fabo che Cappato vorrebbe con ogni mezzo tradurre in legge per dare la morte assistita (ricordate quando Giuliano Amato presidente della Consulta bocciò il referendum nel 2022? «Non era affatto sull’eutanasia», disse, «ma sull’omicidio del consenziente»). «Entrambe le sentenze», osserva Forte, «hanno piuttosto ribadito “la necessaria offerta effettiva di cure palliative e di terapia del dolore” quale “pre-requisito” per verificare le richieste di suicidio assistito. Questo è un aspetto su cui una legge regionale invece può e deve intervenire, dalle terapie del dolore fino alla sedazione palliativa». Anche perché, sempre a proposito della rivendicata “tutela della salute”, come hanno chiarito esperti di ogni risma, è stato ampiamente dimostrato che là dove si toglie il dolore, la richiesta di eutanasia e suicidio assistito si riduce di dieci volte. Al contrario, dove c’è una legge sulla morte assistita il numero di richieste si impenna per effetto dell’accettazione pubblica.
I nove mesi dall’assegnazione alle commissioni del progetto di legge in Lombardia scadono il 21 novembre. Le normative (e dunque l’iter del pdl), nella regione di Dj Fabo e dove è stato consegnato l’Ambrogino d’oro a Cappato, differiscono moltissimo da quelle delle altre amministrazioni. «Ogni strada è aperta», conclude Forte.
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