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Lascia i Mumford & Sons per non vivere di autocensura

Travolto dal classico scandalo da tweet fascista (definire "importante" un libro contro l'estremismo di sinistra), il musicista Winston Marshall lascia la celebre band

Caterina Giojelli
29/06/2021 - 4:00
Spettacolo
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Winston Marshall lascia i Mumford & Sons
Winston Marshall ha lasciato i Mumford & Sons (foto Ansa)

«Chi sano di mente avrebbe lasciato volentieri tutto questo? È venuto fuori che potevo essere io», così Winston Marshall ha lasciato i Mumford & Sons. Ha fatto bene, male? Lui dice che lo ha fatto per essere «libero» e «non vivere di menzogne». Lo ha fatto ritirando le scuse condizionate dall’ennesima shitstorm su Twitter. Lo ha fatto citando Solgenitsyn per non darla vinta all’autocensura. Mentre la stampa, per mesi complice e megafono degli slogan menzogneri della bolla social che hanno causato le sue “dimissioni”, riportava a spizzichi e bocconi imbarazzati le parole del suo addio ai compagni.

Un tweet ed è “fascismo”

Riassunto: tutto ha inizio a marzo, quando il suonatore di banjo dell’amatissima band folk rock britannica fa il madornale errore di scrivere su Twitter ad Andy Ngo, autore di Unmasked: Inside Antifa’s Radical Plan to Destroy Democracy, tra i bestseller del New York Times: «Complimenti. Finalmente ho avuto il tempo di leggere il tuo libro importante. Sei un uomo coraggioso». Andy Ngo è un giornalista che durante le rivolte scatenate dalla morte di George Floyd si è unito ai gruppi antifa a Portland vivendo e raccontandone l’ascesa distruttiva culminata nell’omicidio di un sostenitore di Trump.

Nel giro di 24 ore Marshall e compagni vengono travolti da decine di migliaia di tweet e retweet di utenti inferociti, su cui la stampa si fionda a pesce: il “fascista” Marshall e le sue “opinioni di estrema destra” stanno dividendo la band, minacce, insulti, annunci di boicottaggio travolgono gruppo, rispettive famiglie e fan. E qui Marshall, come da copione, commette un secondo imperdonabile errore: cancella il tweet di congratulazioni a Ngo e chiede scusa pubblicamente.

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Perché Marshall lascia i Mumford

Riapriti cielo, il suonatore di banjo viene travolto da una nuova ondata di insulti: c’è chi lo accusa di ammenda ipocrita, chi di scuse condizionate, chi di poca spina dorsale, chi di non essere di destra o avere il coraggio delle proprie idee. Nuova gogna, nuovi pistolotti, nuove lapidazioni. E alla fine Winston Marshall lascia. Lascia i Mumford. Per fare cosa, parlare di sinistra su Twitter? La cosa certa è che non lascerà il suo nome ascritto alle liste di proscrizione dei tanti che, per non perdere il posto e il placet della bolla (o per sincero pentimento) si sono arresi a scuse e mea culpa invocati dai randellatori del social.

In un lungo pezzo scritto su Medium il musicista ripercorre le odissee dei primi tour dei semi sconosciuti Mumford, pigiati in quattro in una Polo, gli ostelli a Fort William, i pub di Ipswich, e poi le arene, i Grammy, i voli in prima classe, gli hotel di lusso, la folla in delirio per l’orso Ted col suo contrabbasso, Ben che pestava i tasti, Marcus che cantava come un uragano o una lieve brezza. «Chi sano di mente avrebbe lasciato volentieri tutto questo?», si chiede il musicista prima di ritirare le sue “scuse” per il tweet incriminato.

«Io fascista? Ridicolo»

«Non avevo previsto che il mio commento su un libro critico dell’estrema sinistra potesse essere interpretato come un’approvazione dell’altrettanto ripugnante estrema destra», scrive Marshall, arrivando a giustificarsi ricordando cose come «tredici membri della mia famiglia sono stati assassinati nei campi di concentramento durante l’Olocausto», «la mia famiglia conosce dolorosamente bene i mali del fascismo», «chiamarmi “fascista” è ridicolo oltre ogni immaginazione».

Perché allora scusarsi? Marshall dice di averlo fatto quando si è reso conto di aver trascinato i suoi amici e le loro famiglie «in una questione divisiva e totemica», e questi «nonostante le pressioni per cacciarmi, mi hanno invitato a continuare con la band. Ci voleva coraggio, soprattutto nell’era della cosiddetta “cancel culture”». Per questo, racconta il musicista, ha tentato l’ammenda e il passo indietro, per coloro che gli «volevano bene».

Se tocchi la sinistra sei di destra

Ma ormai Marshall era diventato pane per i pesci affamati di fascisti, «sono seguiti articoli diffamatori che mi identificavano come uomo “di destra” e simili. Anche se non c’è niente di sbagliato nell’essere conservatore, quando sono costretto a etichettarmi politicamente mi sposto tra “centrista”, “liberale” o il più onesto “bit this, bit that”. Essere etichettati erroneamente dimostra solo quanto sia diventato binario il discorso politico. Avevo criticato la “sinistra”, quindi dovevo essere la “destra”».

Il tutto per avere definito un libro “importante”. Così, tra il salvare la carriera avallando il metodo mani pulite di Twitter o zozzarsele per ribadire la verità, Marshall ha scelto la seconda:

«La verità è che il mio commento su un libro che documenta l’estrema sinistra e le loro attività non è in alcun modo un’approvazione dell’altrettanto ripugnante estrema destra. La verità è che denunciare l’estremismo con il grande rischio di mettersi in pericolo è senza dubbio coraggioso. Sento anche che le mie scuse precedenti in un piccolo modo partecipano alla menzogna di negare l’esistenza di tale estremismo o, peggio, proporlo come una forza positiva».

«Non vivo di menzogna»

Da qui l’addio alla band. Con le parole di Solgenitsyn, e del suo celebre appello a “Vivere senza menzogna”: «E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima non ostenti le sue vedute “progressiste”, non si vanti d’essere un accademico o un artista del popolo o un generale. Si dica invece, semplicemente: sono una bestia del gregge e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena».

«Potrei rimanere e continuare ad autocensurarmi», conclude il musicista, consapevole che l’eredità delle canzoni dei Mumford resisterà alla prova del tempo, «ma al prezzo di erodere la mia integrità. L’unico modo per andare avanti per me è lasciare la band. Spero che, prendendo le distanze da loro, sarò in grado di dire la mia senza che loro ne subiscano le conseguenze».

I pesci della rete a bocca asciutta

E questa è storia di Winston Marshall, il Bari Weiss dei Mumford& Son. La piccola ma istruttiva storia di un suonatore di banjo che senza nemmeno vantare il deplorevole “curriculum” di Morgan Wallen (Tempi vi aveva ricordato l’assurdo caso del re del country, autentica star negli Stati Uniti, cancellato, bannato, censurato per aver pronunciato da sbronzo l’oscena “parola che inizia per N”) non ha trovato un baluardo neppure nell’entourage dei Mumford o in chi gestisce i loro affari e successo da 14 anni.

E che farà, lascia tutto per dire la sua sulla sinistra su Twitter?, ironizzano oggi nella bolla. Dove il più imperdonabile dei peccati commesso da Marshall non è più essere fascista o un pentito, ma aver sottratto il pane della censura e dell’autocensura quotidiana ai pesci della rete. Uscendone a testa altissima.

Tags: cancel culturecensurafascismomusica
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