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Djokovic è indifendibile, ma lo è anche il no dell’Australia al suo visto

Il tennista serbo non è vaccinato, ha violato l'isolamento da positivo e ha mentito sui documenti di viaggio. Ma dire che è un pericolo per la salute degli australiani non è serio

Piero Vietti
15/01/2022 - 6:30
Sport
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Novak Djokovic durante uno degli allenamenti in Australia di questi giorni (foto Ansa)

La premessa è che, come ha scritto qualcuno senza particolare originalità, Novak Djokovic è probabilmente stato il peggior nemico di se stesso. È riuscito, nel giro di pochi giorni, a mettersi contro tutti, persino il suo paese, la Serbia, che lo ha difeso fino a che lui stesso non ha ammesso di non avere rispettato l’isolamento pur sapendo di essere positivo al Covid: a quel punto lo ha dovuto abbandonare, lasciandolo solo a incolpare il suo staff per le bugie dette sulla quarantena e se stesso per la superficialità con cui – consapevole di essere positivo – ha comunque fatto il servizio per il quotidiano sportivo francese L’Equipe.

In Italia avrebbe il super green pass

Ma per quante colpe possa avere il tennista più forte del mondo (e ne ha molte), le motivazioni con cui il governo australiano gli ha ritirato il visto per la seconda volta nel giro di pochi giorni, intimandogli di lasciare il paese e non tornarci per altri tre anni, sono sproporzionate. E, soprattutto, come abbiamo già scritto c’entrano poco con la tutela della salute ma sono principalmente politiche. Il ministro dell’Immigrazione Alex Hawke ha deciso ieri di cancellare il visto che avrebbe permesso a Djokovic di restare in Australia e difendere il titolo agli Australian Open muovendosi in una “bolla” ipercontrollata e con molti tamponi e pochissimi contatti. Pochi giorni fa un tribunale aveva definito irragionevole la cancellazione del visto, ordinando che gli fosse concesso e che venisse “liberato” dall’hotel per richiedenti asilo in cui era stato confinato una volta atterrato in Australia.

Il governo australiano ha scelto però di ribaltare la decisione del tribunale e fermare nuovamente il tennista serbo, colpevole di non essere vaccinato ma soltanto guarito dal Covid (circostanza che in Italia permetterebbe di avere il super green pass, tra l’altro), per ragioni di «salute, sicurezza e ordine pubblico». L’Australia arriva da un lockdown severissimo di 262 giorni, e anche se non c’è un obbligo vaccinale per legge le restrizioni previste per i non vaccinati hanno spinto la stragrande maggioranza della popolazione a vaccinarsi. Gli Australian Open, a differenza di altri tornei di tennis nel mondo, hanno previsto l’obbligo vaccinale per i partecipanti, salvo esenzioni, e anche l’ingresso nel paese è consentito soltanto ai vaccinati o agli esentati.

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Prima l’ok, poi lo stop

Non sono certo un segreto le posizioni scettiche nei confronti del vaccino da parte di Djokovic: il serbo le ha espresse anche pubblicamente, senza però fare mai propaganda no vax. Semmai la “battaglia” di Djokovic è stata sulla privacy, sul fatto che le informazioni mediche di una persona dovrebbero essere private. Battaglia anacronistica nel mondo pandemico contemporaneo, in cui risultare positivi al virus è una colpa di cui scusarsi pubblicamente sui social. Stando alla documentazione convalidata da due equipe di medici australiani che gli hanno dato l’esenzione per giocare gli Australian Open, Djokovic ha contratto il Covid lo scorso 16 dicembre, ed è poi successivamente guarito.

Il problema è che nei giorni successivi alla riscontrata positività Djokovic sarebbe stato a contatto con diverse persone e senza mascherina; non solo, arrivato in Australia avrebbe dichiarato di non essere stato in altri paesi nei 14 giorni precedenti il suo viaggio in Australia, mentre a inizio gennaio era in Spagna ad allenarsi. Errori grossolani di cui ha chiesto scusa con colpevole ritardo, e dopo che il padre lo aveva paragonato a Spartaco e a Gesù innalzandolo a idolo del “mondo libero”. Resta il fatto che medici, organizzazione dell’Open e funzionari australiani alla partenza avevano dato l’ok al suo viaggio in Australia. Il caso però, come detto, è diventato politico.

Un paese con 100.000 nuovi positivi al giorno

Al suo arrivo altri funzionari hanno detto che il tennista numero uno al mondo non avrebbe fornito prove sufficienti per ricevere un’esenzione dal vaccino (in Australia non importa se uno è appena guarito, serve l’iniezione) e lo hanno bloccato fino all’intervento “liberatorio” del giudice. Il potere esecutivo australiano, però, ha fatto saltare il banco, smentito il potere giudiziario e deciso che Djokovic costituisce un pericolo per la salute degli australiani. Australiani che, sia detto per inciso, da giorni vedono aumentare di decine di migliaia al giorno il numero dei positivi: solo due giorni fa +128.000. Difficile sostenere che siano stati tutti infettati da Djokovic, che non rappresenterebbe quindi un pericolo reale, semmai un capro espiatorio perfetto.

Citando un documento del governo con maggiori dettagli sul motivo per cui è stato revocato, l’avvocato di Djokovic, Nicholas Wood, sostiene infatti che il visto gli sia stato revocato non perché sia ​​un pericolo per il pubblico, ma perché «avrebbe suscitato un sentimento anti-vax». «Sebbene Djokovic non sia vaccinato», annota la Bbc, «non ha attivamente mai promosso la disinformazione no vax. Tuttavia, i no vax australiani hanno utilizzato l’hashtag #IStandWithDjokovic sui social media. L’avvocato Wood ha aggiunto che il ministro ha scelto di “cacciare un uomo di buona reputazione” dall’Australia e di “mettere in pericolo” la sua carriera a causa dei commenti contro le vaccinazioni che Djokovic aveva fatto nel 2020».

Djokovic capro espiatorio del governo?

Tra pochi mesi in Australia si vota, la gente è stremata dalle restrizioni che, guardando i dati dei contagi di questi giorni, sembrano essere state inutili. Il premier Scott Morrison non può mediaticamente permettersi di fare passare l’idea che un ricco e famoso antivaccinista come Djokovic sia superiore alle regole (un recente sondaggio dice che oltre l’80 per cento degli elettori australiani è a favore dell’espulsione di Djokovic: bingo). Così in nome del motto rules are rules, le regole sono regole, il potere esecutivo ha stracciato la separazione tra i poteri e smentito quello giudiziario per punire un comportamento moralmente sbagliato: non perché ha dichiarato il falso sui documenti di viaggio, ma perché costituirebbe un pericolo per la salute degli australiani.

Djokovic ha commesso molti errori, è diventato indifendibile persino da se stesso, e avrebbe potuto vaccinarsi (o non chiedere di partecipare agli Australian Open) per chiudere prima una vicenda ormai diventata grottesca. Ma a differenza della vulgata di moda, gli sportivi non devono per forza comportarsi come dei buoni esempi, né tantomeno essere puniti se non sono buoni esempi. Djokovic ha sbagliato tutte le mosse possibili, ma il fatto che il mondo applauda un governo che ribalta la sentenza di un tribunale per cacciare un tennista definito un “pericolo per la salute” in un paese che registra 100.000 nuovi positivi al giorno, dovrebbe preoccupare. Vedremo cosa deciderà la sentenza di appello, prevista per domenica. Lunedì iniziano gli Open.

Tags: australiaAustralian OpenCovid-19novak djokovictennisvaccini covid
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