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Viva la scuola libera (di chiudere). Così Imu e Tares rischiano di sterminare le paritarie

Per lo Stato svolgono un servizio pubblico come gli istituti statali, ma evidentemente i loro alunni inquinano di più: fra la tassa sui rifiuti e quella sugli immobili le scuole paritarie sono destinate a esborsi fatali. Ne resterà almeno una?

Matteo Rigamonti
25/01/2014 - 3:30
Interni
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scuola-pubblica-italia

Libere di chiudere ma non di educare. È il paradossale approdo cui rischiano di andare incontro le 13.500 scuole paritarie italiane alla fine di quest’anno scolastico, se il governo non dovesse riuscire a sbrogliare gli intricati nodi che prendono i nomi di Imu e Tares. Perché, senza un rapido intervento, i due balzelli che lambiscono solo di striscio le scuole statali, potrebbero piombare come una durissima mazzata sui bilanci di quelle paritarie.

Mentre la prima gamba del sistema pubblico integrato dell’istruzione nazionale, la scuola statale – per cui lo Stato spende 57,6 miliardi di euro l’anno –, è esentata per intero dal versamento della tassa sugli immobili e deve corrispondere al fisco italiano solamente una quota minima standard a studente per il pagamento della Tares, grazie anche alla parziale copertura da parte dello Stato in ragione dell’importante servizio da essa svolto, così, purtroppo, non accade per la scuola paritaria. Che pure svolge la medesima funzione, collaborando all’educazione degli 8.938.005 studenti italiani, e costituisce di diritto il secondo pilastro del sistema. Garantendo peraltro, secondo l’Ocse, un risparmio per le casse dell’erario pari a 6,3 miliardi di euro l’anno, a fronte di un esiguo contributo statale che nemmeno raggiunge i 500 milioni.

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Le scuole paritarie ospitano 1.072.560 studenti, pari al 12 per cento del totale, praticamente un ragazzo su otto. Studenti che singolarmente costano allo Stato quasi 6 mila euro in meno di quelli delle statali, ma per la cui istruzione i genitori pagano due volte, una con le rette e un’altra con le tasse. Ora, come se ciò non bastasse, le paritarie rischiano di essere penalizzate dal combinato disposto delle due stangate fiscali: Imu e Tares, o Tasi e Tari, come si chiameranno, a partire dal 2014, l’imposta sugli immobili e quella sulla riscossione dei rifiuti.

Gli istituti privati parificati, in Italia, dovrebbero godere di pari trattamento rispetto a quelli statali, come prevedono l’articolo 33 della Costituzione e i dettami della riforma Berlinguer, la Legge 62/2000 che ha introdotto in Italia il principio della parità scolastica a garanzia del godimento di una effettiva libertà di educazione. Purtroppo capita che le scuole paritarie paghino, sia pure con aliquote minori, la tassa sui rifiuti alla stregua di un qualsiasi esercizio commerciale, e cioè non in ragione del numero degli alunni, bensì di quello dei metri quadrati dell’edificio, che, come è facile intuire, è spesso voluminoso. Ciò in barba all’importante servizio educativo che esse svolgono al pari delle statali, che, invece, sono premiate da un regime fiscale “amico”. Il triste effetto è che il conto delle spese per smaltire i rifiuti nelle paritarie è assai più salato che non nelle statali, come se i bambini sporcassero di più. Si tratta di una disparità di trattamento che mette in pericolo la loro sopravvivenza.

Non è raro leggere nelle comunicazioni dei Comuni frasi tipo: «Le scuole private/paritarie di qualsiasi grado (materne, primarie, secondarie) sono tenute al pagamento della maggiorazione della Tares. Sono escluse per legge le scuole pubbliche». È successo in un Comune in provincia di Rovigo. Ma non è certo l’unico. A Milano le scuole paritarie potrebbero arrivare a corrispondere per la Tares importi maggiorati fino a dieci volte rispetto al passato. In termini assoluti può trattarsi di soli – si fa per dire – 2 mila euro per una piccola materna, che fino all’anno scorso ne pagava 300, oppure di 20 o 40 mila euro l’anno per gli istituti più grandi, come per esempio, quelli gestiti dalle congregazioni religiose. «Alcune scuole che già pagavano migliaia di euro per la tassa rifiuti – denunciava a dicembre suor Anna Monia Alfieri, presidente regionale della Fidae, la federazione che riunisce gli istituti cattolici paritari – con la Tares si sono trovate una bolletta da decine di migliaia di euro».

A indispettire particolarmente le famiglie del capoluogo meneghino, inoltre, è stato il fatto che, come hanno fatto notare diverse associazioni tra cui Agesc, Cdo Opere educative, Faes e Fidae, in alcune scuole della città le comunicazioni per il versamento della Tares tramite modello F24 sono arrivate solamente venerdì 13 dicembre, con scadenza il 16 dicembre 2013. Un bruttissimo regalo di Natale, peraltro senza il benché minimo preavviso da parte del sindaco Giuliano Pisapia e della sua giunta. Gli importi sono «quasi decuplicati rispetto agli anni precedenti». E questo nonostante associazioni e amministrazione avessero aperto un «tavolo tecnico» dove si stava discutendo una proposta, già in vigore presso altri comuni – come a Bologna – che avrebbe permesso alle scuole paritarie di contribuire nella stessa misura di quanto lo Stato paga per le proprie, conteggiando dunque solamente una quota a studente per la Tares.

I rincari di Milano
Forse in alcuni casi, in passato, «le tariffe a Milano erano troppo basse, è vero», puntualizza Michele Ricupati, presidente di Agesc Milano. Ma ora «sono esagerate, una scuola non può essere trattata come un qualsiasi esercizio commerciale, senza che venga considerata la funzione educativa che essa svolge». Se è vero che, come prevede la Legge di stabilità, la competenza in materia di imposizione fiscale sui rifiuti è delegata ai Comuni, che decidono autonomamente come gestire il flusso del gettito della Tares, non è difficile immaginare che, ogniqualvolta le amministrazioni dovessero essere in difficoltà col bilancio – come nel caso di Milano dove il buco è di 437 milioni di euro – la prospettiva di poter battere cassa sulla pelle delle paritarie (e quindi dei contribuenti), possa allettare molti sindaci. Le maggiorazioni in questo periodo di crisi sono destinate a riflettersi interamente sul costo della retta e quindi sulle spese delle famiglie.

A oggi il panorama italiano sulla Tares è a macchia di leopardo. C’è chi ha deciso di annullare i rincari alle paritarie come il Comune di Roncade, dove il sindaco e deputata Pd Simonetta Rubinato si è fatta carico di erogare un contributo straordinario alle scuole dell’infanzia paritarie per compensare la maggiorazione di 0,30 euro a metro quadrato di cui erano gravate, parificandole così a quelle statali. Ma c’è anche chi non ha fatto nulla per evitarlo o ha riservato il contributo solo alle statali. Certo è, spiega a Tempi Rubinato, che «non possono essere soltanto le comunità locali a farsi carico di garantire il funzionamento di queste scuole, mentre lo Stato impone loro nuove tasse, taglia i finanziamenti e quelli che rimangono li eroga sempre in grave ritardo. Questa non è parità».

A Milano, intanto, la giunta Pisapia, sotto l’insistenza di Cdo Opere educative, Fidae e Faes, ha mantenuto aperto il tavolo di confronto. C’è un «clima positivo», spiega Paola Guerin di Cdo Opere educative, e l’amministrazione, nella persona di Elisabetta Strada, presidente della Commissione istruzione, ha manifestato la sua «disponibilità a trovare una soluzione». Un’ipotesi potrebbe essere quella di calcolare la Tares solo sulla base della metratura delle aule, escludendo palestre e corridoi, e di non applicare alle mense le aliquote degli esercizi commerciali. Ciò non toglie che una soluzione a monte del problema debba essere trovata. Anche perché, come prevede la Legge di stabilità, a partire dal 2014 i Comuni saranno costretti a coprire con risorse proprie eventuali riduzioni della Tari diverse da quelle previste dal legislatore nazionale. E la patata bollente potrebbe passare in mano alle scuole statali.

La sciagurata norma dei tecnici
Ma la vera spada di Damocle che pende sulle sorti della scuola paritaria, e su quelle di tutto il terzo settore (comprese le Caritas e le Misericordine, ma anche i circoli Arci e le Case del popolo), è l’Imu. Per effetto di una sciagurata norma contenuta nel decreto liberalizzazioni adottato dall’esecutivo dei tecnici guidato da Mario Monti nel febbraio 2012, tutti gli enti no profit che hanno in gestione grandi immobili, compresi quelli alla guida degli istituti scolastici paritari, rischiano di trovarsi a dover fare i conti con Imu esorbitanti. Importi che potrebbero aggirarsi mediamente intorno ai 25/30 mila euro l’anno, e in alcuni casi addirittura superarli. Numeri che, da soli o insieme a quelli della Tares, basterebbero tranquillamente a mettere a repentaglio i bilanci di una scuola. Con il rischio, forse, di vederla chiudere. Questo il prezzo di una norma che è stata introdotta per il timore che l’esenzione dall’Imu per il terzo settore, al pari dell’Iva agevolata sul no profit, potesse non piacere agli eurocrati di Bruxelles ed essere valutata né più né meno che come un aiuto di Stato.

Il ministero dell’Economia ha tentato goffamente di rimediare al danno con una circolare del luglio 2012 dove stabilisce che, per godere dell’esenzione, gli enti no profit non devono in alcun modo esercitare attività commerciali negli immobili in uso. Ma è un confine che, nel concreto, è impossibile da tracciare, anche perché una scuola non può non far pagare la retta, o farne pagare una «simbolica», come vorrebbe la legge. L’effetto è che ogni ente no profit risulta svolgere quelle attività commerciali vietate dai tecnici. E cosa dovrebbero fare i dirigenti delle scuole per farle vivere? Chiedere l’elemosina? E come farebbero a pagare l’affitto e gli stipendi del corpo docenti? Su questo punto né l’Europa né il ministero hanno dato risposta.

Ma se l’intera vicenda, da un lato, è contraddistinta da un aspetto emergenziale per la cui soluzione non si può che sperare in una risposta più chiara da parte del governo e del ministero di via XX Settembre che rassicuri gli istituti paritari circa l’esenzione dal pagamento dell’Imu/Tasi già a partire da quest’anno; dall’altro, c’è però un aspetto di fondo che il premier Letta e il suo governo dovranno affrontare e risolvere direttamente a Bruxelles. È all’esecutivo, infatti, che spetta l’onere e l’onore di illustrare in sede comunitaria l’originalità del modello di no profit italiano e il coerente trattamento fiscale agevolato di cui godono gli enti, motivando la ratio di quelle scelte che, forse, spaventano così tanto l’Unione Europea.

Affinché questa strada possa essere percorsa con successo, c’è un «aspetto culturale» che merita di essere messo nuovamente a fuoco e ribadito con forza. «Il sistema scolastico italiano», spiega a Tempi il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi (Ncd), che quest’anno si è impegnato in prima persona per ripristinare nella sua interezza la dotazione da 500 milioni di euro per le paritarie sia nel 2013 sia nel 2014, «si regge su due gambe: la scuola statale e quella paritaria». «Se penalizzi una delle due», come sta avvenendo in Italia, «in realtà, non stai penalizzando solo quella, ma l’intero sistema nel suo complesso». È questa la prima battaglia da vincere sia in Italia sia in Europa, perché, prosegue Toccafondi, «se siamo noi i primi a non cogliere il valore delle nostre oltre 13 mila scuole paritarie, che accolgono più di 1 milione di studenti e danno lavoro a 80 mila professori, che fanno risparmiare lo Stato e spesso garantiscono la possibilità di ricevere un’istruzione a chi abita nei piccoli paesi o si trova nelle periferie delle grandi città, non capiremo mai l’importanza che ha difendere questo modello». È per questo motivo che Toccafondi ha deciso di «non staccare la spina al governo. L’avessimo fatto, ora probabilmente sarebbe più difficile trovare una soluzione».

La libertà educativa va garantita
«Non c’è dubbio che debba essere il governo a trovare una soluzione per il 2014», gli fa eco Rubinato. «Mi aspetto – prosegue la deputata Pd – che ci sia sempre maggiore dialogo e coordinamento tra il ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia. E che non succeda di nuovo che qualche componente del governo si opponga con la scusa che si tratterebbe di aiuti di Stato vietati dall’Europa, visto che anche il Parlamento europeo con una recente risoluzione sulla libertà di insegnamento ha richiamato con forza gli Stati membri a tutelare e garantire il diritto di libertà della scelta educativa».

Un’impostazione su cui concorda anche Mauro Masi, presidente nazionale di Cdo Opere educative: «Affinché vengano affrontati e risolti i nodi dell’Imu e della Tares, senza pregiudizi ideologici e chiusure preconcette, c’è bisogno di rimettere al centro del dibattito sulla scuola pubblica le persone, gli studenti, e la libertà di educazione. Solo così si potranno veramente aprire le porte alla parità scolastica per gli istituti paritari e all’autonomia per la scuola statale». Con tutti i benefici che ciò potrà comportare per il paese in termini economici e sociali.

@rigaz1

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