Un bel Meeting, un nuovo inizio

Di Emanuele Boffi
30 Agosto 2002
Carrellata di aneddoti e personaggi perlopiù sfuggiti alle cronache di giornali e Tv. Tipi da Meeting che han vissuto una settimana fra piadine e dibattiti, mostre e Coca Cola. Dov’è la bellezza? È in una gamba di legno, su un traghetto che arriva da Nuoro, in una statuina del Presepe, nelle parole di libertà di un’Angelica kibutzim

Tipi da Meeting. Tipi di ogni specie e gusto. Difficilmente classificabili, identificabili, riconducibili a schemi precisi. Conventuali o spirituali? Bigotti o soldati di Gesù? Global, no-global o new global? Che ci fa in fiera lo studente che parla col Premier, la giornalista kazaka, il primario cardiochirurgo-povero-disgraziato-come-noi, il palestinese di Betlemme che vende statuine del presepe, l’educatrice di kibbutz, ebrea che infiamma la platea di cattolici? Perché il direttore di una radio abbandona il limpido mare sardo per immergersi nelle acque mucillose di quel di Rimini? E l’imprenditore abruzzese che dissotterrava morti e vendeva Coca Cola sulle spiagge di Venice? E che ci fa lo spirito critico di una diciassettenne in questa marea di Papa-boys? È la gente del Meeting una massa informe e leggera o è un caso serio di gratuità e bellezza? È l’imprevisto, bellezza, l’unico target del Meeting.

W il Meeting! L’ha detto Silvio (e Angelica)
«Pronto, sono Silvio Berlusconi, parlo con il signor Aluigi?». Marco Aluigi è un comune studente universitario alla facoltà di Lettere di Bologna. Lavora tutto l’anno per organizzare il Meeting di Rimini e, uno dei primi giorni della kermesse, ha sentito per telefono il premier. È stato Berlusconi a chiamarlo. «Signor Aluigi, deve scusarmi, ma sa, volevo sincerarmi di persona sul percorso che voi ragazzi del Meeting avete intenzione di farmi fare dopo l’incontro di venerdì». Segue spiegazione. «Grazie Aluigi, è grazie a persone che lavorano come lei che l’Italia è in buone mani. W l’Italia e W il Meeting!». E il grazie arriva anche da Angelica, la cui testimonianza di educatrice in un kibbutz israeliano dell’Alta Galilea, ha travolto la platea di cattolici. E così, lei, prima di ripartire da quel mare di lacrime e di applausi che l’hanno accompagnata durante il suo intervento al Meetimg, lascia a un amico ciellino un biglietto: «caro, caro, caro. Grazie! Grazie per aver intrapreso con me il viaggio verso il faraone!». è lo stesso giorno, da brivido, in cui don Giussani dice a Libero: «Io credo che se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei possano essere una sola cosa nel giro di 60-70 anni».

Un sardo a Rimini
Francesco Mariani è il direttore di Radio Barbagia, emittente della provincia di Nuoro. Ecco la lettera che ha inviato in redazione per spiegare dove ha visto la bellezza negli afosi padiglioni della Fiera di Rimini.
«Tu prova a partire da Nuoro alle 21, prendere la nave da Olbia a mezzanotte, arrivare a Civitavecchia in treno, ripartire per Roma-Termini per poi salire sull’Eurostar fino a Bologna e quindi arrivare a Rimini per essere in albergo alle 16. E pensa anche a un viaggio di ritorno che inizia al mattino e si conclude alle due di notte. Capirai subito che di mezzo ci deve essere qualcosa di veramente importante altrimenti sarebbe da folli sprecare tanta fatica e tanti soldi (davvero tanti). Capirai subito che per noi andare al Meeting di Rimini è come un pellegrinaggio dove si mettono in conto e si offrono fatiche e gioie alla ricerca di un di più di umanità. Per questo motivo vale la pena mangiare piadine per una settimana, scarpinare come dannati, sottoporsi a file di ogni genere, brigare con agenzie ed orari, spendere i risparmi accumulati nel corso dell’anno da un gruppo di studenti. Se fosse per una semplice vacanza è infinitamente più facile andarsene al bel mare vicino a casa. Quando uno sa di trovare un di più per la propria umanità non sta lì a contabilizzare le fatiche: è semplicemente contento. Per noi il Meeting di Rimini, ogni anno, è un’esperienza così. Ci andiamo per imparare cosa significa avere un cuore più aperto, un giudizio più chiaro, un’amicizia che costruisce ed apre spazi per tutto e tutti. Una cosa bella la si contempla ancor prima di scriverla. Il Meeting è un frammento di bellezza che vorremo trattenere tutto l’anno. Perché questo accada ritorniamo spesso su quanto per ora abbiamo contemplato e magari non capito sino in fondo. Rivediamo parole, volti, gesti parlandone tra noi, con gli amici e con chiunque. Siamo piccoli e lontani, ci sentiamo come un seme dove dentro sia stata messa una pianta enorme e incontenibile. Decisi a ritornare anche l’anno venturo e stavolta vestiti in costume sardo per sottolineare un grazie in ciò che siamo oggi. Tutto questo vale bene la pena di una gran fatica. E non chiedeteci che cosa del Meeting ci ha veramente colpito. Non siamo buoni a fare graduatorie. Però la cosa più bella ci sembra il Meeting in se stesso, la gente ed il cuore di chi lo fa. Mostre, incontri e quant’altro vengono dopo».

Dal cimitero a ShangHai
«Una sera a cena ho sentito Santo Versace che parlava dell’importanza della manualità nel lavoro di oggi. Caspita se è importante! Io l’ho imparato quando andavo a riesumare i morti a Spoltore, una paesino nei pressi di Pescara». Beppe Ranalli è oggi un affermato imprenditore abruzzese, ha un’azienda nella sua terra d’origine, una a Pisa, una a Chicago, una a Toronto e l’anno prossimo aprirà uno stabilimento a Shanghai. Produce tecnologia per il mondo automobilistico e fattura circa 80 miliardi all’anno. Quando iniziò acquisì una piccola azienda abruzzese che ne fatturava 1 e mezzo, si indebitò ma in sei mesi era già riuscito a restituire tutto alle banche. «Però quando facevo l’università era dura. Mio padre di soldi ne aveva pochi, aveva fatto l’autista per 40 anni e io dovevo lavorare per mantenermi agli studi. Un giorno trovai un annuncio che cercavano personale al cimitero di questo paesino, non specificando però le mansioni. Mi presentai, mi spiegarono che si trattava di disseppellire i morti, trasferire i resti negli ossari per liberare il posto per tombe nuove. Accettai. Per 4 anni mi sono svegliato per 4 giorni la settimana alle 5 di mattina, scavavo e spostavo ossa fino alle nove, alle dieci ero in università per attaccare a studiare. Prendevo 4 milioni al mese nei primi anni Novanta, roba che mio padre doveva fare almeno 20 ore di straordinari per mettere assieme la stessa cifra». Oggi è anche vicepresidente della Compagnia delle Opere in Abruzzo e ogni anno una scappata al Meeting la fa sempre. «Puoi venire a Rimini con un tuo programma ma poi qui è sempre una sorpresa».

Ecco il guru di Cl
«A 18 anni ho fatto un incidente in moto. Mi sono sfracellato sull’asfalto. Mi son fatto tre mesi a dormire solo su un lato del mio corpo, mi son venute le vesciche dove puoi immaginare. Mi hanno amputato la gamba e da allora ne ho una di legno. Studiavo Scienze politiche in Statale e l’ho abbandonata. Ho pensato: la medicina non salva la vita ma almeno offre una possibilità». Oggi Ettore Vitali è primario cardiochirurgo all’ospedale Niguarda di Milano, stimato professionista, è considerato fra i migliori in Italia. Si è fatto una fama di stakanovista nell’ospedale dove, dicono i suoi amici medici, “il più a destra è di Rifondazione”. Questo Giacobbe in camice va più in fretta di quelli che di gambe sane ne hanno due ma non sanno dove andare. Mangia in fretta, pensa in fretta, agisce in fretta. «Chiedo solo che mi lascino lavorare. Non ho tempo da perdere in faccende burocratiche, voglio stare con i miei pazienti, io. Faccio un mestiere che ha a che fare con la vita e con la morte. Mi fan perdere tempo per decidere che cosa scrivere sui cartelli dell’ascensore… Fatemi fare il medico, lasciatemi lavorare, c’è tanto da fare». Non è «di Cl. Ma mi hanno molto colpito gli amici di Medicina&Persona (associazione laica di medici vicina alla Cdo, ndr). Sono stato in vacanza con loro, ho conosciuto Giancarlo Cesana. Quando l’ho visto venirmi incontro ciondoloni ho pensato “eccolo il guru di Cl, un disgraziato come me”. Poi c’è stato un incontro con lui dove ha detto: “la salute è un dono” e io ci sono rimasto perché l’avevo sempre intesa come un diritto. Allora ho completato il mio pensiero “sarà anche un guru e un disgraziato ma io un tipo così lo voglio conoscere. Ha carisma da vendere”».

Conflitto d’interesse (visti dal Kazakistan)
La più giovane giornalista che si aggirava in sala stampa era Botagoz Zhumanova, kazaka di Karagandà, 21 anni. Scrive per Avi Trek che, come recita il suo biglietto da visita, è un “weekly republic newspaper”. È per la prima volta in Italia ma conosce alla perfezione la nostra lingua. «Me l’ha insegnata Claudio, un mio professore alla facoltà di filologia di Karagandà. Assegnava dei temi con titoli di questo tipo: “Cos’è la felicità?”, “Cos’è la libertà?”. Pensavo fosse pazzo. Che felicità vuoi che ci sia in un sobborgo come quello dove abito io che dopo le sette di sera c’è il coprifuoco. Se esci in strada finisci male, se ti va bene ricevi solo una coltellata». Botagoz ha deciso di fare la giornalista in seguito ad un episodio preciso: «Durante un convegno a cui erano presenti i più importanti giornalisti del Paese il relatore chiese chi fosse soddisfatto della propria professione. Nessuno alzò la mano». E allora? «Allora ho deciso io di fare la giornalista. Le domande di Claudio non possono rimanere senza risposta». Si è laureata con una tesi sulla Tv italiana: «come è possibile che il vostro premier possieda anche tre Tv? Mi sembra pericoloso». «Ha le Tv, ma non i giornalisti», le spiega un anziano reporter.

Il rosario che dà da mangiare
Inizia da buon commerciante arabo con un baratto: «l’intervista la rilascio solo se poi mi fate pubblicità». Sobhy Makhoul sta ritto davanti al suo stand con la sua imponente figura stretta in una maglietta giallo canarino. Alle sue spalle il cartello “Opere della fede – Bethlehem” e due tavoli imbanditi: statuette del presepe, rosari, crocifissi, piccole icone di legno. È cristiano maronita nella terra di Palestina. «Vengo al Meeting da vent’anni. Facevo il tour operator, guidavo i pellegrinaggi nella Terra Santa. Da quando nel settembre 2000 è scoppiata l’Intifada le presenze dei pellegrini in Terra Santa sono diminuite del 95%. Io, con tutti i cristiani palestinesi della zona che vivevano del turismo religioso, mi sono ritrovato disoccupato». Da seicento anni in Terra Santa esiste una tradizione di lavorazione del legno d’ulivo e della madreperla. Questo tipo di artigianato è il mestiere più diffuso fra le genti cristiane che si tramandano quest’arte di padre in figlio. «Oggi – spiega Sobhy – non possiamo più fare come nel passato. Il ricevere gratuitamente soldi e servizi dall’Occidente ha abituato la gente all’assistenzialismo. Pochi sono abituati a lavorare». Da buon cristiano Sobhy si è dato da fare e parafrasa così un detto musulmano: «Se i pellegrini non vengono da noi, andiamo noi dai pellegrini. Gli artigiani continuano a produrre i loro lavorati e noi veniamo a venderli in Italia». Chi svolgeva altre professioni ha imparato un mestiere molto semplice: infilare i grani nei fili dei rosari. «Così, quest’anno abbiamo dato lavoro a 58 famiglie. Ma puntiamo ad accrescere la nostra produttività. Per i prossimi sei mesi abbiamo in preventivo di costruire 500mila rosari. Si tenga presente che la fabbricazione di 1000 rosari dà da mangiare a una famiglia per sei mesi». Ecco a voi la pubblicità promessa: connettersi a www.maronitejerusalem.org/opere (user name: odf, password: 2002) e ordinare i prodotti richiesti. Anzi, come di Sobhy: «ordinare, ordinare, ordinare».

In vino veritas
Gaia è furente. «I miei genitori son di Cl, ma io non li capisco. Ma chi glielo fa fare? In che credono?». All’agriturismo Rinaldi, sulle colline sopra Rimini, dopo qualche bicchiere di buon vino e qualche chiacchiera per entrare in confidenza ci si può fare anche di queste domande. Gaia studia in un liceo economico e giuridico svizzero e ce l’ha a morte con i suoi amici che vengono a Rimini a lavorare gratuitamente. Le pare assurdo. «Ma con Samuele sto bene, perché vedo che a lui piace, ci crede veramente, sa perché fa il Meeting».

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