L’unico motivo per cui ho invidiato Cuba
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Se n’è andato Fidel Castro, il lider maximo. Non so perché, mi è sempre stato più simpatico di Che Guevara. Il primo, a parte qualche vecchio comunista, Gianni Minà, Paco Pena, Mimmo Locasciulli, Mohammed Ali e Diego Armando Maradona (secondo la favolosa gag di Fiorello), non se lo filava più nessuno, il secondo, che forse era pure peggio, continua a vendere gadget. Certo, Fulgencio Batista che stava all’Avana prima di Fidel era un bel fetente pure lui.
[pubblicita_articolo]Castro, mollate le questioni politiche, mi fa venire in mente la grande ricchezza di sportivi cubani, alcuni dei quali ho avuto il piacere di conoscere. Ricorderò sempre, una notte ad Atlanta 1996, la breve conversazione con Alberto “El caballo” Juantorena, campione olimpico dei 400 e degli 800 a Montreal 1976.
Io e Gianni Riotta stavamo cenando a notte tarda quando lo vedemmo a un tavolo dello stesso ristorante e lo salutammo: «Caballo». Lui si alzò e venne a salutarci. Fu l’unica volta in cui avvertii la nostalgia di non essere comunista.
I vanti di Cuba erano lo sport, i sigari, il sistema sanitario, il rum e la Bodeguita del Medio. Aggiungerei alcune canzoni, magari fasulle, però Hasta siempre comandante mi commuove ogni volta.
Ma ricorderò Fidel per il più grande slogan sportivo della storia che la censura perbenista de sinistra riportava tronco. Invece eccolo, intero: hasta la victoria siempre, tambien un empate no es mal.
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