Ve lo do io un vero scoop: c’è una città in Italia dove si fanno un sacco di figli
E poi un’altra bella notizia che allarga il cuore: a Buccinasco sono molti i giovani sposi che hanno tanti figli. Inizialmente l’esempio l’hanno dato alcune coppie di Cl, ma adesso molti coniugi cristiani incominciano a fidarsi della Provvidenza e della gioia che i bambini portano in una famiglia con numerosi figli e che questi piccoli crescono molto meglio che nelle famiglie con un solo bambino. Venerdì mattino è venuta al Pime di Milano una giovane signora, Serena Varamo, a prendere altri libri di Vismara per la parrocchia, che venderanno domenica. Lei ha quattro figli e ha confermato la bella notizia che a Buccinasco sono molte le famiglie con tanti figli.
Don Maurizio mi dice che nel 2013 le due parrocchie di Buccinasco hanno celebrato 180 battesimi di bambini per complessivi 25 mila abitanti. Uno “scoop” giornalistico per l’Italia che è in crisi perché ci sono troppo pochi bambini. Secondo dati dell’Istat pubblicati dai giornali il 26 giugno 2014, «nel 2013 c’è stato un crollo delle nascite: 514.000 per più di 60 milioni di abitanti. Il numero medio di figli per donna in età fertile è sceso da 2,41 nel 2012 a 2,39 nel 2013». Che l’Italia sia in crisi anche per produrre sempre meno bambini lo sanno tutti, ma pare un tabù per la stampa alla ricerca di segnali di speranza per il nostro amato paese.
tratto dal blog di padre Piero Gheddo
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Io preferisco la maternità responsabile e per me due figli sono più che sufficienti. Non mi sono mai piaciute le famiglie numerose e non trovo affatto ammirevoli quelle coppie che mettono al mondo i loro figli in maniera incontrollata, così come vengono, senza mettersi alcun problema. In queste cose ci vuole responsabilità, avere figli non è un gioco. I figli richiedono affetto, cure, attenzioni e si devono avere quando ci sono tutte le condizioni necessarie per allevarli nel migliore dei modi e garantire loro una crescita equilibrata e serena.
gentile signora Lena,
noto che lei è una persona colta ed immagino sappia che c’è una città, a nord dell’italia, che si chiama Milano.Si da il caso che Buccinasco non si trova in mezzo ai ghiacci del Polo Nord bensì è una cittadina confinante con Milano dove non ci sono tre case e venti pecore, ma vi abitano più di 26.000 persone.
Questa famiglia con otto bambini è molto felice. Ho un forte sospetto: è lei “poveretta” e triste. Inoltre la prego, non insulti chi non conosce.
Ma cos’è Buccinasco? Mai sentito…può darsi che in un posto così sperduto e lontano dai centri della cultura i giovani non abbiano altro passatempo che riprodursi. Poveri loro e poveretti i bambini che saranno costretti a vivere in un luogo “out” come quello
Gli studi più recenti degli organismi internazionali rilevano che i paesi caratterizzati da una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono quelli che otterrebbero dall’aumento dell’occupazione femminile un maggior vantaggio in termini di crescita .Risulta che il lavoro femminile non è più un ostacolo alla natalità; anzi, si dimostra che oggi nei paesi avanzati, a differenza di quanto avveniva in passato, se le donne hanno meno opportunità di occupazione fanno meno figli. Viceversa, la fecondità è maggiore nei paesi ad elevata occupazione femminile. Gli studi sottolineano che i paesi con i tassi d’occupazione più bassi e con un tasso di natalità inferiore sono quelli che hanno una copertura di servizi più bassa, che presentano una minore disponibilità dei padri a prendere congedi parentali, dove le donne hanno un maggior carico di lavoro domestico, dove è più bassa la condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne.
L’Unione Europea conferma tale diagnosi e pone, ormai da diversi anni, l’obiettivo dell’innalzamento dell’occupazione femminile al centro delle proprie politiche per lo sviluppo. Ricordiamo, per fare l’esempio più noto, la Strategia di Lisbona, che nel 2000 puntava a raggiungere per la media europea un tasso di occupazione femminile pari al 70 per cento entro il 2010. Per l’Italia, la situazione attuale del mercato del lavoro femminile si presenta molto debole ed esprime un rilevante divario di genere: mentre per gli uomini il tasso di occupazione si colloca al 70,3 per cento, un valore prossimo a quello medio europeo, per le donne il tasso si colloca appena al 47,2 per cento, distante quasi 12 punti da quello europeo. Solo Ungheria e Malta, nella lista dei 27 paesi dell’Unione europea, presentano una situazione del lavoro femminile peggiore di quella italiana.
Brava Filomena. Hai evidenziato che non è uno scoop ma l’ennesimo racconto di Tempi.it che sostiene il motto “Donne se volete figli smettete di lavorare e riproducetevi” .
Ale, come vedi infatti nessuno risponde nel merito con dati che confortano le loro tesi. Al massimo possono dire ma che bella storiella questa di Tempi,
La vitoria a tavolino non se la canti e non se la suoni da sola e in condivisione con chi è della tua stessa opinione, Filomena. Ci sarebbero un mucchio di cose da dire, in merito. In Italia, o manca il lavoro, a donne e uomini; o mancano le strutture per i bambini; o manca la voglia di farne, bambini, come capita a lei. Le politiche per la famiglia sono del tutto disattese da una classe politica che si preoccupa, in cambio, di pagare la fecondazione eterologa ai gay. E di fronte al femminicidio di massa per aborto in India e Cina, le donne così sensibili al grido di dolore delle culle vuote non ha organizzato neppure un défilé ecologico di protesta. E poi, Filomena, sempre avanti a colpi di frasi raccolte con la saliva dalla retorica ufficiale: gli “organismi internazionali”… loro sì, che tendono a riprodursi, con effetti deleteri sull’ambiente umano che ci circonda. Complici di una demografia che non fa nulla contro l’aborto come contraccettivo, mentre promuovono e anzi, impongono a governi e società la promozione della cultura gender. Che moltiplica i tipi di famiglia per ridurre il tasso di natalità. Quindi, contro le logiche e i dati prodotti e manipolabili a proprio uso e consumo, un hurrà alle mamme, ai papà e ai bambini di Buccinasco.
Raider, bentornato
sono perfettamente d’accordo sul fatto che in Italia mancano effettive politiche per la genitorialità in favore di chi desidera mettere al mondo dei figli, posto che non debba essere in nessun caso un obbligo morale. Io credo che chi appunto sente veramente questo desiderio debba essere supportato dallo Stato anche per chi questo desiderio non lo prova. Detto questo aggiungo che il supporto deve essere soprattutto attuato con servizi in favore dei bambini e che di conseguenza permettano ai genitori di non rinunciare agli altri impegni civili, in primo luogo al lavoro. Vede le politiche a sostegno della natalità non possono partire dal principio che soprattutto per le donne (che sono le protagoniste della maternità intesa come scelta è non come obbligo morale) questo di accudire i figli e occuparsi del lavoro di cura famigliare, sia in assoluto la loro priorità di vita, perché oggi le donne come gli uomini che lo hanno sempre dimostrato, oltre alla genitorialità hanno altre aspettative di vita e se la società prima ancora che propriamente le Istituzioni dello Stato, non comprendono questo, le donne ma più in generale i genitori sono indotti a mettere in secondo piano o quantomeno a posporre l’obiettivo di avere figli. In sintesi giustamente a mio parere, il ragionamento è che, considerato l’impegno che richiede la genitorialità, non si può pensare di “dare” o donare se il termine le piace di più, se prima o in contemporanea le persone non hanno “ricevuto” in termini di autorealizzazione personale ciò che si aspettavano per se stessi. In altre parole il principio è che non si può materialmente dare una cosa che non si ha, anche solo per quanto riguarda l’impegno di tempo che la genitorialità richiede.
Grazie, Filomena e ben trovata. Io ho sempre riconosciuto, a lei come a chiunque altro interlocutore polemico, la buonafede, fino a prova contraria: e in questo caso, le sue argomentazioni non mi sembrano pretestuose; anzi, il problema nasce dal fatto che le cose che lei sostiene non sono affatto in contrasto, in linea di principio, con altre considerazioni, che, però, lei omette o non evidenzia in maniera sufficiente o non considera su un piede di parità con quelle da lei fatte. Si figuri se non sono d’accordo sul che la politica, lo Stato, ogni persona responsabile debbano, dovrebbero dare priorità alle esigenze dei bambini: e già questo, se inteso in modo conseguente, porta a divergenze su quello che è o non è meglio o preferibile o importante nell’interesse dei bambini. Per noi cristiani – me lo lasci dire: non mi sono mai appellato, su questioni massimamente “divisive”, alle ragioni della fede: che non sono in contrasto, ma perfezionano ciò che attiene il piano naturale o sociale o storico -, l’umanesimo in senso protagoreo è, dopo l’Incarnazione, rivisto nel senso che non l’uomo, ma il bambino, il piccolo dell’uomo è la misura di tutte le cose: le potrà sembrare semplicistico, stucchevole, ma è proprio così, per un cristiano. Lo dico perché non voglio occultare certe differenze che sono alla radice. E che non permettono a me, per es., di usare il termine “genitorialità”: e se usato con la scusa che si tratta di definire una “funzione”, fa pensare a un funzionario intercambiabile con qualunque altro: che mi sembra uno china lessicale e ideologica in cui a farsi male sono proprio i bambini che si vorrebbe tutelare.
A volte, in certe prese di posizione opposte a quelle che anch’io sostengo scorgo un sottofondo ideologico, un retrogusto di unilaterale fissazione a criteri pregiudiziali che non permette di discutere in maniera davvero libera: nel caso, l’importante è che non venga meno il diritto all’autodeterminazione della donna! Questa preoccupazione, in sé e per incontestabile, spesso, fa sì che a essere socialmente e culturalmente premiato e premiante sia un determinato modello di femminilità; o che si dia maggiore importanza, che si riconosca più dignità a certe scelte femminili rispetto a altre. L’autodeterminazione della donna, come di chiunque di noi, dovrebbe avere come limite quella altrui: quella del bambino, del figlio con cui rispondere alla vita con una nuova vita. Il punto, allora è: per potere avere bambini bisogna per forza avere un lavoro fuori casa? Tante donne che conosco, con o senza bambini, preferirebbero fare solo le casalinghe: ma è vero che anche qualche uomo, fra quelli che conosco, sarebbe disposto a fare a cambio e fare il casalingo”: questo, senza bisogno di scomodare le teorie del genere. A Buccinasco, per esempio, non ne hanno bisogno: e lavoro, non lavoro, strutture o non strutture, i bimbi li fanno ugualmente, senza aspettare che un legislatore o l’O.N.U. li autorizzino. Nel deficit demografico del nostro Paese, è un’eccezione che merita rispetto, forse, anche ammirazione e riconoscenza. E nel vuoto legislativo, esecutivo e giudiziario, oltre che nella débacle finanziaria di spending rewiew che riducono sempre più i diritti, nella bancarotta, che le devo dire, civile, morale, etica della nostra amata Italia, Buccinasco può essere un esempio da seguire contro le correnti del mainstream e le derive di una storia che pare al capolinea.
@Raider
Convenevoli a parte, apprezzo in lei i toni educati (oltre che all’ironia della diatriba sui cavalli) perché a proposito di rispetto nei confronti dell’interlocutore ritengo che anche la buona educazione giochi un ruolo importante è mi consenta una piccola polemica. A dispetto di quanti qui si proclamano paladini di altruismo, qualcuno sa essere molto sgradevole se non offensivo.
E con ciò finisco di lamentarmi e vengo al dunque. Rispetto alla sua concezione cristiana anche riferita all’interpretazione di Umanesimo che ne da, vorrei fare delle puntualizzazioni. Il rispetto dell’altro in quanto persona e il limite della propria libertà che finisce dove inizia quella dell’altro è condivisibilissima, anche se intesa ovviamente come quella dei diritti del bambino. Poi si potrebbe discutere sull’eterna questione del quando l’essere umano acquisisce i diritti della persona cioè se prima o dopo la nascita, ma è un discorso che ci svia dal ragionamento di fondo proposto sulla natalità. Infatti qui non è in discussione il diritto al rispetto in quanto bambino e ovviamente persona ma l’idea di avere dei figli o meno in rapporto all’ autodeterminazione della donna e più in generale dei genitori nel pianificare la nascita di eventuali figli. In altre parole se una persona ha dei diritti inalienabili che meritano indiscutibilmente di essere rispettati, una idea può sempre essere contestata a mio avviso anche se di provenienza divina come nel caso del modello di maternità proposto dai cattolici i quali antepongono all’ autodeterminazione delle persone quello che definiscono un dono di Dio, cioè la volontà che le persone devono fare propria di essere sempre disponibili a diventare genitori. Io penso invece che questo debba nascere da un desiderio di genitorialità (o di maternità se preferisce) senza che peraltro questo desiderio sia tacciato di essere considerato un capriccio, una moda perché ritengo che al desiderio deve essere accompagnata la responsabilità e l’impegno che richiede un fatto del genere. Viceversa però se questo desiderio non c’è si può anche metterci tutto l’impegno e la responsabilità, in questo caso solo nei confronti del figlio e non di se stessi (visto che non si tratta di una scelta) ma il risultato temo che sia comunque mediocre per il motivo che citavo sopra e cioè non si può dare quello che non si ha. Se l’idea, non il figlio, di maternità, non suscita particolari emozioni personalmente dubito che per quanto uno si impegni produrrà un buon risultato in termini educativi e forse è meglio lasciar fare i figli a chi li desidera veramente. Questo però non deve essere una penalizzazione ne’ per chi li fa i figli ne’ per chi non li fa. Anche per questo ritengo che i servizi all’infanzia debbano essere aumentati e cioè bisognerebbe far sì che il desiderio di avere figli non penalizzi l’autorealizzazione delle donne al di fuori della famiglia. Viceversa non è giusto che chi decide consapevolmente di non fare figli o di pianificarli più in la, venga giudicato negativamente anche perché per dirne una il reddito prodotto dalle donne che lavorano, attraverso la fiscalità dovrebbe contribuire a fornire quei servizi all’infanzia che servono alle mamme lavoratrici e in primo luogo ai bambini.
Infine le do ragione sul fatto che alcune donne pur non essendo mamme vorrebbero fare le casalinghe e ben venga anche qualche uomo che la pensa così. Le dirò di più conosco anche un uomo a cui sarebbe piaciuto poter mettere al mondo sua figlia al posto della moglie se avesse potuto. Sono a mio parere tutti desideri rispettabilissimi anche se purtroppo materialmente non sempre sono realizzabili ma restano legittimi. A livello di principio (sia pure non sempre realizzabile) è quello che intendo quando sostengo che nel rispetto degli altri non devono esistere ruoli stereotipati in cui ingabbiare le potenzialità e i desideri e le aspettative delle persone solo perché si vuole imporre un malinteso concetto di natura dettato dalla morale cattolica dove tutto è già stato stabilito nella notte dei tempi e subordinato a Dio.
Raider mi scusi ma i Paesi del Nord Europa hanno una natalità superiore alla nostra con una media di tre-quattro figli per coppia e genitori che lavorano entrambi. Addirittura “Impongono” anche ai padri un periodo di astensione Obbligatorio dal lavoro, per alternarsi alla madre nella cura dei piccoli fino a tre anni di età, se non erro. Questo Obbligo fa si che nessuno cerchi di “far carriera a spese della natalità” . Quindi non la metta sulla “vocazione della casalinga per il bene dei figli” perché e’ ampiamente dimostrato che i bambini non vanno tenuti in un guscio ma è necessario farli interagire con il mondo ed i coetanei, attraverso asili attrezzati ed insegnanti validi già dalla tenera età . Per incentivare la natalità servono queste politiche e maggior flessibilità di orario nel lavoro per favorire occupazione e crescita demografica. Infine le ricordo che in più di un’occasione anche Tempi.it ha pubblicato racconti strazianti di donne con figli che rimaste vedove si son dovute scontrare con il cinismo dello Stato oltre all’impatto improvviso con situazioni nuove perché ottemperate dall’altro .
Filomena, il merito delle sue osservazioni ci porterebbe lontano. In effetti, se ne potrebbe discutere qui come a proposito di altri argomenti, credo che si tratta di un modo di vedere le cose difficilmente conciliabili, anche perché io ravviso in alcune delle sue opinioni un pregiudiziale rifiuto di un’antropologia basta sulla visione cristiana della vita: e questo non le farà alcuna impressione, a parte il fatto che i pregiudizi non saranno da una parte sola: ma le premerà di più considerare che certe sue affermazioni sono in contrasto oggettivo con altre sue affermazioni.
Per es., l’idea che la visione “tradizionale” della famiglia sia frutto della pressione sociale: che non è detto, poi, sia una cosa sempre e comunque sbagliata, sbagliata a prescindere, peraltro, mentre le visioni “alternative della famiglia e appunto della “genitorialità” siano frutto della spontaneità e della libertà individuale, quando sono anch’esse il risultato di una pressione culturale e di un indottrinamento mediatica che non tiene conto della importanza e del ruolo fondamentale che la famiglia “tradizionale”, che fa i bambini e se ne prende cura, ma, certo – rispondo anche a Ale – va aiutata dallo Stato, ha per il futuro della nostra società.
Sul modo di aiutare le donne che hanno figli e non lavorano o hanno figli e lavorano, poi, ci possono essere idee diverse; ma che questo non riguardi i single, che vivono con e anche grazie a chi fa i figli e ai figli che gli altri generano, mi sembra sbagliato. Altro che i “figli non vanno tenuti in un guscio”! Forse, è così oggi: se le ricordo che non era così, Ale, quando il guscio televisivo e dei nuovi media non inscatolava le teste dei ragazzi, dirà che sono retrogrado e che preferivo il condizionamento della strada in cui giocavamo, senza separazione fra grandi e piccoli, a tutte l’ore, imparando dal falegname, dal fabbro, dai muratori, dai contadini, perfino – dalle mie parti c’erano – dal maniscalco (quello che ferrava i cavalli, se le interessano ancora, Filomena)… Ma mi rendo conto di scendere troppo sul particolare: rendetevi conto anche voi, però, che sulla spontaneità di desideri e immagini di sé dagli organismi internazionali” e dai persuasori palesi e occulti di ciò che è o.k. e di ciò che non lo è dovremmo diffidare.
P. S. Data l’esperienza di attacchi di hacker da me subiti e conseguenti danni al computer, vorrei tenere un profilo basso proprio per potere, di tanto in tanto, dire la mia. Del resto, gli impegni, manco a farlo apposta, famigliari e di lavoro non mi lasciano troppo tempo nemmeno per intervenire sul web in difesa delle cose che amo. Quindi, se non potrò rispondere né sempre né tempestivamente, conoscete la ragione.
Gentilissimo,
magari il numero medio di figli per donna in età fertile fosse passato da “2,41 nel 2012 a 2,39 nel 2013”!!.
Purtroppo sappiamo che è passato da 1,41 nel 2012 a 1,39 nel 2013. Nonostante il quasi tragico inverno demografico, grazie per la stupenda testimonianza di Buccinasco.
Cordiali saluti
Pierluigi Pollini
Rimini
HALLELUJA!
ALLORA SI PUO’ ANCORA SPERARE IN UN DOMANI DI SOLE E DI LUCE
Attento a non scottanti con troppo sole!!!!
E tu resta al buio