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«Per abbattere un Gheddafi, ne abbiamo creati altri cento in lotta tra loro. La Libia non accetta la democrazia»

A Ginevra saltano i colloqui di pace. Il Paese è al collasso diviso tra due governi, due premier e cento milizie: «La gente accetta lo stato di diritto solo se va in suo favore»

Leone Grotti
23/01/2015 - 4:00
Esteri
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«Il problema è questo: in Libia c’è una crisi di legittimità. La gente è disposta ad accettare il processo democratico solo quando vince. La gente accetta lo stato di diritto solo se va in suo favore. È questo il motivo per cui abbiamo due governi, due Parlamenti, due primi ministri». In Libia l’Occidente, Stati Uniti e Francia in testa, hanno fatto di tutto per buttare giù l’ex dittatore Muammar Gheddafi ed esportare la democrazia, senza chiedersi se i libici fossero disposti ad accoglierla. È questo il pensiero dell’esperto libico Mohamed Eljarh, intervistato dalla Bbc.

STATO FALLITO. A quattro anni dalla morte di Gheddafi, è perfino difficile definire la Libia come uno Stato. Dopo che la capitale Tripoli è stata conquistata in estate dai ribelli islamisti di Alba libica, il Parlamento eletto dal popolo si è trasferito nell’est a Tobruk. I ribelli, in compenso, hanno eletto un proprio governo, di stanza a Tripoli. Nell’est del Paese, a Bengasi, ex roccaforte della cosiddetta “Primavera araba”, l’esercito guidato dal generale Haftar e legato al governo di Tobruk combatte le milizie islamiste e terroriste per il controllo della città. Partendo dalla capitale invece, gli islamisti, che già hanno il controllo di importanti pozzi petroliferi, si stanno espandendo a ovest verso Zintan e i giacimenti di gas occidentali. Nel mezzo operano centinaia di milizie e diverse fazioni di terroristi, tra cui lo Stato islamico che ha conquistato Derna, città costiera a 430 miglia nautiche dall’Italia.

COLLOQUI DI PACE SALTATI. La scorsa settimana, le Nazioni Unite hanno condotto un nuovo round di colloqui a Ginevra con i governi rivali per cercare un’intesa comune. Ieri un portavoce del governo ribelle ha annunciato che non proseguirà i colloqui perché a Bengasi «le truppe del criminale di guerra Haftar» hanno conquistato la banca centrale, prima nelle mani dei terroristi di Ansar al-Sharia e fondamentale per sfruttare i proventi del petrolio.

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«CENTO GHEDDAFI». La situazione dunque rimane bloccata, anche per colpa dell’Occidente, come ricorda l’attivista libico Guma el-Gamaty: «Quando la rivoluzione è finita, l’Occidente se n’è semplicemente andato lasciando i libici a loro stessi. Ma la gente non sapeva come restare unita, creare un consenso e fondare un nuovo Stato dal nulla. Abbiamo ereditato un Paese senza istituzioni, senza Costituzione, non sapevamo come guidarlo. La comunità internazionale non doveva andarsene». Per sbarazzarsi di Gheddafi, è il ragionamento di un altro osservatore, «ne hanno creati altri cento». In lotta fra loro.

ITALIANO SEQUESTRATO? A ottenere vantaggi da questa situazione di completa confusione e anarchia è la criminalità, sia comune che di matrice estremista. La stessa che potrebbe avere rapito il medico catanese Ignazio Scaravilli, irreperibile in Libia dal 6 gennaio scorso e su cui la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per sequestro di persona.

@LeoneGrotti

Tags: alba libicaansar al shariabengasidernagheddafiguerra libiahaftarIslamlibiaStato IslamicoTerrorismo Islamicoterrorismo libiatobruktripolizintan
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