L’addio al tennis di Rafa Nadal

Di Piero Vietti
11 Ottobre 2024
Il campione spagnolo ha annunciato che smetterà di giocare a novembre dopo la Coppa Davis: «Tutto ha un inizio e una fine»
Rafa Nadal

Quando due anni fa Roger Federer annunciò il suo addio al tennis, il nostro indimenticato Roberto Perrone commentò perfido che «in realtà non c’era più da tre anni», tanto aveva impiegato per «ammettere di aver compreso la lezione del suo corpo che in questo periodo è stato più in infermeria che sui campi». Il più grande tennista di sempre «come un pensionando qualsiasi non voleva mollare la cadrega, nel suo caso la racchetta. E dopo che faccio? Perché i soldi non danno la felicità, ma le masse adoranti, quelle sì».

Rafa Nadal

Nadal lascia il tennis, dopo la Davis

Ieri è toccato ammetterlo a Rafa Nadal, prima nemico sul campo e poi amico di Federer, con il quale ha cambiato il tennis (non stiamo esagerando) e dato vita a una delle rivalità più belle di questo sport, “rovinata” solo dall’arrivo del guastafeste Novak Djokovic, che ha finito per vincere più di loro ma essere amato meno.

Rafa Nadal
Rafa Nadal al Roland Garros 2022, ventiduesimo e ultimo titolo slam vinto in carriera (foto Ansa)

«La verità è che sono stati anni difficili, gli ultimi due in particolare, non riuscivo a giocare senza limitazioni», ha detto in un video postato sui suoi canali social il campione spagnolo. «È chiaro che è una decisione difficile, c’è voluto del tempo per prenderla. Ma nella vita tutto ha un inizio e una fine e penso che sia il momento per mettere il punto finale. È stata una carriera lunga e molto più di successo di quello che mi sarei mai potuto immaginare. Mi sento super super fortunato per quello che ho vissuto». 

Quando era un tamarro in canottiera

Chi lo ha sempre tifato temeva un finale trascinato come quello di Federer: solo per poco non è stato così. Dopo un 2023 passato in infermeria Rafa era tornato a inizio anno in Australia. Altro infortunio. Poi di nuovo sui campi in aprile, sulla terra rossa che per lui è più del cortile di casa ma su cui in pochi mesi ha raccolto sconfitte e prestazioni che solo il rispetto per i grandi del passato ha impedito ai commentatori di definire imbarazzanti: quei tornei in primavera sono però diventati l’occasione per un lunghissimo addio fisico al pubblico che lo ha visto vincere di più, con Rafa nella parte della madonna pellegrina del dritto a uncino: la standing ovation a Madrid, l’impressionante bagno di folla a Roma, le lacrime dei francesi al Roland Garros, e così via.

Rafa Nadal
Rafa Nadal agli US Open nel 2008 (foto Ansa)

Era entrato nel mondo del tennis come un tamarro in canottiera che voleva spaccare tutto, il ragazzino con i capelli lunghi col mancino esplosivo che rompeva l’eleganza geniale di Roger Federer, ha lasciato indicato da tutti come esempio di resistenza, forza di volontà, capacità di adattamento, lotta e passione. Nadal soffre quando gioca a tennis, non sorride come il suo amico ed erede Alcaraz, fa smorfie, è attraversato da tic, suda più del dovuto, sembra uno che vorrebbe essere altrove ma una maledizione ha inchiodato su quel campo con quella racchetta in mano.

Per fortuna Nadal non ha avuto un David Foster Wallace

Come si dice in questi casi per farla breve, in carriera ha vinto tutto, e pure di più: 22 slam, un numero infinito di tornei Atp, due medaglie d’oro alle Olimpiadi. Avrebbe voluto la terza, e se lascia il tennis soltanto adesso è perché quest’estate pensava davvero di poterla vincere, in doppio con Alcaraz sui campi del suo Roland Garros. Invece è stato eliminato, umiliato nel singolo da Djokovic, e battuto da una coppia di doppisti americani che non passerà alla storia. Lascia dopo Roger e prima di Nole, in una terra di mezzo che ci eviterà eccessivi rimpianti retorici ma che per mesi ce lo ha mostrato vulnerabile e umano.

Noi, pubblico adorante, non vorremmo che i campioni smettessero mai, perché questo ci ricorda che invecchiamo. Lui, come tanti sportivi che hanno giocato adorati dalla gente, sembrava che non avesse il coraggio di smettere. Ma era ora di dire basta, e ha scelto di farlo dopo la Coppa Davis a novembre, indossando la maglia della Spagna.

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A chi legge non fregherà di sapere che chi scrive lo ha amato più degli altri due fenomeni della sua generazione, Federer e Djokovic, ma è così. Rispetto a Roger Rafa è riuscito nell’impresa di non essere circondato da vestali e adepti del suo culto, il suo ritorno in campo non era atteso come quello del Messia, e grazie a Dio non ha avuto nessun David Foster Wallace a spararla grossa sull’esperienza più o meno religiosa che si faceva vedendolo giocare.

Rafa Nadal
Rafa Nadal al Roland Garros 2024 (foto Ansa)

Poco spazio alla retorica con Nadal

Poco fanatismo per lui – erano tutti impegnati a esercitarlo con Federer – un’estetica troppo brutta per poter essere celebrata poeticamente, nessuna scenata, parole misurate, nessun atteggiamento da guru, al massimo un po’ di narrazione su quanto il sacrificio possa portare al successo. Ci sarà tempo per ricordare le sue vittorie più belle, per rivedere i suoi recuperi irreali in campo, per esultare di nuovo davanti alle sue remuntades (bellissima quella in finale contro Medvedev in Australia), è già partita la corsa ai gracias commossi sui social, i “finisce un’era” si sprecano.

Si discuterà ancora per anni su chi dei tre sia stato più grande, più forte, più continuo, più vincente, più emozionante. È il bello dello sport. Tanti si sono accorti di quanto fosse e sia amato vedendo la folla di Roma in delirio per lui dopo una sconfitta, qualche mese fa. Chi già gli voleva bene non ne ha mai avuto bisogno. L’importante, adesso, è che non gli dedichino un documentario lacrimevole come quello fatto per Federer. Non se lo merita.

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