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Un anno fa lo Stato islamico conquistava Mosul. Ecco come si vive oggi sotto il califfato

«Chi fuma una sigaretta viene frustato, a chi ruba viene amputata la mano, gli adulteri vengono gettati giù dai palazzi e le donne lapidate»

Leone Grotti
09/06/2015 - 13:51
Esteri
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È passato esattamente un anno da quando un piccolo battaglione dell’Isis, composto da circa 1.000 soldati, è riuscito a conquistare la seconda città più importante dell’Iraq. La notte tra il 9 e il 10 giugno i terroristi islamici sono entrati indisturbati a Mosul, mentre due divisioni dell’esercito iracheno poste a difesa della città, circa 30 mila uomini, si davano alla fuga.

CALIFFATO. In un anno lo Stato islamico ha imposto il suo califfato applicando in modo rigido la sharia, costringendo migliaia di cristiani alla fuga, confiscando i loro beni, uccidendo gli oppositori, sciiti e sunniti, facendo saltare in aria moschee e santuari “idolatri”, abbattendo croci, vessando i negozianti e imponendo un’educazione islamista nelle scuole.

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«CITTÀ IGNORANTE E SPIETATA». Hanaa è musulmana, vive a Mosul, e non era abituata a portare il velo integrale: «Le donne devono coprirsi di nero dalla testa ai piedi», ha raccontato alla Bbc. «Un giorno mi annoiavo così tanto a casa che ho chiesto a mio marito di portarmi fuori, anche a costo di portare il niqab. Siamo andati in un bel ristorante, che eravamo soliti frequentare prima [dell’arrivo dell’Isis]. Appena seduti, mio marito mi ha detto di scoprirmi il volto perché non c’erano uomini dell’Isis. (…) Ero davvero felice ma subito il proprietario è arrivato pregando mio marito di farmi di nuovo nascondere il volto perché i combattenti dello Stato islamico fanno ispezioni a sorpresa e se mi avessero visto così l’avrebbero frustato. Molti uomini sono stati frustati solo perché le mogli non portavano i guanti. (…) Chi protesta viene picchiato e umiliato. (…) Alla fine abbiamo accettato e ho cominciato a pensare a quanto ignorante e spietata sia diventata questa città. Fuori dal ristorante, un padre cercava la figlia: era nascosta in quella distesa di nero».

CASE CRISTIANE CONFISCATE. Mariam lavorava come ginecologa a Mosul e fino a quando i terroristi islamici non hanno preso la città, si è rifiutata di scappare. «Sono stata minacciata e molestata ma ho continuato a far nascere bambini come sempre», ricorda. «Poi sono dovuta scappare quando la città è caduta. Sono una divoratrice di libri e avevo una bellissima collezione, anche perché gli amici che cominciavano a scappare davano a me i loro libri perché li tenessi. Quando sono fuggita ho salvato il mio corpo, ma la mia anima è rimasta a casa con i libri. Rifugiata a Erbil, ho saputo che la mia casa è stata confiscata e marchiata con la lettera “N” [per nazareni, cristiani]. Ho chiamato i miei amici di Mosul, chiedendo di salvare i miei libri. Ma era troppo tardi: sono stati bruciati in strada».

«ATROCITÀ INIMMAGINABILI». Ogni giorno, chi viola le regole imposte dall’Isis, viene punito secondo la sharia. Testimonia Zaid, residente nella città: «Chi fuma una sigaretta viene frustato, a chi ruba viene amputata la mano, gli uomini che commettono adulterio vengono gettati giù dai palazzi e le donne lapidate. Spesso la gente è costretta ad assistere alle punizioni. (…) Chi viene arrestato e rilasciato racconta storie di un’atrocità inimmaginabile. Molti restano in silenzio perché sono terrorizzati».

«SALARIO CONFISCATO». Dopo l’arrivo dell’Isis, Hisham si è trovato senza lavoro ed è stato costretto anche ad abbandonare l’università: «Per loro tutto è “haram”, proibito, e quindi me ne sto chiuso in casa a far niente. I ricchi vanno avanti con i risparmi, chi ha un salario sbarca il lunario, i poveri sono abbandonati alla misericordia di Dio. (…)  La vita di tutti i giorni è cambiata in modo indescrivibile. Ogni svago, come i pic-nic, è bandito perché considerato spreco di tempo e soldi. Un quarto del salario viene confiscato per “ricostruire la città” e chi si oppone viene punito duramente. Gli ospedali sono riservati solo ai membri dell’Isis. Gli imam delle moschee sono stati tutti sostituiti con uomini favorevoli a loro. Molti non vanno più in moschea perché li ti costringono a giurare fedeltà all’Isis e noi odiamo questa cosa. Mio fratello si è beccato 20 frustate perché non ha chiuso il suo negozio durante l’orario della preghiera: la religione non si può imporre con la forza».

«MEGLIO NESSUNA EDUCAZIONE». Anche a scuola è cambiato tutto. «Mio fratello di 12 anni va ancora a scuola: abbiamo pensato che una scuola controllata dall’Isis fosse meglio che nessuna educazione», spiega Mahmoud. «Ma un giorno, tornato a casa, l’ho visto che disegnava la loro bandiera e cantava un loro inno. Sono impazzito e gli ho gridato contro. Ho strappato il disegno, lui si è messo a piangere ed è corso da nostra mamma. L’ho minacciato di non farlo più (…) e l’abbiamo ritirato da scuola. Meglio nessuna educazione (…), inizio a pensare che vogliano seminare la violenza, l’odio e il settarismo nelle menti dei bambini».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: CaliffatoCristianiIraqIsisIslammosulniqabshariaStato Islamico
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