Volete davvero fare una scuola libera o aspettate che ve la facciano?

Di Antonio Villa
17 Maggio 2020
Ottant'anni di inutile assalto al monopolio statale dell'educazione dovrebbero far nascere almeno il sospetto che la strategia utilizzata nella lotta sia difettosa

Ero nel salone del Collegio arcivescovile di Saronno nel giugno del 1940 tra i licenziati di 3^ media a sentire la violenta filippica del rettore contro lo Stato che costringeva i genitori a «pagare due volte le tasse»! Da allora… da 80 anni si crede di combattere per la libertà di educazione identificandola con la possibilità di fare una propria scuola a spese dello Stato. Ottant’anni di inutile assalto dovrebbero far nascere almeno il sospetto che la strategia utilizzata nella lotta sia difettosa.

Invece ci sono due segnali di pervicacia che mi fanno pensare ad una mancanza di concretezza. Alludo, primo, al “suggerimento” al governo di valutare la convenienza di un grande risparmio per l’erario utilizzando un bonus-standard e, secondo, al tentativo di fare paura allo Stato, paventando il cataclisma che lo investirebbe se chiudessero le scuole paritarie per il conseguente e improvviso riversamento di decine di migliaia di alunni nelle aule delle statali. Ma quando mai? Allo Stato italiano non sembrerebbe vero di liberarsi dalla palla al piede che è l’istruzione non statale alzando questa bandiera bianca!

In Italia la scuola è nata come monopolio statale gelosamente blindato da un diabolico inciso che ha svuotato, come uno spillo in un palloncino, il retorico castello costruito attorno al sacro valore della libertà… Certo, basterebbe modificare leggermente il comma terzo dell’articolo 33 della Costituzione: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione i cui oneri vengono assunti dallo Stato».

Posso anche accettare che questo rimanga l’obiettivo della tenzone (ogni gara deve avere ben in vista lo striscione del traguardo), ma solo perché aiuta a suggerire astuzia nella concretezza del percorso. La vera concretezza riguarda la razionalità del progetto: dalla validità delle motivazioni alla praticabilità delle mosse, alla consistenza delle energie atletiche.

Ad un cristiano deve interessare soprattutto la “razionalità” del progetto. A tal punto questa, e solo questa, è la “ratio” dell’operare cristiano che Gesù (saremo almeno d’accordo che in LUI si realizza il massimo di concretezza!!!) ha considerato traguardo raggiunto l’innalzamento sul patibolo lasciandoci in eredità l’incomprensibile paradosso.

Siccome non mi vergogno di pensare che il massimo di concretezza nelle cose della vita sia l’imitazione di Cristo, mi viene spontanea la curiosità di osservare come faceva LUI. Trovo impressionante l’ovvietà con la quale Gesù attribuiva ai «segni dei tempi» (Mt 16,3) il valore di suggerimento operativo da parte del Padre, a tal punto da riconoscere al nemico l’onore delle armi per il solo fatto di aver imparato ad approfittare sia pure con malizia (Lc.16,8).

Tento di fare la prova nella nostra situazione con la netta sensazione che si debba cambiare completamente registro, perché quello che ci verrebbe chiesto è di rivedere gli stessi fondamenti del nostro operare in nome della Libertà di Educazione.

PRIMO SEGNO DEI TEMPI:

La fiammata accesa qualche decina d’anni fa dai Santi Papi con l’allarme per la emergenza educativa dove è finita? Dove sarebbe oggi un cardinale capace di portare in piazza un milione di fedeli? Se non c’è neanche il “soggetto” dell’operazione, che senso ha agitarsi attorno alla questione?

Quindi giù la maschera! Volete mettervi a fare una scuola o volete che vi facciano una scuola? Risvegliamo tra i cristiani il desiderio della scuola, facciamolo diventare potente spingendo e sostenendo i piccoli tentativi di scuole paterne; seminiamo interesse, che non c’è attorno alla questione educativa…

SECONDO SEGNO:

La situazione attuale della normativa scolastica (che comunque è diventata già giurisdizione!) è frutto del lavoro a cui hanno partecipato anche i nostri padri. Qualche distrazione devono averla commessa! I nemici ne hanno saputo approfittare alla grande. Riconosciamolo mostrando almeno di aver capito che il rimedio non può consistere nel portare a casa quattro soldi, ma avviare un paziente lavoro alla ricerca e alla denuncia di contraddizioni di cui hanno inevitabilmente lasciato traccia.

Esempio: nell’articolo 33 della Costituzione si afferma di assicurare agli alunni delle scuole non statali un trattamento equipollente. Nell’articolo 34 si afferma l’OBBLIGO e la GRATUITÀ agli alunni della scuola APERTA A TUTTI: dov’è finita l’equipollenza?

Altro esempio: il D.M. 24 aprile 1963, attuativo attraverso la Legge 31 dicembre 1962 n. 1859 dell’articolo 34 della Costituzione, riconosce che «lo Stato non ha una propria metodologia educativa». Ci si rende conto che, tolto il valore educativo, la scuola rimane un “guscio” da riempire con materiale disponibile in quantità esuberante sui media? È dunque insensato pensare che siano scindibili educazione e istruzione. Ammesso che sia possibile una istruzione senza educazione, non ha nessun senso una educazione senza istruzione (è l’ammaestramento degli animali!). Ora, nel caso di enti e privati che hanno il diritto di istituire istituti di educazione (articolo 33) di fatto diventano un aiuto al compito dello Stato. Quindi o li rifiuti o… i paghi.

TERZO SEGNO:

L’attuale spudorata disinvoltura con la quale il governo finge di condurre una attività scolastica inesistente da mesi, cerca di offuscare una evidenza che è sotto gli occhi di tutti: la “situazione-scuola” è il rapporto personale tra un maestro e un discepolo. Ha bisogno di un locale tranquillo, un tavolino, penna e quaderno (è la situazione tra l’altro prevista dalla legge 31/12/62 n. 1859 in attuazione dell’articolo 34 della Costituzione Scuola paterna), non certo di un elefantiaco apparato chiamato ministero della Pubblica istruzione, ramificato in un sistema tentacolare di uffici, direzioni, ispettorati, divisioni, sezioni… non viene voglia di AUTONOMIA? È stato solo un “soffio di primavera” la “voce” fatta circolare attorno agli anni Duemila, salutata come un significativo passo di avvicinamento alla libertà di educazione? O era un “cappio” di questa, diabolicamente simmetrico al «senza oneri»? (Cioè: vuoi fare una scuola? Ne chiedi il permesso, te la paghi e la fai in fotocopia con quella statale!).

QUARTO SEGNO-SOGNO:

Se, come sembra, il coronavirus è una cosa seria perché non c’è neanche l’ombra di un vaccino, invece di sognare la ripresa della scuola a settembre, proviamo a sognare di seppellire un passato disastroso e avviare l’era dell’Autonomia! Una scuola guidata da una preside-manager che si circonda di liberi professionisti scelti e magari conosciuti senza la mediazione di sindacati e graduatorie per lavorare ad un progetto da offrire al giudizio della Società non dello Stato. È infatti la Società il vero soggetto giudicante del loro lavoro. E intanto non si potrebbe attaccare per via legale la normativa della “Incompatibilità” per portare a casa il riconoscimento di LIBERO PROFESSIONISTA e non più di semplice impiegato statale?

***

Don Antonio Villa, autore di questo articolo, è il sacerdote milanese che nel 1976, dopo il terremoto del Friuli, ha fondato (e da allora dirige) l’istituto “Monsignor Camillo di Gaspero” a Tarcento, Udine. Nel 2018, su proposta del consigliere Luigi Amicone, don Villa ha ricevuto un Ambrogino, massima benemerenza del Comune di Milano.

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